"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi

"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi
"Il bruco" (2017). Nikon Coolpix P900. Foto macro. Stato larvale della falena diurna "Macroglossum stellatarum" volgarmente detta "sfinge colibrì".

domenica 8 febbraio 2015

Oltrelenews. 23 “Deutschlandüberalles”.



Da “L’orologio della Ue segna solo l’ora tedesca” di Paolo De Ioanna, sul settimanale “Affari&Finanza” del 13 di ottobre dell’anno 2014: Avete mai visto un orologio nel quale funziona alla perfezione un solo quadrante, quello dei minuti, mentre gli altri (ore, giorni, settimane) vanno per conto loro? Evidentemente no! Le istituzioni europee sono un meccanismo nel quale aste e bilancieri regolano (o vorrebbero regolare) alla perfezione le politiche di bilancio, il livello di deficit, debito e spesa pubblica per ciascun paese membro; gli altri quadranti (investimenti via bilancio europeo; controllo del debito da parte della banca centrale; vigilanza su tutte le banche, ecc.) non sono regolati. O meglio sono regolati in funzione dei minuti, pardon del debito. L’orologio funziona male, segna sempre l’1%, sia che segni l’inflazione, la crescita reale, ecc. Mentre i parlamenti nazionali fingono di dialogare e quello europeo si interroga sulla sua funzione, l’orologio segna sempre lo stesso tempo. È un orologio molto coerente, costruito per segnare il tempo storico e le esigenze politiche ed economiche del paese egemone (la Germania) e della corona dei suoi satelliti economici.
Ma il tempo storico di un paese o di un gruppo di paesi difficilmente può misurare il tempo e le esigenze di tutti gli altri; a meno che il gruppo dei paesi di testa sia riconosciuto dagli altri come quello che detta il tempo e le istituzioni e sa farsi carico delle esigenze di tutti gli altri. Ma se si pensa che la metafora dell’orologio non funzioni e che invece occorra utilizzare quella della bilancia (cioè del pendolo del mercato, per parafrasare il titolo del bel libro di Otto Mayr), allora bisogna ragionare in termini di aree geopolitiche che si stanno fronteggiando e saranno sempre più destinate a fronteggiarsi e, auspicabilmente, a cooperare. In questa prospettiva se l’Italia vuole agire nel mare aperto della globalizzazione siamo sicuri che questo modello di orologio imposto dalla Germania sia quello che per noi funziona meglio? Una domanda che non dovrebbe porsi solo l’Italia, ma anche Francia, Portogallo e la stessa Spagna sussidiaria del modello tedesco. Ci rompiamo la testa sullo 0,1-0,2% del disavanzo mentre dovremmo immaginare un programma a 5-6 anni di riforme serie per innovare e rilanciare investimenti pubblici, industria tecnologicamente avanzata e macchina amministrativa, senza riguardi per vincoli sciocchi eteroimposti (e accettati da una classe politica screditata che ha affidato ai cosiddetti tecnici i lavori difficili). Nel frattempo il tempo passa e l’area centro europea che guarda con un occhio ad ovest e uno a est sta cercando di capire come fare per gestire al meglio la tempesta ucraina, che ha contribuito non poco essa stessa ad alimentare, la stessa tecnica che aveva utilizzato per disarticolare alcuni stati della ex-Jugoslavia che ora sono saldamente nella sfera tedesca (Croazia in testa). Se l’innovazione delle istituzioni europee sta tutta in un processo modellato sulla idea tedesca dell’orologio che deve funzionare senza trasferimenti di risorse tra Stati, senza bilancio pubblico europeo, senza un vero controllo bancario, senza investimenti europei, senza banca centrale che domina i tassi di interesse, ma solo col controllo del quadrante dello spread, guidato dai mercati finanziari (e dall’organizzazione del lavoro tedesca), temo che siamo arrivati al capolinea di questo modello. Anche se potrà continuare a battere per molti anni mentre il tempo del mondo va verso altre crisi. Il federalizing process di cui parlano sovente i professionisti di questa Europa a trazione tedesca sembra irrimediabilmente in panne. Se non si ricrea un nuovo focus europeo le cui linee di convergenza considerino tutti i quadranti di un orologio che deve segnare il tempo dello sviluppo equilibrato per tutte le aree di questo straordinario e complesso continente, non è difficile immaginare che le spinte centrifughe e nazionaliste cresceranno sotto l’alibi dell’Islam e della guerra di civiltà. Per fare da argine a questa marea è necessario che le componenti razionali e laiche che hanno fatto grande la cultura di questo continente si ritrovino dentro un progetto europeista democratico di stampo laburista (…). Un tale focus non può essere solo una costruzione teorica ma richiede una base sociale di riferimento (partiti e sindacati) e leader coerenti con tale prospettiva.

Da “Germania, l'acqua calda del finto boom” di Alberto Bagnai, su “il Fatto Quotidiano” del 22 di ottobre dell’anno 2014: (…). Prassi vorrebbe (…). Ma un economista è un esperto che saprà domani perché quello che ha previsto ieri non si è verificato oggi. Quindi in questo caso temo di non potervi essere di aiuto. Che con la sua intransigenza la Germania stesse segando il ramo sul quale era seduta (cioè l'Eurozona) l'ho detto il 23 agosto 2011 sul manifesto, e le statistiche aggiornate secondo il sistema SEC2010 ci dicono che questa facile previsione si è già verificata: la Germania è già stata in recessione tecnica fra fine 2012 e inizio 2013, anche se nessuno ne ha parlato. Quella che si potrebbe materializzare fra breve sarebbe così la terza recessione dal 2008, il triple dip. Nulla di catastrofico: forse un -0.2% sul trimestre precedente, nel contesto di una crescita annuale comunque sopra all'1% (per noi un miraggio). Ma il dato è significativo perché rivela che la Germania non può fare a meno dell'Europa. La grama vita dell'economista offre solo l'inelegante soddisfazione di dire "io l'avevo detto" e mi scuso per averne approfittato. Non vorrei però che questo articolo passasse per la petulante rivincita del secchione che per una volta ci ha azzeccato. Vorrei invece riflettere con voi sul fatto il problema al quale siamo di fronte è piuttosto banale in termini economici (l'euro non funziona), ma è enorme in termini politici. La crisi tedesca ci impone di ripensare il modo in cui negli ultimi trent'anni abbiamo articolato il nostro rapporto con l'Europa. L'idea che gli italiani non si meritassero la democrazia, e quindi avessero bisogno di un "vincolo esterno", di "regole europee", per governarsi, si sta rivelando fallace non solo per il suo intrinseco fascismo (che già basterebbe a rifiutarla), ma soprattutto perché il modello che le nostre élite ci additano, cioè la Germania, è fallimentare. Il decollo del surplus commerciale tedesco a partire dall'ingresso nell'euro rivela che l'industria tedesca può prosperare solo in un mercato drogato dalla finanza tedesca. Il modello tedesco è semplice: se ti indebiti per comprare i miei beni, sono bravo io; se poi i soldi che ti ho prestato con le mie banche decotte non riesci a restituirli, sei cattivo tu. Il classico testa vinco io, croce perdi tu. (…). Nonostante le dichiarazioni avverse delle élite finanziarie tedesche, chi comandava sapeva che la presenza dei paesi del Sud avrebbe dato alla Germania il vantaggio di commerciare con una moneta che per lei era una lira travestita, dandole un vantaggio di prezzo. Ai moralisti "de noantri", che tanto volevano "alzare la nostra asticella" (che poi non era la loro, ma quella di contribuenti e imprese) per sferzarci a essere competitivi, sfuggiva che così facendo l'abbassavano a un'economia già più produttiva della nostra, che quindi non avrebbe avuto bisogno di essere aiutata. Ma in economia non ci sono miracoli, e i comportamenti sleali si pagano sempre. Drogando la propria competitività con una moneta per lei debole, e la propria crescita con la domanda altrui (le esportazioni), scegliendo insomma di campare sui consumi altrui anziché sugli investimenti propri, la Germania ha compromesso il proprio futuro. Oggi tutti i giornali propalano il segreto di Pulcinella: la dotazione infrastrutturale tedesca è in uno stato preoccupante, le politiche di repressione salariale hanno fatto aumentare la disuguaglianza, le banche tedesche avranno seri problemi col prossimo stress test, la produttività rallenta. Tutto vero, ma perché lo scoprono solo adesso? …la Germania ha fatto i propri interessi, magari in modo miope (e ne pagherà i costi), ma questo non può esserle rimproverato. L'Europa infatti non nasce nel segno della solidarietà fiscale: se così fosse stato, si sarebbe creato uno stato federale. Nasce invece nel segno delle regole. Era quindi chiaro fin dall'inizio che non ci sarebbe stata la volontà politica di affrontare un percorso comune, e hanno sbagliato le nostre élite, privandoci in un simile contesto dell'arma difensiva del cambio. (…). Il fallimento del modello tedesco indurrà finalmente i nostri politici ad abbandonare la retorica dell'europeismo di maniera? Quando avremo politici disposti a riconoscere che l'interesse nazionale non è un residuato bellico, ma un dato col quale confrontarsi in questa unione di paesi disparati, non mediata da alcuno strumento politico di condivisione del rischio economico? Riconosceranno mai che ripristinare lo Stato nella sua piena sovranità economica è indispensabile per tutelare i diritti economici e civili dei cittadini? (…).

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