"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi

"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi
"Il bruco" (2017). Nikon Coolpix P900. Foto macro. Stato larvale della falena diurna "Macroglossum stellatarum" volgarmente detta "sfinge colibrì".

mercoledì 18 febbraio 2015

Oltrelenews. 25 “L’1% vs il 99%”.



Da “La crisi fa bene ai ricchi raddoppia i loro beni” di Federico Fubini, sul quotidiano la repubblica del 19 di gennaio 2015: (…). È andata così. Nel 2008 la ricchezza netta accumulata del 30% più povero degli italiani, poco più di 18 milioni di persone, era pari al doppio del patrimonio complessivo delle dieci famiglie più ricche del Paese. I 18,1 milioni di italiani più poveri in termini patrimoniali avevano, messi insieme, 114 miliardi di euro fra immobili, denaro liquido e risparmi investiti. Le dieci famiglie più ricche invece arrivavano a un totale di 58 miliardi di euro. In altri termini persone come Leonardo Del Vecchio, i Ferrero, i Berlusconi, Giorgio Armani o Francesco Gaetano Caltagirone, anche coalizzandosi, arrivavano a valere più o meno la metà di un gruppo di 18 milioni di persone che, in media, potevano contare su un patrimonio di 6.300 euro ciascuno. Cinque anni dopo, e siamo nel 2013, sorpasso e doppiaggio sono già consumati: le dieci famiglie con i maggiori patrimoni ora sono diventate più ricche di quanto lo sia nel complesso il 30% degli italiani (e residenti stranieri) più poveri. Quelle grandi famiglie a questo punto detengono nel complesso 98 miliardi di euro. Per loro un balzo in avanti patrimoniale di quasi il 70%, compiuto mentre l'economia italiana balzava all'indietro di circa il 12%.
I 18 milioni di italiani al fondo delle classifiche della ricchezza sono scesi invece a 96 miliardi: una scivolata in termini reali (cioè tenuto conto dell'erosione del potere d'acquisto dovuta all'inflazione) di poco superiore al 20%. Quanto poi a quelli che in base ai patrimoni sono gli ultimi dodici milioni di abitanti, il 20% più povero della popolazione del Paese, lo squilibrio è ancora più marcato: nel 2013 le 10 famiglie più ricche d'Italia hanno risorse patrimoniali sei volte superiori alle loro. (…). L'analisi si basa sui dati pubblicati dalla Banca d'Italia relativi alla ricchezza netta nel Paese e la sua suddivisione fra strati sociali. Per le famiglie con i dieci maggiori patrimoni, una lista che negli anni è cambiata, le informazioni sono tratte dalla classifica annuale dei più ricchi stilata dalla rivista Forbes. Inevitabilmente né l'una né l'altra serie di dati è perfetta, molte informazioni sui patrimoni non sono pubbliche e restano soggette a stime più o meno accurate. Ma le tendenze emergono con prepotenza e raccontano due storie di segno diverso. La prima non è a lieto fine: dal 2008 l'Italia ha subito un colossale abbattimento di ricchezza che si è scaricato con forza verso la parte bassa della scala sociale, mentre al vertice tutto si svolgeva in modo opposto. Lassù il ritmo dell'accumulazione di patrimoni personali accelerava come forse mai negli ultimi decenni. La seconda storia invece fa intravedere un po' di luce in fondo al tunnel, perché la lista dei super-ricchi è cambiata in modo tale da alimentare qualche speranza sulle capacità del Paese di produrre in futuro più innovazione, lavoro e reddito e meno rendite più o meno parassitarie. Sicuramente il punto di partenza di questi anni non è incoraggiante. Calcolata in euro del 2013, la ricchezza netta totale degli italiani crolla di 814 miliardi negli ultimi cinque anni (quelli per i quali sono disponibili i dati, fino appunto al 2013). Sparisce nella voragine della recessione quasi un decimo di patrimonio netto delle persone che vivono in questo Paese. Circa due terzi di questa erosione si spiega con il calo del valore delle case, mentre il resto è dovuto a perdite finanziarie o al ricorso di certe famiglie ai risparmi per sostenere le spese quotidiane. (…). Nel 2000 (…) il 40% più povero della popolazione residente in Italia, 24 milioni di persone, aveva patrimoni pari al 4,8% della ricchezza netta totale del Paese. Dieci anni dopo quella quota era già scesa al 4,2%. Anche così, il calo dei patrimoni della "seconda" metà d'Italia, l'Italia meno ricca, è superiore alla media del Paese. Chi è già povero si impoverisce più in fretta. Nel 2013 quei 30 milioni di italiani avevano nel complesso 829 miliardi (mentre gli altri 30 controllavano gli altri 8500). Nel 2008 però quegli stessi 30 milioni di persone avevano (in euro 2013) per l'esattezza 935 miliardi. Dunque la "seconda" metà del Paese durante la Grande Recessione è andata giù dell'11,3% in termini patrimoniali. La prima metà invece, i 30 milioni di italiani più ricchi, è scesa dell'8,2%. Gli uni non solo erano molto più poveri degli altri prima della crisi: si sono impoveriti di più durante. Tutt'altro Paese invece per le prime dieci famiglie. La loro ricchezza netta sale di oltre il 60% in termini reali fra il 2008 e il 2013 e la loro quota sul patrimonio totale degli italiani aumenta. Cambia però anche un altro dettaglio: la loro composizione. I più ricchi del 2013 non sono gli stessi del 2008 o del 2004 e per certi aspetti formano una lista più interessante. Ora nel gruppo si trovano famiglie meno dedite alle rendite di posizione, alla speculazione pura o al rapporto con la politica per fare affari. Adesso dominano i primi posti imprenditori più impegnati nella creazione di valore, lavoro e manufatti innovativi che interessano al resto del mondo. Negli anni, escono dalla graduatoria di Forbes o scivolano in basso i capitalisti italiani che basano i loro affari su concessioni pubbliche o investimenti immobiliari e finanziari. Emblematica - non isolata - la vicenda dei Berlusconi, che negli ultimi cinque anni perdono 3,2 miliardi di patrimonio e scivolano dal primo posto del 2004, al terzo del 2008, al sesto del 2013. Sale in fretta invece il patrimonio di produttori industriali dediti all'export. Succede nell'alimentare (i Ferrero o i Perfetti), nella moda e lusso (Del Vecchio di Luxottica, Giorgio Armani, Miuccia Prada e Patrizio Bertelli, Renzo Rosso), nella farmaceutica e nell'industria ad alto contenuto tecnologico (Stefano Pessina o i Rocca di Techint). Escono dalla top ten invece investitori finanziari-immobiliari come Caltagirone o chi in passato ha puntato troppo sulle banche. Questa diversa qualità del capitale vincente è un passo avanti di un'Italia sempre più piena di squilibri. È un Paese che forse però si sta liberando, nel dolore, di alcuni dei peggiori vizi del suo capitalismo. (…).

Da “Disuguaglianze record l'1% della popolazione nel 2016 sarà più ricco del restante 99%” di Andrea Greco, sul quotidiano la Repubblica del 20 di gennaio 2015: (…). Nel rapporto Grandi disuguaglianze crescono , della confederazione di 17 Ong britannica, si documenta come la ricchezza detenuta dall'1% della popolazione mondiale s'è avvicinata a quella del restante 99% e la supererà nel 2016. Tra pochi mesi quindi lo slogan brutale del movimento Occupy Wall Street nato quattro anni fa per denunciare gli abusi del capitalismo finanziario - potrebbe concretizzarsi. Secondo la ricerca, l'1% dei ricchi ha visto il proprio patrimonio crescere, dal 2009 al 2014, dal 44% al 48% del totale. E a questo ritmo supererà il 50% l'anno prossimo. I membri dell'élite avevano in media 2,7 milioni di dollari a testa nel 2014. Né il restante 52% della ricchezza è ben distribuito: sta quasi tutto nelle tasche di un altro quinto dei terrestri più agiati. Per tutti gli altri, pari al 79% del pianeta, resta il 5,5% dei fondi: la bellezza di 3,851 dollari a testa, 700 volte meno della media dell'1% ricco. Un paese dorato di 34,8 milioni di persone, di cui 14 americani, 2,7 giapponesi, 2,4 francesi, 2 tedeschi e inglesi, e 1,6 milioni italiani. «L'esplosione della disuguaglianza frena la lotta alla povertà in un mondo dove oltre un miliardo di persone vive con meno di 1,25 dollari al giorno, e 1 su 9 non ha abbastanza da mangiare - ha detto Winnie Byanyima, direttrice esecutiva di Oxfam International -. Sono necessarie misure per invertire la tendenza ». (…). Le organizzazioni non governative chiedono (…) più servizi pubblici come salute e istruzione, una tassazione che dal lavoro viri sul capitale, l'introduzione di salari per lavoratori e di redditi garantiti per poveri, norme perequative sui redditi, specie a favore delle donne. Il fatto che i ricchi arricchiscano, e i poveri impoveriscano, è legato a due grandi fattori. Il primo sono le politiche anticrisi di sostegno monetario delle banche centrali di Usa, Giappone, Europa in questi anni, che hanno portato la liquidità a gonfiare il prezzo di azioni e bond (tra i titoli preferiti dagli abbienti, senza dire che i poveri non investono in Borsa). Il secondo è la rincorsa dei paesi emergenti, che ha portato miliardi di persone fuori dalla povertà, ma ha anche creato nuove disparità in aree dove le politiche pubbliche di welfare e redistribuzione sono ridotte (Russia, Cina, India, Sud America). (…).

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