"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi

"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi
"Il bruco" (2017). Nikon Coolpix P900. Foto macro. Stato larvale della falena diurna "Macroglossum stellatarum" volgarmente detta "sfinge colibrì".

lunedì 9 febbraio 2015

Sfogliature. 36 “Potrei credere soltanto in un Dio che ride”.



Cosa ce ne viene dalla terribile esperienza di “Charlie Hebdo”? È la terribile vicenda di “Charlie Hebdo” che mi spinge a proporre questa “sfogliatura” di un post che risale al 24 di maggio dell’anno 2011 e che aveva allora, mantenuto anche in questa occasione, per titolo, “Potrei credere soltanto in un Dio che ride”. Non è un voler banalizzare le “seriose” cose proprie delle religioni – per la qual cosa faccio mio quanto il grande Woody ebbe a sostenere “grazie a Dio sono ateo” - ma mi convinco sempre di più che la “seriosità” religiosa, di tutte le religioni senza distinzione alcuna, la loro intolleranza, reputandosi ogni religione l’unica depositaria della verità, siano state nel tempo degli umani motivo di terribili tragedie e lo saranno per sempre se la ragione non ci soccorrerà. Ritrovo il post alle pagine 2.091 e 2.092 dell’e-book fortunosamente salvato dalle profondità oscure delle rete e come tale lo ripropongo:
"Dio è morto, Marx è morto e anche io non mi sento tanto bene". Lo sosteneva il grande Woody nel Suo strepitoso film “Io e Annie”. E voi, come la mettete? Non so voi, ma io il problema di un dio me lo sono sempre posto. Direte: le solite oziosità. Ma no, dio è una delle domande della vita. Se non vi siete posta la domanda classica “dio esiste?” è perché forse siete presi troppo dal vostro lavoro, dalle vostre preoccupazioni, dalla vostra carriera che sembrava tutta in discesa e che ad un certo punto si è come incagliata, fermata. E poi la famiglia. E l’amore. Della politica meglio non parlarne. A fronte di tutto ciò, cosa può essere l’esistenza o la non esistenza di un dio? Se la cosa non vi ha mai sollecitato la “domanda delle domande” è fuori di ogni ragionevole dubbio che voi non abbiate potuto neppure porvi la questione, non secondaria, di quale dio possa essere rispondente alle vostre ansie, alle vostre aspettative, ai vostri bisogni spirituali. Dite la verità: avete mai chiesto al prete, ai vostri familiari, all’amica/o del cuore com’è il dio da essi proposto? È per caso il “dio degli eserciti” della biblica tradizione? Nel qual caso bisognerebbe ignorare il problema, anzi rifiutarlo alla radice. Si parla sempre, sia chiaro, di quell’entità che nessuno ha mai visto, che non si è mai materializzata sotto forma vivente, e la cui presunta esistenza è legata alla buona volontà di chi sia disposto, in cuor suo, a credere in qualcosa di non sensibile, di assolutamente indimostrabile. Scendendo sul piano dell’aneddotica più elementare si narra che il celebre Pierre-Simon de Laplace, celeberrimo matematico, all’imperatore Napoleone che gli chiedeva come mai nei suoi trattati non avesse fatto apparire mai o fatto cenno ad un dio qualsivoglia, si narra, dicevo, che quel fertilissimo cervello umano abbia risposto semplicemente: - Maestà, non avevo bisogno di quell’ipotesi -. Ora, se voi non vi siete posta mai anche l’altra domanda “dio com’è”, accettando l’esistenza o la non esistenza di un dio e le sue “qualità a prescindere”, o secondo le tramandate buone tradizioni familiari, ed io invece me la sono posta a più riprese non addivenendo mai ad un risultato credibile ed accettabile, una ragione ci sarà pure. Come situarci allora rispetto a quelle domande della vita? Ha cercato di darne risposta il celeberrimo biologo dell’Università di Oxford Richard Dawkins nel Suo “L’illusione di Dio”- 2007, Mondadori Editore, pagg. 400, € 19.00 -, stilando alla pagina 57 del Suo straordinario lavoro una scala entro la quale, ponendo ai rebbi estremi della Sua “forchetta” il “100% di probabilità che Dio esista. Convinto teista. Come ha detto Carl Gustav Jung, - Non credo: so – ed all’altro estremo la “probabilità pari a zero. Ateo convinto. – Credo che Dio non esista con la stessa sicurezza con cui Jung sa che esiste” -, possano i più volenterosi e problematici rinvenire il proprio livello e il proprio stato di “buona salute” spirituale e mentale. Sembra che abbia risolto il problema anche il professore Daniele Bolelli, docente di Storia delle religioni, nel Suo “iGod” di prossima pubblicazione in Italia. Un’anticipazione del Suo lavoro è stata pubblicata sul settimanale “D” del quotidiano “la Repubblica” col titolo “Potrei credere soltanto in un Dio che ride: perché le religioni dovrebbero essere divertenti”, che di seguito trascrivo in parte. “Un Dio che ride”: che non sia questa la soluzione al problema? “(…). …il grande oratore americano dell'800 Robert Ingersoll ha detto una volta: - Quando ero ragazzo, la domenica era considerata troppo santa per essere felici -. (…). A dire il vero, la maggior parte delle scritture religiose in tutto il mondo è tutt'altro che unanime nella condanna esplicita della risata. Ad esempio la Bibbia, con la sua abituale chiarezza, ci dice che gioia e riso sono buoni, a parte il fatto che sono cattivi. Siete confusi? Verificate da voi. Nell'Ecclesiaste 8:15 si legge: - Allora raccomandai la gaiezza, perché per un uomo non c'è nulla di meglio sotto il sole che mangiare e bere ed essere allegro -. Pronti a stappare lo champagne e a dare inizio alla festa? Non ancora, perché nel tentativo di provare che la coerenza logica è sopravvalutata, l'Ecclesiaste 7:3-4 afferma: - Il dolore è meglio del riso; perché il cuore è reso migliore dalla tristezza della compostezza. Il cuore del saggio è nella casa del lamento; mentre il cuore degli stolti è nella casa della gaiezza -. (…). Quando le tue autorità religiose parlano costantemente di sofferenza, contrizione, vergogna, paura, peccato e fiamme dell'inferno, è piuttosto dura ridere. Bevendo questi depressivi teologici giorno dopo giorno, tantissima gente religiosa è arrivata alla conclusione che il divertimento non può trovare posto nella vita religiosa. Per loro divertente è il contrario di serio. Non c'è tempo per giocare, dicono a se stessi: stiamo parlando di Dio, e del paradiso e dell'inferno, e del significato della vita. Questa è roba seria. (…). La giocosità è linfa vitale. È quello che fa la differenza. (...). Mentre tante tradizioni lo disapprovano, alcune religioni - Zen, Taoismo, Tantrismo, Sufismo, tanto per citarne qualcuna - valutano il riso come il loro possedimento più prezioso. Gli antichi egizi credevano che, dopo la morte, gli umani sarebbe stati valutati pesando i loro cuori in relazione a una piuma: solo se fossero stati più leggeri sarebbero stati considerati degni di immortalità. (…). Quelle esperienze che consideriamo più sacre rischiano sempre di dar vita a dogmi. Più qualcosa è per noi importante, più è probabile che vogliamo preservarlo, proteggerlo e - continuando nell'allitterazione di terribili P - trasformarlo in un esclusivo playground di preti. Lungo la strada, molte ideologie politiche e religiose iniziate come fonti vitali e genuine di stimoli e liberazione hanno perso tutta la loro flessibilità e si sono trasformate in dogmi cupi e sinistri. La freschezza del loro messaggio si è prosciugata quando i loro seguaci hanno cominciato a preoccuparsi di conservare le verità che avevano scoperto. (…). …una seriosità mortale e la mancanza di humour piantano i semi del fanatismo, e il fanatismo nega lo spirito che al principio ha prodotto le buone idee. Ecco perché se vogliamo evitare di cadere in questa trappola non dobbiamo mai trascurare di nutrire il nostro senso dello humour. Qualunque religione che non rida di se stessa è spaventosa. È proprio quando una cosa è sacra e importante, che abbiamo bisogno di riderne. Nietzsche aveva ragione una volta di più quando scriveva ‘non conosco altra maniera di trattare i grandi valori che non sia il gioco’. Il riso e la giocosità sono i soli antidoti al dogmatismo pomposo. Mantengono le cose sciolte e rilassate. Ci impediscono di diventare tronfi e troppo arroganti. Ogni volta che mi imbatto in gente troppo rigida mi risuona un campanello d'allarme. Di cosa hanno paura? Hanno davvero così poca fiducia in se stessi e nel potere dei loro ideali da credere che una buona battuta li indebolirebbe? La mancanza di self-humour è un segno certo di patologica insicurezza, proprio come gli atteggiamenti da macho, lo stare sulla difensiva e l'aggressività. È il risultato di un ego tanto ampio quanto fragile. (…). Ma la spiritualità vera non ha timore di ridere e di danzare. La spiritualità vera si diverte nel miracolo dell'esperienza ordinaria. (…). Parlando di Zen, ecco una tradizione che non si fa problemi a parlare di questioni serie nei modi più esilaranti. Una delle mie storie Zen preferite lo mette perfettamente in chiaro. L'eroe è un maestro giapponese del XV secolo, Ikkyu (conosciuto anche come Nuvola Pazza), una versione buddista di Bugs Bunny, assetato di sake e di sesso che amava tremendamente buttare all'aria istituzioni e tradizioni. I suoi confratelli erano terrorizzati dalla sua intelligenza tagliente e dal suo approccio allo Zen troppo intenso e autentico. Un giorno Ikkyu ebbe un interessante incontro con un yamabushi - un eremita ascetico che praticava un mix di Buddismo e Scintoismo - mentre entrambi erano passeggeri di un traghetto. Sentendosi sicuro di sé, il yamabushi decise di giocare la vecchia partita la mia religione è meglio della tua e si vantò della sua capacità di compiere miracoli. Per darne prova cominciò un complicato rituale finché non evocò l'immagine infuocata di uno dei suoi sulla prua della nave. - Sei capace di superarmi con il tuo Zen? -, chiese compiaciuto. Rispondendo alla sfida, Ikkyu prontamente si abbassò i pantaloni e pisciò sulla visione spegnendo il fuoco. – Guarda -, disse innocentemente, - dal mio corpo è uscito un miracolo -. (...). Ma ora basta con aneddoti e storie. Il punto è che incoraggiando gioia e flessibilità mentale, il riso e lo humour sono le armi migliori per prevenire il raccolto dei frutti del dogma religioso: conflitto, violenza e guerre sante. (…). Lungi dall'essere una questione secondaria, il riso è ciò che può salvare una religione dal trasformarsi in una fanatica macchina di violenza e oppressione.”

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