"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi

"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi
"Il bruco" (2017). Nikon Coolpix P900. Foto macro. Stato larvale della falena diurna "Macroglossum stellatarum" volgarmente detta "sfinge colibrì".

martedì 16 giugno 2020

Cosedaleggere. 47 Kant: «abbi il coraggio di servirti del tuo stesso intelletto».

Ha scritto la carissima amica Agnese A. nel commento al post del 9 di giugno ultimo - Kant: «La differenza tra il bene e il male ciascuno la sente naturalmente da sé». Oggi non è più vero -: (…). Leggo sempre con sommo piacere i preziosi scritti del Professor Galimberti, che, oltre ad appassionarmi immensamente, mi fanno molto riflettere. Colgo l’occasione per renderLe sicuramente un “prezioso” omaggio con questo testo tratto da “La libertà di pensiero si conquista” - per l’appunto del professor Umberto Galimberti - pubblicato sul settimanale “D” del quotidiano “la Repubblica” del 18 di giugno dell’anno 2016:
Appellarsi alla propria coscienza non basta. Perché spesso, ritenendo di decidere con la nostra testa, siamo in realtà condizionati da chi pensa per noi. (…). Fu nel Settecento, con l'Illuminismo, che si avanzò, tra mille difficoltà, il diritto di pensare con la propria testa, che Kant celebrò con questa espressione: «L'illuminismo è l'uscita dell'uomo da una condizione di minorità di cui egli stesso è responsabile. "Minorità" è l'incapacità di servirsi del proprio intelletto senza la guida di altri». Ne consegue che l'Illuminismo non è solo una corrente di pensiero o un compendio di conquiste filosofiche, ma un atteggiamento, una condotta, una pratica di vita, un esercizio del pensiero da cui non è possibile esonerarsi se non al costo, scrive Kant, «di violare e calpestare i sacri diritti dell'umanità». Quindi un compito etico da trasmettere da una generazione all'altra, un compito infinito che si ripropone ogni volta che una religione, una fede, una visione del mondo, una dittatura, una propaganda, una insistenza mediatica, riescono a farci credere che sono nostri i pensieri che in realtà, magari addirittura senza accorgercene, abbiamo assimilato. Ma per pensare con la propria testa come ci invita a fare Kant quando dice «abbi il coraggio di servirti del tuo stesso intelletto», dobbiamo aver nutrito la testa con la cultura e il senso critico a cui dovrebbe allenare la nostra scuola, perché oggi a condizionare la mente non è tanto la Chiesa, quanto la potenza pervasiva dei media. E questa, per convincere, non ha bisogno né di torture né di roghi, perché persuade appoggiandosi alla nostra ignoranza, al nostro bisogno di conferme, a quella guerra mai risolta tra identità e appartenenza, dove a vincere è sempre l'appartenenza, perché lì ci si sente protetti, sostenuti e soprattutto "come tutti gli altri", che è poi il sogno di quanti faticano a esprimere la propria autonomia, difficile da sostenere e da difendere. Quando si dice la propria "testa" o la propria "coscienza", in realtà non si sta dicendo niente di interessante, perché il problema è: quante cose sa quella testa? E di quanto giudizio critico e autocritico è nutrita quella coscienza? Ne consegue che il principio di autodeterminazione, nel formulare le nostre opinioni o nel dirigere la nostra condotta, non è di per sé un criterio a cui dobbiamo inchinarci, perché la nostra coscienza non è altro che il frutto dei condizionamenti a cui, anche senza una nostra decisione, ci siamo arresi, vittime in un modo o nell'altro di chi ci ha persuaso. E qui a soffrirne è anche la democrazia, perché là dove non c'è cultura, conoscenza, riflessione critica, vale sempre il principio: "una testa un voto", ma forse quella testa non è proprio la nostra, ma un'appendice di chi, a nostra insaputa, ce la sta guidando. È che tanto tempo addietro avevo espressamente chiesto alla carissima amica che mi facesse avere un Suo scritto con il quale avrei di certo arricchito la “vita” di questo blog. Conosco l’amica Agnese da sì lungo tempo tanto da convincermi a desistere nella mia richiesta sapendo quanto la Sua persona sia riservata - sino all’eccesso - ed in pari tempo di un garbo che non ha mondo nel tempo che siamo chiamati a vivere. Non nascondo allora la trepidazione che mi ha preso nell’occasione di un Suo commento che, senza chiederLe esplicito consenso, ho proposto alla generale lettura. Ora sono convinto che quella mia spregiudicatezza ed imprudenza non abbiano leso la Sua riservatezza e ciò mi è di conforto. In pari tempo riconosco come ciò di cui l’amica carissima ha lasciato traccia abbia arricchito e rafforzato il carattere proprio di questo blog. Le sono immensamente grato. Ha scritto ancora in quel Suo commento che mi garba assai mettere accanto allo scritto di quell’Autore del quale si professa ammiratrice e lettrice attenta e puntuale: La formazione della coscienza è un compito molto delicato che spetta ai genitori e agli insegnanti. La lezione più importante è il buon esempio, infatti il comportamento degli educatori vale più di molte lezioni. Neppure i sentimenti sono una dote naturale, devono essere "imparati" e pertanto ci deve essere qualcuno disposto ad "insegnarli". Tutte le culture hanno cercato il metodo educativo più efficace per formare persone sensibili al bene ed abili nel dominare i propri impulsi, in modo da poter creare dei sani rapporti sociali. La mitologia greca risulta essere, in questo caso, un metodo emblematico. La civiltà contemporanea ha a disposizione anche la letteratura che è uno strumento efficace, per conoscere i sentimenti e ampliare l'esperienza esistenziale collettiva. Bisogna cominciare dall'infanzia con le fiabe, in cui il male è presente quanto il bene, come nella vita reale e nell'essere umano. Questo dualismo è alla base del problema morale e nelle fiabe il male e il bene sono sempre ben delineati. I personaggi sono o buoni o cattivi, quindi il bambino può facilmente identificarsi. Gli educatori oggi parlano ai giovani di tanti problemi, di tante cose superflue, ma non sanno più parlare loro della differenza tra il Bene e il Male e della necessità di operare una scelta rispetto ad essi. Non c'è più l'idea di un dovere da compiere, di un bene da scegliere e di un male da cui tenersi lontani. Meno ancora si parla della volontà, che è lo strumento mediante il quale l'uomo è chiamato a operare delle scelte. Scelte magari difficili e faticose, ma che devono essere in armonia con un responsabile progetto di vita di ogni uomo, nel rispetto di se stesso e degli altri. (…).

1 commento:

  1. Carissimo Aldo, grazie di cuore per questo "prezioso" omaggio, veramente molto gradito! E grazie ancora per la benevolenza con cui hai voluto elogiare e valorizzare quelli che ritengo siano solo semplici commenti ad alcuni tuoi eccezionali post, per me particolarmente coinvolgenti. L'esortazione kantiana a pensare con la propria testa è un invito ad orientare l'intera educazione dell'uomo verso la formazione di un pensiero autonomo, abituandolo all'esercizio del senso critico, che parte dallo spirito di osservazione personale e dal rifiuto dei pregiudizi, ma che favorisce anche la disponibilità al confronto con il pensiero dell'altro. Il pensiero autonomo è una conquista che impegna le risorse intellettuali e le energie morali, una lotta per evitare il rischio di cadere in balia del potere altrui e di esserne soggiogati. È necessario lavorare e impegnarsi, avendo come meta la "coscienza critica" che aiuta a comprendere a fondo la realtà e a smascherare opinioni infondate. Saper pensare con la propria testa è di vitale importanza per la nostra vita, anche se richiede impegno e fatica. Mi piace concludere riportando una citazione riferita a Socrate:"Io non posso insegnare niente a nessuno. Io posso solo farli pensare". Grazie per la condivisione di questo meraviglioso testo del Professor Galimberti e buona continuazione. Agnese A.

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