"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi

"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi
"Il bruco" (2017). Nikon Coolpix P900. Foto macro. Stato larvale della falena diurna "Macroglossum stellatarum" volgarmente detta "sfinge colibrì".

domenica 14 giugno 2020

Ifattinprima. 69 «I politici sono quello che sono, ma certi giornalisti riescono sempre a essere peggio».

Tutto può accadere e tutto può essere impunemente detto in un Paese che non ha mai avuto “memoria” - non dico storica, che sarebbe troppo solamente a pensarci - ma almeno dei fatti in esso avvenuti e delle parole dette o non dette.
E come avrebbe potuto possederla quella “memoria” se storicamente ha vissuto parcellizzato da potenze straniere e con in più ha ospitato ed ospita tuttora una “confessione” religiosa divenuta Stato a tutto gli effetti? Un bubbone che si aggiunge alla parcellizzazione militare e politica e sociale operate ed imposte dalle altre potenze europee. Ha scritto Furio Colombo su “il Fatto Quotidiano” del 29 di dicembre dell’anno 2019 in “Chi sono davvero gli italiani”: (…). Spetta certamente a Salvini di avere inventato gli italiani. Sono tutti quelli che stanno con lui, sono un popolo a parte, ma sono anche tutti e Salvini parla per loro, subito seguito, qualunque cosa dica, da un continuo scroscio di applausi e di selfie come sulla spiaggia del Papeete. Ma bisogna riconoscere che la trovata ha attecchito. Accade spesso che leader di destra e di sinistra guardino in camera e dicano: “Gli italiani devono sapere”. “Questi soldi li dovete restituire agli italiani”. E anche: “Abbiamo restituito questi soldi agli italiani” che naturalmente non hanno ricevuto nulla. Se volete, anche il presidente del Consiglio è stato contagiato quando ha detto: “Sarò l’avvocato del popolo italiano”, mostrando la persuasione che c’è un governo qui e un popolo là, due cose distinte e separate, indicate spesso dalla usatissima frase “andate a spiegarlo agli Italiani”. Si tratta di una alterazione del rapporto fra qualcuno che ha il microfono aperto e la gente che lo ascolta. È un rapporto che non è traducibile in altre culture e altre lingue. Perché, nelle culture e nella vita politica degli altri che conosciamo, chi parla fa parte (o mostra di far parte) della folla che lo ascolta. E dice “noi”, usa ed esalta un plurale inclusivo che significa interesse comune per qualcosa che dobbiamo fare insieme. Come insegna qualunque esperto di linguaggi, il modo in cui parli dice molto di te. In questo caso sembra rivelare un gioco in cui i cittadini sono le pedine sulla scacchiera di altri che poi decidono le mosse, che devono apparire scatto volontario e inarrestabile. Ogni vittoria svergognerà l’altro giocatore, che aveva tentato invano mosse diverse, salvo accusa (si dice anche “salvo intese”) di imbroglio… Gli italiani erano previsti sotto le case degli avversari, e in ogni luogo e modo in cui avrebbero potuto fare paura e recare danno, e sono stati invocati da tutte le destre. Infatti ogni disobbedienza alla destra è un gesto ostile contro gli italiani. Che sono tutti di destra. Gli altri, naturalmente, non sono italiani… Ecco un testo di Forza Nuova dopo un Angelus di Papa Bergoglio in difesa dei migranti: “Chi, come Mimmo Lucano e Jorge Bergoglio, odia l’Italia e gli italiani, chi ci vuole silenziare, troverà la resistenza di Forza Nuova. Chiunque ripeta le litanie di Soros, ne difenda nei fatti gli interessi deve essere combattuto. Guerra al fronte immigrazionista di Papa Francesco, che, come Pietro Badoglio, è simbolo universale del tradimento più vergognoso. Il sentimento cattolico degli italiani non può essere usato come il cavallo di Troia di chi vuole che gli italiani non facciano più figli e le nostre donne abortiscano per sostituire gli italiani con gli immigrati. Il Papa dovrebbe salvaguardare il deposito della fede, promuovere dottrina e Verità, non favorire gli interessi di forze globaliste che fanno dello sfruttamento, dell’odio e del terrore le loro armi. Le posizioni politiche contrarie agli interessi nazionali, vanno combattute per costruire muri a difesa della civiltà”. Come vedete “gli italiani” sono le comparse di un film che sarebbe del tutto inventato se i suoi registi non avessero avuto a lungo (Lega di Bossi, Lega di Maroni, Lega di Salvini) le mani nel potere, girando liberamente le loro scene di abbandono in mare non solo di navi di volontari, ma anche (Diciotti e Gregoretti) di navi militari, dunque arrampicandosi su una realtà assurda oltre che illegale. Ma, attraverso la dichiarazione fatta a nome di tutti da Forza nuova, associano gli italiani usati come “comparse” con la parola odio e l’invito a combattere. Per questo bisogna essere grati alla frase semplice e grande di Liliana Segre: “Io non odio”. Ci dice così che l’antidoto all’odio è spiazzare l’odiatore, costretto a dare un pugno nel vuoto. Ma l’odio è stato anche improvvisamente fronteggiato dalla gentile iniziativa delle sardine, quei milioni di persone che fanno apparire piccole e inutili le piazze violente, e liberano “gli italiani” dalla condizione della loro identità succube che li fa andare, reagire, sostenere, odiare secondo istruzioni ricevute. Perché gli italiani si vedono, in tanti, non dalla parte degli odiatori, ma dalla parte della affermazione di Liliana Segre: “Io non odio”. Questa è l’Italia che ci si ritrova. Sta tutta qui la “discrasia”, la “disfunzione”, la “disorganizzazione” nella mente collettiva, tanto che essa possa bastare acché un qualsivoglia menatore di folla assurga agli onori ed agli oneri che ne derivino di questo impiastricciato stato “catatonico” di quello che un tempo veniva chiamato “bel paese” – “bel paese” perché? -. Ne ha scritto Marco Travaglio su “il Fatto Quotidiano” di oggi 14 di giugno nel Suo editoriale “La zona marron”: (…). Il Cazzaro Verde (al secolo Matteo Salvini n.d.r.) intima a Conte di “scusarsi coi parenti e gli amici dei troppi bergamaschi morti”. Lui che il 27 febbraio inguaiava i vertici della Lombardia: “Il Paese affonda, con i governatori leghisti concordiamo che occorre riaprire tutte le attività e tornare alla normalità”. E l’indomani rincarava: “Voglio dire a Conte che il problema non è la zona rossa, ma riaprire subito tutto. Si torni a produrre, a comprare, a sorridere”. Infatti il 29 febbraio l’apposito Gallera proclamò: “Non sono all’ordine del giorno nuove zone rosse, nemmeno ad Alzano e in Val Seriana”. Per fortuna poi la palla passò al governo, che chiuse tutta la Lombardia e altre province, poi l’intero Paese. Alle sparate ciclotimiche del Cazzaro si associavano come un sol uomo il Giornale e Libero, che ora trattano Conte da criminale per aver fatto ciò che non ha mai voluto fare la Lombardia (diversamente da regioni molto meno contagiate, che disposero 46 zone rosse e 70 arancioni in autonomia). Sentite Sallusti News, ieri: “Conte si autoassolve”, “Premier alla sbarra (sic, ndr) uno choc per M5S”, “L’incubo del premier”. È lo stesso house organ che il 28 febbraio esultava: “Isolato Conte. Il Nord riparte. Riaprono musei e duomo”. E Sallusti salmodiava: “Adesso bisogna velocemente tornare alla piena normalità, unica ricetta per sconfiggere paure e falsi allarmismi”. Nostradamus gli faceva una pippa. Intanto i focolai divampavano in tutta la Lombardia. Ma il 2 marzo la cantatrice calva di Arcore oracolava: “Pensare di salvare lo Stato e far morire l’economia è pura utopia. Salviamo a ogni costo commercio e impresa e lo Stato si salverà”. Il 5 marzo altra apertura memorabile: “Sanno solo chiudere”. Ora vogliono il premier all’ergastolo perché non chiuse quando non volevano loro. Libero è il consueto angolo del buonumore. Titolo: “Conte torchiato tre ore. La pm non lo assolve” (e come si assolve un testimone?). Editoriale di Annalisa Chirico, quella che fa l’innocentista anche sul mostro di Rostov e voleva riaprire l’Italia ancor prima che chiudesse: “Le vittime non avranno giustizia”. E autorevole analisi di Renato Farina in arte Betulla, che di processi se ne intende avendo patteggiato per concorso in sequestro di persona: “Conte ha voluto i pieni poteri. Fugge le responsabilità. Scarica le sue colpe su chi capita, perfino sugli imprenditori”. È lo stesso virologo della mutua che tre mesi fa fustigava il premier perché prendeva sul serio il virus: “È un pirla di virus qualsiasi”, “non montiamogli la testa” con inutili restrizioni. Era il 27 febbraio e Libero titolava: “Virus, ora si esagera. Non ha senso penalizzare ogni attività”. E il 28: “La normalità è vicina. Il virus ci ha stufati: si torni a vivere”. Cioè a morire. Il 2 marzo, capolavoro feltriano: “Lasciateci lavorare. Dopo i veneti, anche i lombardi scendono in piazza per essere liberati da alcune restrizioni. Confindustria e sindacati chiedono a Conte di riprendere l’attività”. Ora vogliono impalarlo per aver chiuso troppo poco e tardi. Poi c’è il mondo a parte dei giornaloni, che scrivono tutti lo stesso pezzo. L’idea che un premier faccia il suo dovere di testimoniare senza strillare al complotto o tentare di sottrarsi (come B., Salvini e Napolitano sulla Trattativa) li sgomenta. La scena, normale fra persone perbene, “non è bella” per Claudio Tito di Repubblica; fa “una certa impressione” a Marcello Sorgi della Stampa; ed è “preoccupante” per Massimo Franco del Corriere. Seguono le solite geremiadi sulla “politica debole” (infatti Conte non ha sparato ai pm) e la “supplenza della magistratura”. Tutta colpa dei 5Stelle (e di chi, se no?) che, assicura Tito in un idioma non indoeuropeo, hanno “sistematicamente agito per trattenere la politica nel perimetro ancellare della propaganda e della giustizia sistematica”. Tito aggiunge che il governo è stato “incapace di spiegare all’opinione pubblica o meglio di persuaderla delle scelte compiute”. È lo stesso Tito che sparava sulle conferenze stampa in cui Conte spiegava e persuadeva. Perché i politici sono quello che sono, ma certi giornalisti riescono sempre a essere peggio.

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