Ha scritto Umberto Galimberti in “Come si è trasformata la nostra scuola?”
pubblicato sul settimanale “D” del quotidiano “la Repubblica” del 9 di giugno
dell’anno 2018: “Ha abbandonato ogni intento formativo per limitarsi alla valutazione
delle prestazioni oggettive”.
A chi ascrivere le responsabilità di un tale “degrado”? Agli operatori scolastici, ché in certa misura vi hanno contribuito? Ai responsabili della casa pubblica? Penso di fare cosa gradita alla cara amica Agnese A. se riporto in questo contesto quanto e cosa ha lasciato scritto a commento del post del 7 di giugno scorso - «È necessaria la scuola dove si imparano le parole e i ragionamenti» -, giusto per dare contezza piena a quello “pensiero educativo” che ha pervaso una buona fetta, non grande in verità, degli operatori scolastici: (…). …ritengo che la lettura di questo meraviglioso post sia fondamentale e illuminante per ogni educatore, ma, in modo particolare, per ogni docente. "È necessaria la scuola dove si imparano le parole e i ragionamenti", perché, solo imparando veramente parole e ragionamenti, si diventa persone equilibrate, coraggiose, comprensive e altruiste. Proprio a questo serve la scuola e questo deve essere il primo e più importante obiettivo che i genitori, ma, ancora di più gli insegnanti, devono porsi nella formazione della personalità dei ragazzi, i quali saranno gli individui che caratterizzeranno l'umanità del futuro. Le persone equilibrate emotivamente hanno imparato ad accettare se stesse e chi le circonda. Questo non vuol dire che condividono pensieri e modo di fare di chiunque, semplicemente hanno compreso che il mondo è saturo di diversità e loro nutrono profondo rispetto per coloro che pensano e agiscono in maniera differente. Chi è emotivamente equilibrato ha acquisito l'umiltà di rendersi conto che non esiste un unico modo di essere se stessi e tale umiltà può aiutare a fare spazio anche alle altre persone, riconoscendo la loro dignità di esistere per quello che sono, nel rispetto reciproco. Un individuo psicologicamente equilibrato si interessa agli altri ed è desideroso di aiutarli. Non insulta mai gli altri e, quando può, rivolge loro i suoi complimenti. È onesto negli affari e nelle relazioni, ama se stesso ed è in grado di identificare le buone qualità altrui, ma è anche realista circa i suoi difetti e le sue manchevolezze, pur senza biasimarsi. Si prende cura dei propri bisogni spirituali, emotivi, fisici, intellettivi, ma senza rigidità. Ha poche relazioni interpersonali forti e profonde, ma coltiva sempre tutte le relazioni all'insegna della serenità, del rispetto, della gratitudine. L'essere persone equilibrate emotivamente, quindi, è la condizione indispensabile per diventare consapevoli del fatto che ogni situazione vissuta modifica il nostro equilibrio e ci sfida ad apprendere nuove lezioni, sia che si tratti di momenti piacevoli, sereni, gioiosi, sia che si tratti di situazioni difficili, pesanti o dolorose. (…). Conosco molto bene il “pensiero educativo” della cara amica, poiché la Scuola abbisogna sì di strutture, mezzi e danari ma soprattutto abbisogna di una “idea di scuola”, abbisogna di un “pensiero educativo” per l’appunto che non debba essere necessariamente semplicistico poiché esso, essendo un “pensiero”, il più delle volte diviene ostico e complesso in pari tempo. Avere svuotato la Suola di quel “pensiero educativo” così magistralmente espresso dalla cara amica ha portato alle conseguenze sulle quali Umberto Galimberti ha intessuto il Suo ragionare: (…). I tratti che la nostra scuola va assumendo, e che individuiamo nella pianificazione, nell’imprenditorialità, nell’organizzazione, nella programmazione, nell’occupazione del tempo e nella disciplina da adottare nella creazione del lavoro, mi pare che riguardino solo gli insegnanti. Posso immaginare che tutti questi indirizzi o sollecitazioni spengano la creatività dei maestri, anzi ne sono abbastanza convinto. Ma mi chiedo: quanti sono gli insegnanti che possono definirsi “maestri”? Uno o due per classe quando va bene? E per gli altri? Per gli altri quei suggerimenti non nuocciono, perché là dove manca creatività, se non si pianifica, non si organizza, non si programma, il posto lasciato vuoto dalla creatività viene occupato dall’ignavia, dall’accidia, dalla noncuranza. Adesso però portiamoci dalla parte degli studenti e chiediamoci: quella pianificazione, quell’imprenditorialità, quell’organizzazione, quella programmazione sposta l’asse della valutazione degli studenti dalla loro personalità (in ogni suo aspetto completamente trascurata) alle loro prestazioni. Ne è una prova il fatto che non si fanno più i temi in classe dove potrebbe emergere la personalità dello studente, e al loro posto si fa la comprensione di un testo scritto dove si valuta la competenza linguistica. In questo modo nulla traspare della soggettività dello studente, della sua visione del mondo, della qualità delle sue emozioni e del grado raggiunto dal suo sentimento che, come è noto, è anche una facoltà cognitiva che comprende le cose anche senza attivare un percorso analitico. Va da sé che la cura delle emozioni e dei sentimenti è il tratto specifico dell’educazione la quale, proprio per questo suo profilo, si distingue dall’istruzione che è una trasmissione di informazioni da una mente a un’altra. Cosa questa che, manco a dirlo, risulta efficace se prima si è aperto il cuore, agganciando la dimensione emotiva e sentimentale dello studente. Questo ovviamente può accadere solo a due condizioni: che gli insegnanti, oltre a un’adeguata conoscenza della psicologia dell’età evolutiva, abbiano un minimo di empatia e un vero interesse per i ragazzi a loro affidati, e che le classi non superino il numero di 12 o al massimo 15 studenti. Perché se, come oggi accade, le classi sono composte da 30 o 35 studenti si è già preclusa a priori la possibilità che nella nostra scuola si possano attivare percorsi “educativi”. Al massimo si istruisce, ma certamente non si educa. Poi non ci si deve stupire se assistiamo a scene di bullismo tipico di chi, nel suo processo di crescita, si è fermato a livello impulsivo, senza che la scuola abbia fatto nulla per elevarlo fino a fargli avvertire la risonanza emotiva dei suoi gesti e delle sue parole, e consentirgli di accedere a un adeguato livello sentimentale, dal momento che, come diceva Kant: «La differenza tra il bene e il male ciascuno la sente naturalmente da sé». Quello che era presumibilmente vero ai tempi di Kant, oggi non è più vero. E qui la scuola ha un compito e una responsabilità enormi, perché chi ha un sentimento non stupra una ragazza, non brucia un immigrato, non picchia un portatore di handicap. E se queste cose succedono è perché la scuola non si occupa della formazione delle persone, ma solo delle loro prestazioni oggettive e facilmente valutabili.
A chi ascrivere le responsabilità di un tale “degrado”? Agli operatori scolastici, ché in certa misura vi hanno contribuito? Ai responsabili della casa pubblica? Penso di fare cosa gradita alla cara amica Agnese A. se riporto in questo contesto quanto e cosa ha lasciato scritto a commento del post del 7 di giugno scorso - «È necessaria la scuola dove si imparano le parole e i ragionamenti» -, giusto per dare contezza piena a quello “pensiero educativo” che ha pervaso una buona fetta, non grande in verità, degli operatori scolastici: (…). …ritengo che la lettura di questo meraviglioso post sia fondamentale e illuminante per ogni educatore, ma, in modo particolare, per ogni docente. "È necessaria la scuola dove si imparano le parole e i ragionamenti", perché, solo imparando veramente parole e ragionamenti, si diventa persone equilibrate, coraggiose, comprensive e altruiste. Proprio a questo serve la scuola e questo deve essere il primo e più importante obiettivo che i genitori, ma, ancora di più gli insegnanti, devono porsi nella formazione della personalità dei ragazzi, i quali saranno gli individui che caratterizzeranno l'umanità del futuro. Le persone equilibrate emotivamente hanno imparato ad accettare se stesse e chi le circonda. Questo non vuol dire che condividono pensieri e modo di fare di chiunque, semplicemente hanno compreso che il mondo è saturo di diversità e loro nutrono profondo rispetto per coloro che pensano e agiscono in maniera differente. Chi è emotivamente equilibrato ha acquisito l'umiltà di rendersi conto che non esiste un unico modo di essere se stessi e tale umiltà può aiutare a fare spazio anche alle altre persone, riconoscendo la loro dignità di esistere per quello che sono, nel rispetto reciproco. Un individuo psicologicamente equilibrato si interessa agli altri ed è desideroso di aiutarli. Non insulta mai gli altri e, quando può, rivolge loro i suoi complimenti. È onesto negli affari e nelle relazioni, ama se stesso ed è in grado di identificare le buone qualità altrui, ma è anche realista circa i suoi difetti e le sue manchevolezze, pur senza biasimarsi. Si prende cura dei propri bisogni spirituali, emotivi, fisici, intellettivi, ma senza rigidità. Ha poche relazioni interpersonali forti e profonde, ma coltiva sempre tutte le relazioni all'insegna della serenità, del rispetto, della gratitudine. L'essere persone equilibrate emotivamente, quindi, è la condizione indispensabile per diventare consapevoli del fatto che ogni situazione vissuta modifica il nostro equilibrio e ci sfida ad apprendere nuove lezioni, sia che si tratti di momenti piacevoli, sereni, gioiosi, sia che si tratti di situazioni difficili, pesanti o dolorose. (…). Conosco molto bene il “pensiero educativo” della cara amica, poiché la Scuola abbisogna sì di strutture, mezzi e danari ma soprattutto abbisogna di una “idea di scuola”, abbisogna di un “pensiero educativo” per l’appunto che non debba essere necessariamente semplicistico poiché esso, essendo un “pensiero”, il più delle volte diviene ostico e complesso in pari tempo. Avere svuotato la Suola di quel “pensiero educativo” così magistralmente espresso dalla cara amica ha portato alle conseguenze sulle quali Umberto Galimberti ha intessuto il Suo ragionare: (…). I tratti che la nostra scuola va assumendo, e che individuiamo nella pianificazione, nell’imprenditorialità, nell’organizzazione, nella programmazione, nell’occupazione del tempo e nella disciplina da adottare nella creazione del lavoro, mi pare che riguardino solo gli insegnanti. Posso immaginare che tutti questi indirizzi o sollecitazioni spengano la creatività dei maestri, anzi ne sono abbastanza convinto. Ma mi chiedo: quanti sono gli insegnanti che possono definirsi “maestri”? Uno o due per classe quando va bene? E per gli altri? Per gli altri quei suggerimenti non nuocciono, perché là dove manca creatività, se non si pianifica, non si organizza, non si programma, il posto lasciato vuoto dalla creatività viene occupato dall’ignavia, dall’accidia, dalla noncuranza. Adesso però portiamoci dalla parte degli studenti e chiediamoci: quella pianificazione, quell’imprenditorialità, quell’organizzazione, quella programmazione sposta l’asse della valutazione degli studenti dalla loro personalità (in ogni suo aspetto completamente trascurata) alle loro prestazioni. Ne è una prova il fatto che non si fanno più i temi in classe dove potrebbe emergere la personalità dello studente, e al loro posto si fa la comprensione di un testo scritto dove si valuta la competenza linguistica. In questo modo nulla traspare della soggettività dello studente, della sua visione del mondo, della qualità delle sue emozioni e del grado raggiunto dal suo sentimento che, come è noto, è anche una facoltà cognitiva che comprende le cose anche senza attivare un percorso analitico. Va da sé che la cura delle emozioni e dei sentimenti è il tratto specifico dell’educazione la quale, proprio per questo suo profilo, si distingue dall’istruzione che è una trasmissione di informazioni da una mente a un’altra. Cosa questa che, manco a dirlo, risulta efficace se prima si è aperto il cuore, agganciando la dimensione emotiva e sentimentale dello studente. Questo ovviamente può accadere solo a due condizioni: che gli insegnanti, oltre a un’adeguata conoscenza della psicologia dell’età evolutiva, abbiano un minimo di empatia e un vero interesse per i ragazzi a loro affidati, e che le classi non superino il numero di 12 o al massimo 15 studenti. Perché se, come oggi accade, le classi sono composte da 30 o 35 studenti si è già preclusa a priori la possibilità che nella nostra scuola si possano attivare percorsi “educativi”. Al massimo si istruisce, ma certamente non si educa. Poi non ci si deve stupire se assistiamo a scene di bullismo tipico di chi, nel suo processo di crescita, si è fermato a livello impulsivo, senza che la scuola abbia fatto nulla per elevarlo fino a fargli avvertire la risonanza emotiva dei suoi gesti e delle sue parole, e consentirgli di accedere a un adeguato livello sentimentale, dal momento che, come diceva Kant: «La differenza tra il bene e il male ciascuno la sente naturalmente da sé». Quello che era presumibilmente vero ai tempi di Kant, oggi non è più vero. E qui la scuola ha un compito e una responsabilità enormi, perché chi ha un sentimento non stupra una ragazza, non brucia un immigrato, non picchia un portatore di handicap. E se queste cose succedono è perché la scuola non si occupa della formazione delle persone, ma solo delle loro prestazioni oggettive e facilmente valutabili.
Carissimo Aldo, innanzitutto desidero ringraziarti per il grande apprezzamento accordato al mio commento, avendo ritenuto di inserirlo in questo tuo straordinario post. Non posso che sentirmi lusingata... Leggo sempre con sommo piacere i preziosi scritti del Professor Galimberti, che, oltre ad appassionarmi immensamente, mi fanno molto riflettere. La formazione della coscienza è un compito molto delicato che spetta ai genitori e agli insegnanti. La lezione più importante è il buon esempio, infatti il comportamento degli educatori vale più di molte lezioni. Neppure i sentimenti sono una dote naturale, devono essere "imparati" e pertanto ci deve essere qualcuno disposto ad "insegnarli". Tutte le culture hanno cercato il metodo educativo più efficace per formare persone sensibili al bene ed abili nel dominare i propri impulsi, in modo da poter creare dei sani rapporti sociali. La mitologia greca risulta essere,in questo caso, un metodo emblematico. La civiltà contemporanea ha a disposizione anche la letteratura che è uno strumento efficace, per conoscere i sentimenti e ampliare l'esperienza esistenziale collettiva. Bisogna cominciare dall'infanzia con le fiabe, in cui il male è presente quanto il bene, come nella vita reale e nell'essere umano. Questo dualismo è alla base del problema morale e nelle fiabe il male e il bene sono sempre ben delineati. I personaggi sono o buoni o cattivi, quindi il bambino può facilmente identificarsi. Gli educatori oggi parlano ai giovani di tanti problemi,di tante cose superflue, ma non sanno più parlare loro della differenza tra il Bene e il Male e della necessità di operare una scelta rispetto ad essi. Non c'è più l'idea di un dovere da compiere, di un bene da scegliere e di un male da cui tenersi lontani. Meno ancora si parla della volontà, che è lo strumento mediante il quale l'uomo è chiamato a operare delle scelte. Scelte magari difficili e faticose,
RispondiEliminama che devono essere in armonia con un responsabile progetto di vita di ogni uomo, nel rispetto di se stesso e degli altri. Grazie ancora e buona continuazione. Agnese A.