Le Scuole hanno chiuso o stanno
per chiudere alla fine di un disastrato anno scolastico. Quanto la Scuola sia mancata
agli adolescenti al tempo del “coronavirus” è difficilissimo dirlo. Quanto sono
mancate le fatiscenti – nella maggioranza delle nostre istituzioni scolastiche –
aule delle nostre Scuole? Quanto è mancata quella vita di relazione – tra adolescenti
e tra adolescenti ed insegnanti, altri “eroi” questi ultimi dimenticati ed
abbandonati al loro destino -, vita di relazione dicevo che i nostri adolescenti
pur intrattengono nonostante le strutture fatiscenti che il governo della cosa
pubblica ha colpevolmente trascurato di curare? Ché la Scuola, alla pari della
Sanità - piegata dalla pandemia con il disastroso costo di vite umane del quale
tutti abbiamo avuto contezza - è stata falcidiata dai tagli che l’hanno
impoverita nelle strutture ma ancor più nella mancata “crescita” delle giovani
generazioni, generazioni che soffrono di enormi ritardi al confronto con gli
adolescenti degli altri Paesi dell’Occidente. Cosa ne sarà della “DAD” – un
acronimo da disperati, ovvero “didattica a distanza” - inventata al tempo del “coronavirus”?
Sarà essa la Scuola del domani? Scrive Umberto Galimberti che “a
scuola si impara a vivere da uomini”; “a scuola” e non
certamente isolando i nostri adolescenti all’interno di pur confortevoli tinelli
familiari. La corrispondenza a firma di Umberto Galimberti di seguito
trascritta ha per titolo “Agli alunni
della V B” ed è stata pubblicata sul settimanale “D” del quotidiano “la
Repubblica” del 7 di giugno dell’anno 2008 in risposta alla lettera degli
alunni della V B della Scuola primaria “R. Fucini” di Albinia:
Jean-Luc Nancy, in Il giusto e l'ingiusto (Feltrinelli) scrive che la giustizia si decide sempre in rapporto con gli altri, per cui farsi giustizia da sé non ha alcun senso. Così come non ha senso la "legge del più forte" o, come si suol dire, la "legge della giungla", perché nella giungla non troviamo leggi, ma rapporti di forza. Cari alunni della V B. Avete letto una pagina difficile per la vostra età, però, grazie alla vostra insegnante, l'avete capita in quello che voleva davvero dire. E allora, senza le virtù che si acquisiscono vivendo sempre con voi come fanno le vostre maestre, provo a parlarvi come ha fatto un filosofo francese Jean-Luc Nancy che, avendo capito che da grandi non si impara più niente, si è recato nelle scuole elementari e medie per discutere con ragazzi come voi che cos'è la giustizia, a partire dai conflitti in cui i ragazzi vengono a trovarsi tra loro, e poi con i genitori e con gli insegnanti. Ma incominciamo dal bullismo, che possiamo definire come la legge del più forte sul più debole. È una legge che vige tra gli animali, i quali attaccano i più deboli e li uccidono per mangiare. Anche gli uomini attaccano e uccidono, ma non per mangiare i vinti, ma per ottenere un riconoscimento della loro forza e della loro potenza. Questa differenza ce l'ha segnalata un filosofo, Hegel, che scrisse i suoi pensieri tra la fine del Settecento e l'inizio dell'Ottocento. A partire dalla Grecia, culla della civiltà europea, si pensò che gli uomini potevano ottenere il loro riconoscimento non solo attraverso la violenza, ma attraverso i giochi e il dialogo. Con i giochi nacquero le Olimpiadi (…) dove, come in guerra, ma senza ammazzare nessuno, si vince, ottenendo il riconoscimento del proprio valore. Con il dialogo si disputa sulle idee. Il dialogo prevede che due o più persone abbiano pareri diversi su un determinato argomento e si confrontino tra loro, come in una guerra fatta però con le parole e non con le armi. Chi meglio di altri sa argomentare la propria tesi vince la disputa e gli altri depongono la loro opinione a favore di quella meglio argomentata. Per dialogare e sostenere le proprie tesi occorre sapere, disporre di un buon vocabolario e soprattutto connettere bene i propri pensieri. Per questo è necessaria la scuola dove si imparano le parole e i ragionamenti. Se invece a scuola si va solo per prendere a botte i propri compagni, per deridere gli insegnanti, allora il dialogo collassa e, al posto delle parole, subentrano i gesti spesso violenti. La violenza dei gesti sta al posto delle parole che non si sono imparate, dei libri che non si sono letti, degli insegnamenti che non si sono appresi e persino dei sentimenti che non si sono evoluti. Per passare dall'impulso al sentimento è necessario accostarsi alla letteratura che ci insegna cos'è l'amore, il dolore, la noia, la tristezza e i percorsi che questi motivi del cuore possono seguire. Chi li conosce, quando li prova, sa chiamarli per nome e sa quali itinerari seguire senza chiudersi nel silenzio o nella disperazione. Dialogando con gli altri è anche possibile modificare le proprie idee, capire che non sono le uniche giuste, comprendere che il mondo è più complesso della nostra visione del mondo. In questo modo a scuola si impara a vivere da uomini e non da animali che per istinto conoscono solo la legge del più forte, a cui la cultura ha posto rimedio diffondendo i concetti di solidarietà, di aiuto reciproco, di compassione, che sono tratti tipicamente umani, perché l'uomo, a differenza dell'animale è capace di commuoversi, e quindi di aiutare il più debole e di soccorrere il più bisognoso. Questa dimensione, tipicamente umana, si chiama "cultura", volta a correggere la "natura" che conosce solo la legge del più forte. Questa legge non è sparita dalla comunità degli uomini. Molti si comportano ancora come animali, anche se vestono in giacca e cravatta, ma il lavoro lento e continuo della cultura non si scoraggia, e senza tentennamenti, cerca di far capire agli uomini di non aver paura dei propri simili, anche se la loro pelle ha un diverso colore, anche se credono in un Dio diverso, anche se le loro abitudini, che corrispondono alle loro tradizioni, sono differenti dalle nostre. Già voi nella vostra classe avrete degli amici che non sono proprio come voi, ma che sanno giocare come voi e con voi. Quando crescerete non dimenticate questi giochi e queste vostre amicizie. Voi, alla vostra età, siete più bravi degli adulti a capire le differenze e a incuriosirvi di queste diversità. Non perdete questa capacità quando diventerete grandi. Perché è in questa capacità il futuro del mondo. Un mondo senza guerre o con meno guerre di oggi, perché avrete capito che l'umanità è una grande famiglia, dove è più divertente vivere proprio perché siamo tutti diversi e curiosi gli uni degli altri. E, se siamo coraggiosi, sappiamo anche aiutarli.
Jean-Luc Nancy, in Il giusto e l'ingiusto (Feltrinelli) scrive che la giustizia si decide sempre in rapporto con gli altri, per cui farsi giustizia da sé non ha alcun senso. Così come non ha senso la "legge del più forte" o, come si suol dire, la "legge della giungla", perché nella giungla non troviamo leggi, ma rapporti di forza. Cari alunni della V B. Avete letto una pagina difficile per la vostra età, però, grazie alla vostra insegnante, l'avete capita in quello che voleva davvero dire. E allora, senza le virtù che si acquisiscono vivendo sempre con voi come fanno le vostre maestre, provo a parlarvi come ha fatto un filosofo francese Jean-Luc Nancy che, avendo capito che da grandi non si impara più niente, si è recato nelle scuole elementari e medie per discutere con ragazzi come voi che cos'è la giustizia, a partire dai conflitti in cui i ragazzi vengono a trovarsi tra loro, e poi con i genitori e con gli insegnanti. Ma incominciamo dal bullismo, che possiamo definire come la legge del più forte sul più debole. È una legge che vige tra gli animali, i quali attaccano i più deboli e li uccidono per mangiare. Anche gli uomini attaccano e uccidono, ma non per mangiare i vinti, ma per ottenere un riconoscimento della loro forza e della loro potenza. Questa differenza ce l'ha segnalata un filosofo, Hegel, che scrisse i suoi pensieri tra la fine del Settecento e l'inizio dell'Ottocento. A partire dalla Grecia, culla della civiltà europea, si pensò che gli uomini potevano ottenere il loro riconoscimento non solo attraverso la violenza, ma attraverso i giochi e il dialogo. Con i giochi nacquero le Olimpiadi (…) dove, come in guerra, ma senza ammazzare nessuno, si vince, ottenendo il riconoscimento del proprio valore. Con il dialogo si disputa sulle idee. Il dialogo prevede che due o più persone abbiano pareri diversi su un determinato argomento e si confrontino tra loro, come in una guerra fatta però con le parole e non con le armi. Chi meglio di altri sa argomentare la propria tesi vince la disputa e gli altri depongono la loro opinione a favore di quella meglio argomentata. Per dialogare e sostenere le proprie tesi occorre sapere, disporre di un buon vocabolario e soprattutto connettere bene i propri pensieri. Per questo è necessaria la scuola dove si imparano le parole e i ragionamenti. Se invece a scuola si va solo per prendere a botte i propri compagni, per deridere gli insegnanti, allora il dialogo collassa e, al posto delle parole, subentrano i gesti spesso violenti. La violenza dei gesti sta al posto delle parole che non si sono imparate, dei libri che non si sono letti, degli insegnamenti che non si sono appresi e persino dei sentimenti che non si sono evoluti. Per passare dall'impulso al sentimento è necessario accostarsi alla letteratura che ci insegna cos'è l'amore, il dolore, la noia, la tristezza e i percorsi che questi motivi del cuore possono seguire. Chi li conosce, quando li prova, sa chiamarli per nome e sa quali itinerari seguire senza chiudersi nel silenzio o nella disperazione. Dialogando con gli altri è anche possibile modificare le proprie idee, capire che non sono le uniche giuste, comprendere che il mondo è più complesso della nostra visione del mondo. In questo modo a scuola si impara a vivere da uomini e non da animali che per istinto conoscono solo la legge del più forte, a cui la cultura ha posto rimedio diffondendo i concetti di solidarietà, di aiuto reciproco, di compassione, che sono tratti tipicamente umani, perché l'uomo, a differenza dell'animale è capace di commuoversi, e quindi di aiutare il più debole e di soccorrere il più bisognoso. Questa dimensione, tipicamente umana, si chiama "cultura", volta a correggere la "natura" che conosce solo la legge del più forte. Questa legge non è sparita dalla comunità degli uomini. Molti si comportano ancora come animali, anche se vestono in giacca e cravatta, ma il lavoro lento e continuo della cultura non si scoraggia, e senza tentennamenti, cerca di far capire agli uomini di non aver paura dei propri simili, anche se la loro pelle ha un diverso colore, anche se credono in un Dio diverso, anche se le loro abitudini, che corrispondono alle loro tradizioni, sono differenti dalle nostre. Già voi nella vostra classe avrete degli amici che non sono proprio come voi, ma che sanno giocare come voi e con voi. Quando crescerete non dimenticate questi giochi e queste vostre amicizie. Voi, alla vostra età, siete più bravi degli adulti a capire le differenze e a incuriosirvi di queste diversità. Non perdete questa capacità quando diventerete grandi. Perché è in questa capacità il futuro del mondo. Un mondo senza guerre o con meno guerre di oggi, perché avrete capito che l'umanità è una grande famiglia, dove è più divertente vivere proprio perché siamo tutti diversi e curiosi gli uni degli altri. E, se siamo coraggiosi, sappiamo anche aiutarli.
Carissimo Aldo,ritengo che la lettura di questo meraviglioso post sia fondamentale e illuminante per ogni educatore, ma, in modo particolare, per ogni docente. "È necessaria la scuola dove si imparano le parole e i ragionamenti", perché,solo imparando veramente parole e ragionamenti, si diventa persone equilibrate, coraggiose, comprensive e altruiste. Proprio a questo serve la scuola e questo deve essere il primo e più importante obiettivo che i genitori, ma, ancora di più , gli insegnanti devono porsi nella formazione della personalità dei ragazzi, i quali saranno gli individui che caratterizzeranno l'umanità del futuro. Le persone equilibrate emotivamente hanno imparato ad accettare se stesse e chi le circonda. Questo non vuol dire che condividono pensieri e modo di fare di chiunque, semplicemente hanno compreso che il mondo è saturo di diversità e loro nutrono profondo rispetto per coloro che pensano e agiscono in maniera differente. Chi è emotivamente equilibrato ha acquisito l'umiltà di rendersi conto che non esiste un unico modo di essere se stessi e tale umiltà può aiutare a fare spazio anche alle altre persone, riconoscendo la loro dignità di esistere per quello che sono, nel rispetto reciproco. Un individuo psicologicamente equilibrato si interessa agli altri ed è desideroso di aiutarli. Non insulta mai gli altri e, quando può, rivolge loro i suoi complimenti. È onesto negli affari e nelle relazioni, ama se stesso ed è in grado di identificare le buone qualità altrui, ma è anche realista circa i suoi difetti e le sue manchevolezze, pur senza biasimarsi. Si prende cura dei propri bisogni spirituali, emotivi, fisici, intellettivi, ma senza rigidità. Ha poche relazioni interpersonali forti e profonde, ma coltiva sempre tutte le relazioni all'insegna della serenità, del rispetto, della gratitudine. L'essere persone equilibrate emotivamente, quindi, è la condizione indispensabile per diventare consapevoli del fatto che ogni situazione vissuta modifica il nostro equilibrio e ci sfida ad apprendere nuove lezioni, sia che si tratti di momenti piacevoli, sereni, gioiosi, sia che si tratti di situazioni difficili, pesanti o dolorose. Grazie e buona continuazione. Agnese A.
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