"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi

"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi
"Il bruco" (2017). Nikon Coolpix P900. Foto macro. Stato larvale della falena diurna "Macroglossum stellatarum" volgarmente detta "sfinge colibrì".

lunedì 1 giugno 2020

Cosedaleggere. 45 «Questa quarantena si ammanta di un suo innegabile fascino claustrale».


Non merita certo di rimanere tra i “commenti” questo altro scritto della carissima amica Agnese A., scritto a commento del post del 30 di maggio ultimo. Il Suo scritto inneggia alla libertà come peculiare fonte di “umanizzazione” laddove sostiene che (…) …la libertà è radicata nella struttura più intima dell'esistenza dell'uomo e pertanto ne caratterizza l'esistenza stessa, cioè "non siamo liberi di non essere liberi".
E questo anelito alla “libertà” percorre per intero lo stupendo film scritto e diretto da Frank Darabont che ha per titolo “Le ali della libertà” dell’anno 1994 che ha avuto come straordinari interpreti Tim Robbins e Morgan Freeman nei ruoli rispettivamente di Andy Dufrense, impiegato come vice-direttore di una banca a Portland nel Maine e condannato a due ergastoli per l'omicidio della moglie e del suo amante, omicidio del quale si proclama innocente, e di Red, un ergastolano condannato per contrabbando. Passano molti anni ma Andy vive coltivando la speranza e la passione di una “libertà” futura che prepara con pazienza certosina in ogni attimo della sua vita da ergastolano realizzando alla fine quella sua aspirazione verso la libertà. Un’opera cinematografica magistrale. Scrive ancora la carissima amica: Ma l'uomo vive la propria libertà con terrore e angoscia. È condannato alla libertà, obbligato ad esercitarla, con tutte le responsabilità che ne derivano, poiché la scelta implica sempre il rischio dell'errore. Il termine responsabilità deriva dal latino "responsum" risposta e si potrebbe definire come la capacità di rispondere dei propri comportamenti, cioè la piena consapevolezza delle proprie azioni e l'accettazione delle relative conseguenze. Poiché la scelta in quanto tale costituisce l'essenza dell'uomo, ritengo che, per liberarsi dall'angoscia e scegliere responsabilmente, sia fondamentale ascoltare la propria voce interiore, la voce della coscienza e lasciarsi guidare da essa. Questo ci consentirà di essere veramente responsabili nelle scelte, ma soprattutto ci eviterà di incorrere nel pericolo di seguire i suggerimenti poco illuminanti dell'inconscio. E della “libertà” limitata – come quella di Andy e Red - in tempo di pandemia ne ha scritto Paolo Rumiz il 16 di aprile 2020 in “La libertà è una lista di desideri” pubblicato sul quotidiano “la Repubblica”: (…). Sono uscito in terrazza, ho guardato la città avvolta in un silenzio da paura e mi sono detto: cosa sto facendo? Com'è che noi Italiani ci infliggiamo la clausura più stretta d'Europa, con costi umani ed economici incalcolabili? Siamo così ubbidienti per responsabilità o conformismo? Il senso civico non si fa in quaranta giorni; non basta la retorica della bandiera. Una volta finito tutto, ci daremo come prima al chissenefrega o diverremo più sensibili al bene comune? Resteremo il gregge di sempre, eternamente orfano dell'uomo forte, Francia o Spagna purché se magna? Mi capita persino di pensare che la democrazia sia troppo per gli umani. Vivo come un gioco di società: dai, cara, facciamo finta di essere la Germania Est. E zac, ti ritrovi in Germania Est per sempre. Con i Carabinieri che arrivano in elicottero a multare un poveraccio, solo in una spiaggia enorme, mentre rasoterra l'illegalità dilaga. "Non voglio rassegnarmi", mi scrive Antonio dalle Calabrie. "Voglio vendere cara la pelle".
Penso a mio nipotino a Zurigo. Ha sette anni e può uscire, anche da solo, ma sa le regole dell'emergenza, perché alle regole è abituato dall'asilo. Già da piccolo mi sgridava, se passavo a piedi col rosso nonostante la strada deserta. E mi impartiva la legge delle tre "elle": Luege, Lose, Laufe, che in quell'ostrogoto che è lo svizzero tedesco vuol dire: guarda, ascolta e poi vai. A scuola ci andava puntualissimo, senza mai dimenticare il giubbotto giallo fosforescente. E guai ad accompagnarlo. Da bravo ometto, è già da un anno che fa la strada da solo. Il papà, a casa col tele-lavoro, ogni sera corre otto chilometri per boschi e parchi. È italiano, ma ha imparato le regole. Sa che lo jogging è consentito, se tieni le distanze. E sa di avere alle spalle una sanità pubblica diffusa, non dilapidata e pronta all'emergenza. (…). Avere amici e non poter dire: per qualsiasi cosa ci sono. Guardare la natura in fregola e non poter uscire. Assistere senza far nulla allo spettacolo miserevole dei governi dell'Unione. Vedere la democrazia a pezzi e non riuscire a manifestare in piazza. Sentire il telefono intasato di messaggi che non risolvono niente. Sapere che una persona cara muore in casa di riposo e non poterle star vicino. L'insinuarsi di qualcosa di maligno, di un silenzio che invita alla resa per stanchezza, come a Praga dopo l'invasione sovietica. Nemmeno il Kgb ci controllerebbe in modo così efficace. Siamo diventati tracciabili in ogni atto, anche il più intimo. Dittatura, ma con un altro nome. Un virus più letale del Corona. E poi, il rischio tremendo di abituarsi. Noi italiani soprattutto, perché assai poche volte l'Italia "s'è desta" sul serio. Tanto più che questa quarantena si ammanta di un suo innegabile fascino claustrale. Invita alla preghiera, unisce la famiglia, ti fa rallentare e riscoprire cose che hai trascurato. Dentro, il guscio sicuro; fuori l'incertezza. Chi scrive, poi, ha bisogno di limiti, perché il bisogno di superarli (l'Infinito di Leopardi!) dilata il pensiero. Ma anche la dittatura, per Dio, si nutre di limiti, e allora sarà fatale uno scontro fra l'anarchia della creatività e un potere politico-economico tentato dalla dittatura. (…). Prima fu la cultura del profitto. Il profitto si liberò delle regole e generò schiavitù, sfruttamento, incuria, speculazione e consumo sfrenato. Poi il consumo smembrò le famiglie, generò solitudine e diffidenza. La diffidenza generò la paura, e popolò il mondo di nemici. La libertà divenne voglia di farsi gli affari propri e spinse molti reggitori a vendersi al profitto per un piatto di lenticchie. Intanto anche il corpo, anche la malattia, anche la morte, ci venivano espropriati e resi fonte di profitto. Il mondo dilapidato lanciò segnali di avvertimento: estati come fornaci, alluvioni, ecatombe di foreste, crollo di ponti. Gli uomini non ascoltarono, e venne la Peste che li sterminò. Ma la stessa Peste indicò loro la strada della redenzione. L'Europa non era mai stata così bella, il mare così pulito. Solo allora essi tornarono al sudore della fronte e alla terra che avevano abbandonato. Videro nuovamente la luce, perché erano passati attraverso le tenebre. E capirono il senso della morte e risurrezione. Mi chiedo se rinsaviremo o tutto tornerà come prima, portandoci al disastro. David Maria Turoldo: "Signore, non preoccuparti se gli uomini non parleranno più di te, perché saranno le pietre a farlo". Intanto, le chiese vuote anche nel giorno di Pasqua, sepolcrali appunto, mai come stavolta ci danno il segno che il Sepolcro è vuoto, e che Lui è altrove. Risorto. Nella vita che continua, anche senza di noi. (…) Resisto, per autodisciplina, ma la voglia di evasione ribolle nel nomade. Transumare, sgroppare, bighellonare, cantare, persino non far niente. Solo a un gigante come De Maistre poteva bastare una stanza. Io ho bisogno di spazio e soprattutto dell'Altro, della sua carne. Se no, perché Dio si sarebbe fatto uomo? Abbracciare, annusare, toccare, fare capriole, levarsi le scarpe su un prato, aspettare un temporale di primavera. Rivedere i nipotini, che ti scappano tra le mani, portarteli in un campeggio che sai, a dormire in una casetta sull'albero. Esiste una micidiale coerenza tra il leghista Salvini che difende a spada tratta la sanità lombarda lottizzata, corresponsabile del disastro, e il suo braccio destro Giorgetti che dichiara superati i medici di base. Medici che, mai come oggi, avrebbero impedito agli ospedali "lumbard" di registrare letali intasamenti. Stesso discorso per il governatore del Friuli-Venezia Giulia, Massimiliano Fedriga, pure leghista, che, appena eletto, ha smantellato i centri di assistenza primaria e il progetto di rete fra medici di famiglia varato dal suo predecessore. Dietro c'è la stessa logica concentrazionaria, perfetta per il sottogoverno, che trasforma in carcere i centri di raccolta per migranti e blocca un'integrazione territoriale già avviata e funzionante. Col risultato che i Cie, privati dei loro fondi, finiscono per essere gestiti da poteri non tracciabili, e diventano a loro volta potenziali diffusori di virus, come le case di riposo. Per non parlare del fatto che i nuovi, disinvolti gestori dei Cie, vinto l'appalto al ribasso a detrimento della qualità del servizio, possono far quadrare i conti solo pompando il numero dei reclusi. Dunque incoraggiando l'immigrazione selvaggia, anziché rallentarla. Da quando il Centro migranti di Cagliari è entrato in questa logica, per esempio, si è aperto un nuovo canale di immigrazione dall'Algeria. Il contrario di quanto vanta Salvini.

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