"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi

"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi
"Il bruco" (2017). Nikon Coolpix P900. Foto macro. Stato larvale della falena diurna "Macroglossum stellatarum" volgarmente detta "sfinge colibrì".

giovedì 18 giugno 2020

Virusememorie. 28 «Chi ci ha insegnato a oltrepassare il nostro limite e a considerare l'uomo padrone della terra?».


Ha scritto Federico Rampini in “I virtuosi (non) salveranno il pianeta”, pubblicato sul settimanale “D” del quotidiano “la Repubblica” del 17 di giugno dell’anno 2017:
(…). Ambientalisti? Ma fatemi il piacere. Nel mio appartamento di New York - come in tanti grattacieli - non c'è neppure il contatore dell'elettricità, tanto costa poco. Per semplificarci la vita si paga la luce in modo forfettario nelle spese condominiali: un incentivo allo spreco, visto che non sai neppure quanto consumi. La raccolta differenziata non sappiamo cosa sia, basta vedere le montagne di sacchi di plastica neri che si accumulano nottetempo sui marciapiedi di Manhattan: è tutta "indifferenziata". Non mi convince l'indignazione con cui gli americani progressisti hanno reagito alla decisione di uscire dagli accordi di Parigi. Trump è un ignorante e un mascalzone, non ho dubbi. La buona coscienza degli altri, però, mi sembra ipocrita. A ogni angolo di strada, a ogni gesto banale della vita quotidiana, da quando abito in America osservo un popolo sprecone, energivoro, che dell'ambiente se ne frega. Dalle auto ai camion con le ciminiere fumanti, dall'iper-riscaldamento invernale all'iper-raffreddamento estivo, dall'agro-business all'edilizia, basta aprire gli occhi per capire che Trump è solo più volgare, più arrogante e prepotente, ma è l'espressione di una cultura nazionale. Questo presidente regala a "noialtri" una coscienza impeccabile che non ci meritiamo affatto. Ho lo stesso timore quando allargo lo sguardo al resto del pianeta. Virtuosa la Germania? Ma se Volkswagen truccava i dati dell'eurodiesel, molto più inquinante del dovuto, colossale impostura ai danni dell'ambiente. Lo stesso è vero, peraltro, di Fiat-Chrysler. Virtuosa la Cina che resta "dentro" Parigi? Ci ho vissuto cinque anni e ci torno regolarmente: a Pechino il governo nasconde o falsifica i dati sull'inquinamento, per conoscere la verità sull'aria che si respira bisogna consultare il sito dell'ambasciata americana. Il peggiore pericolo a cui Trump ci espone è questo autocompiacimento, quest'illusione troppo comoda che il problema sia lui.Memoria” del lunedì 10 di marzo dell’anno 2008: Questa pagina fa il paio con un post del 12 di ottobre dell’anno 2006. Anche in quell’occasione, nella dotta dissertazione di Umberto Galimberti, si premette - alla Sua scrittura - una brevissima riflessione di Heidegger: "La tecnica obbliga la terra ad andare oltre il cerchio della possibilità che questa ha naturalmente sviluppato, verso ciò che non è più il suo possibile, e quindi è l'impossibile". Mi chiedo: siamo giunti oltre quel cerchio del possibile sfruttamento della Terra? Mi piace aggiungere una pur sempre breve riflessione di Irene Alison, riflessione tratta dall'inchiesta "La chiamano post-autistic economy”, inchiesta che ritorna su di un parametro di recente formulazione, ovvero sulla cosiddetta“impronta ecologica”: “(…).Il calcolo della impronta ecologica - indice statistico che misura l'impatto umano sull'ambiente, mettendo in relazione il consumo di risorse con la capacità della Terra di rigenerarle - segnala che, con le nostre automobili, le nostre corse al supermercato, i nostri carrelli della spesa troppo pieni, ci siamo infilati in un vicolo cieco. L'area di terra necessaria per rigenerare ciò che consumiamo e per assorbire i nostri rifiuti è oggi, in media, di 1.9 ettari a persona. Per sostenerci tutti, serve già un pianeta e mezzo. Che accadrebbe se sui nastri dei supermarket di Pechino passasse la stessa quantità di merce venduta in un Wal-Mart di New York? E se un miliardo e mezzo di cinesi lasciasse al proprio passaggio gli stessi 9.57 ettari di impronta di un americano? Fra trent'anni, procedendo a questo tasso di crescita, non basteranno 15 pianeti per saziare la nostra bulimia da consumo. Gli analisti della post-autistic economy, nata sulle ceneri delle ormai sorpassate teorie economiche liberiste, non hanno dubbi: l'accelerazione dei consumi per produrre beni non necessari ha distorto, nel ventennio passato, l'intero sistema economico. E l'uso spregiudicato delle materie prime ha provocato gravi danni ambientali e allargato il divario tra Occidente industrializzato e Paesi in via di sviluppo. In discussione, quindi, è l'intero ingranaggio capitalista che quotidianamente ci macina: ardere di desiderio per prodotti di cui non abbiamo bisogno, lasciarci ipnotizzare dalle esche del marketing sugli scaffali del supermercato, metterci in fila alle casse pronti a strisciare la carta di credito, produrre altri rifiuti che non possiamo smaltire. Chi è senza peccato scagli la prima pietra.(…)”. Dalle considerazioni riportate sembra proprio che il limite massimo del cerchio sia stato raggiunto; per non superarlo basterebbe impedire ad una grossa fetta di umanità l’accesso agli stessi beni ed agli stessi vantaggi che il cosiddetto mondo progredito e cristianizzato si è procacciato a scapito degli umani fratelli. “More solito”, cristianamente parlando. Ha scritto Umberto Galimberti in "L'usura della terra” pubblicato su di un supplemento del quotidiano "la Repubblica” del 27 di aprile dell’anno 2008:Le radici che hanno portato l'uomo dall'uso della terra alla sua usura sono molto antiche. (…). Il rapporto uomo-natura è stato regolato per noi occidentali da due visioni del mondo: quella greca e quella giudaico-cristiana che, per quanto differenti tra loro, convenivano nell'escludere che la natura rientrasse nella sfera di pertinenza dell'etica, il cui ambito era limitato alla regolazione dei rapporti fra gli uomini, senza alcuna estensione agli enti di natura. I Greci concepivano la natura come quell'ordine immutabile che nessuna azione umana poteva violare perché, come dice un frammento di Eraclito: - Questo cosmo, che è di fronte a noi e che è lo stesso per tutti, non lo fece nessuno degli dei né degli uomini, ma fu sempre, ed è, e sarà fuoco sempre vivente, che divampa secondo misure e si spegne secondo misure -. Avendo in sé la sua norma vincolata dal sigillo della necessità (anánke), la natura era quell'orizzonte inoltrepassabile, quel limite insuperabile a cui l'azione umana doveva piegarsi come alla suprema legge. Lo stesso Prometeo, l'inventore delle tecniche, non esita a riconoscere che: - La tecnica è di gran lunga più debole della necessità - (Eschilo). La tradizione giudaico-cristiana concepisce la natura come creatura di Dio, quindi come effetto di una volontà, della volontà di Dio che l'ha creata e dell'uomo a cui è stata consegnata. Leggiamo infatti nel Genesi: - Poi Iddio disse: facciamo l'uomo a nostra immagine, secondo la nostra somiglianza: domini sopra i pesci del mare e sugli uccelli del cielo, sugli animali domestici, su tutte le fiere della terra e sopra tutti i rettili che strisciano sopra la sua superficie -. In questo modo la natura non è più espressione di un ordine immutabile, ma semplice materia da dominare al servizio dell'uomo. Su questo tracciato incontriamo la scienza moderna che, come vuole il programma di Bacone: “Scientia est potentia”, conosce per dominare, e nel dominio della natura scorge l'impronta di Dio e le condizioni del riscatto umano. Scrive infatti Bacone: - In seguito al peccato originale, l'uomo decadde dal suo stato di innocenza, e dal suo dominio sulle cose create. Ma entrambe le cose si possono recuperare, almeno in parte, in questa vita. La prima mediante la religione e la fede, la seconda mediante le tecniche e le scienze -. Al di là delle dispute, che tanto appassionano, tra fede e scienza, diciamo che la scienza gronda di metafore teologiche. A partire da queste premesse cristiane, l'uomo occidentale non conosce più il suo limite né in ordine alla propria esistenza che crede si prolunghi oltre la morte né in ordine all'uso della terra oggi spinto fino alla sua usura. Se guardiamo la monotonia di distese di cereali solcate da mietitrici solitarie e irrorate da antiparassitari erogati in volo, abbiamo un esempio elementare ma indicativo di come la tecnica abbia creato un paesaggio così poco naturale, che persino una grande fabbrica offre un volto più umano. Se poi dal mondo vegetale passiamo a quello animale, l'estrema degradazione di esseri viventi trasformati in macchine da uova o da carne, sottratti al loro ambiente, sottoposti a illuminazione artificiale, alimentati automaticamente, deprivati sensorialmente, è la prova più evidente di come la tecnica abbia denaturalizzato la natura che, anche per effetto di un incremento demografico esponenziale, forse ha già superato il suo limite biologico. Ma chi ci ha insegnato a oltrepassare il nostro limite e a considerare l'uomo padrone della terra? (…). 

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