"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi

"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi
"Il bruco" (2017). Nikon Coolpix P900. Foto macro. Stato larvale della falena diurna "Macroglossum stellatarum" volgarmente detta "sfinge colibrì".

lunedì 17 febbraio 2020

Dell’essere. 22 «La vita fa tutt'uno con chi la vive, è chi la vive».


Oggi si ha come ospite sgradito il “CoV”, mediaticamente detto il “coronavirus”. Stante la “congiuntura” negativa provo a mettere insieme qualche pensiero. Anche minimo. Ci provo anche se mi risulta di difficile realizzazione. Un’ardua impresa. È come avere, in questi giorni del “coronavirus”, attraversato un mio “deserto dei tartari”. Ti poni in condizione d’ascolto. Ti poni in condizione d’intravvedere l’arrivo dei “tartari” prima degli altri, per darne l’allarme. Ma di “tartari” nemmeno l’ombra. Nessuno all’orizzonte, pur scrutato da mane a sera. I “tartari” sono già tra di noi. Siamo noi stessi divenuti i “tartari”.  E se siamo noi stessi i “tartari”, è inutile porsi in condizione d’attesa. Si ha bisogno d’agire, anche nelle condizioni più avverse. E le attuali, per i tanti, i tantissimi del bel paese, non sono affatto condizioni serene. È d’obbligo tornare sui pensieri importanti. Pensieri pesanti. D’ingombro assai. Intanto le domande si susseguono nella mente. Sarà colpa del momento astrale negativo. Ogni tanto è bene rifarsi alle antiche credenze, all’influenza degli astri sulle nostre vite. Che non sia un problema di congiunzione negativa degli astri? Torna comodo dar credito a questo pensiero ultimo. Ma della “suina” non si ha più notizia. Non abbiatene a male. Non intendo la femmina del nobile, assai, quadrupede. Penso alla “suina” come pandemia. Se ne sono perse le tracce. E della “Sars”? E di “Ebola”? E dell’“aviaria”? Avranno fatto comodo a qualcuno. Ora tocca voltare pagina. Mi sono convinto che non saranno esse le vere tragedie del nostro tempo. Non provocheranno le pandemie strombazzate attraverso il piccolo mostro domestico. Mi convinco sempre di più che non saranno esse a spogliarci della nostra fisica realtà, della nostra dignità nella non pienezza della nostra vigoria fisica. I nemici sono altri, sono già tra di noi. Sono i “tartari” che pensavamo d’avvistare in tempo utile. Tutto inutile invece. I “tartari” del terzo millennio, che il tenente Giovanni Drogo non ha avvistato nel tempo utile, sono coloro che vogliono a tutti i costi impadronirsi delle nostre vite, delle coscienze nostre. A loro dire, a tutela della vita stessa. Degli altri, possibilmente. Che della propria ne sono gelosi custodi. Poiché è bene, a loro dire, che della vita nostra siano ad interessarsene coloro che detengono il potere. Un potere. Sia un potere politico o un potere religioso, non è problema rilevante. Tra le due sfere, vi è contiguità assoluta. È importante che, quando la vita si complica e volge al peggio, al termine ultimo, intervengano per l’appunto i “tartari” del terzo millennio. Affinché tutte le vite, “salvate” anche a costo di inenarrabili sofferenze, abbiano a godere della visione salvifica dell’aldilà. Nei millenni a venire. Nelle celesti beatitudini. Sottrarre l’atto finale, l’ultimo respiro, alla volontà dei singoli. Ne ha scritto Paolo Flores d'Arcais che nell’anno 2009 ha dato alle stampe il volume “A chi appartiene la tua vita?” edito da “Ponte alle Grazie”. Di seguito trascrivo una Sua breve riflessione riportata in quel tempo su di un supplemento del quotidiano “la Repubblica”. A chi appartiene la mia vita? Non certo ai “tartari” dell’oggi. Tornare a pensare, sapendo dell’esistenza dei “tartari” tra di noi.
Chi decide del nostro corpo? La vita non appartiene al governo, né alla chiesa, ma soltanto a chi la vive. Dovrebbe trattarsi di un'affermazione ovvia. E la parola appartenere risulta insufficiente. Perché la vita fa tutt'uno con chi la vive, è chi la vive. Coincide con la sua esistenza, da cui è inseparabile. Se qualcuno non può decidere sulla propria vita non è più una persona, non è più un essere umano, ma un “instrumentum vocale”. Una cosa, benché dotata di parola, come gli antichi filosofi definivano lo schiavo. E la vita arriva fino alla fine-della-vita, è la tua vita fino all'ultimo istante, e anzi per certi aspetti il periodo finale è il più importante e il più tuo, irrimediabilmente, perché una lunga agonia tragica e insensata può rovinare un'esistenza bellissima. E un'ultima età ricca di senso può riscattare una biografia infelice o ingiusta. (…). Se si stabilisce il principio in base al quale sulla propria esistenza non decide chi la vive ma una maggioranza parlamentare, questa maggioranza finirà per avere un potere totalitario sull'individuo. E la libertà di ognuno sarà cancellata. Se infatti un gruppo di politici ha titolo per decidere della tua vita e della tua morte, a maggior ragione potrà pretendere di decidere su cose importantissime ma meno essenziali: la tua professione, il tuo coniuge, la tua religione, i tuoi viaggi. E quella maggioranza potrà cambiare, ovviamente, e oggi decidere che il sondino o la macchina che ti prolunga la sofferenza in modo artificiale - per mesi, per anni, o abbiamo già dimenticato il calvario di Piergiorgio Welby? - è obbligatorio anche per chi non lo vuole, ma domani potrebbe decidere che la spina va staccata a tutti, anche a chi non vuole rinunciarvi. Sarebbe mostruosa questa seconda ipotesi, esattamente come è mostruosa la prima: che tu debba continuare per via artificiale un'esistenza che, lasciata alla natura, verrebbe meno, e che per te è ormai soltanto tortura. (…).

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