Ha
scritto Ezio Mauro in “Il vittimismo
dell’uomo forte nel Paese senza coscienza” pubblicato sul quotidiano “la
Repubblica” di oggi: “(…). …stupisce l'insensibilità del sistema
politico e di quello mediatico. Come se tutto fosse normale, pure questo
continuo scendere di un gradino al giorno nella scala della civiltà italiana,
fatta anche di misura, coscienza del limite, riconoscimento dei ruoli, nella
differenza delle idee e nella libertà di giudizio reciproca. (…). …il Paese sta
diventando tecnicamente incosciente, mentre ottunde la sua sensibilità e
disarma la sua reattività, come se tutto potesse accadere e nulla valesse la
pena di un moto di ribellione. Come se fossimo davvero destinati a fare da
comparse in costume (…)”. Tratto da “Salvaladri2, la vendetta” di Marco Travaglio, pubblicato su “il
Fatto Quotidiano” del 14 di febbraio 2020: (…). …14 luglio 1994. La notte precedente,
mentre gli italiani sono distratti dalla semifinale mondiale Italia-Bulgaria
(2-1, doppietta di Baggio), il primo governo B. vara il decreto Biondi, che
vieta la custodia cautelare per i reati di Tangentopoli e la mantiene per
quelli di strada. È la prima di una lunga serie di leggi ad personam, fatta per
salvare dalla galera i manager Fininvest che corrompevano la Guardia di Finanza
e naturalmente i finanzieri corrotti, ma anche per mantenere con altre norme le
promesse fatte a Cosa Nostra nella Trattativa. E quel mattino le Procure
d’Italia sono impegnate a scarcerare centinaia di ladroni di Stato indagati
nelle varie Tangentopoli e a revocare i nuovi mandati di cattura. Il
procuratore di Milano Francesco Saverio Borrelli approfitta di una ricorrenza
storica per una delle sue battute taglienti: “È singolare che,
nell’anniversario della presa della Bastiglia, si aprano questi squarci nei
muri di San Vittore e Opera. Il governo, invece di disporre misure idonee a
impedire il perpetuarsi del sistema di corruzione, mostra la preoccupazione
opposta. Evidentemente considera la magistratura troppo efficiente…”. Nel giro
di sette giorni vengono scarcerati a norma di decreto 2.764 detenuti, liberi di
tornare a inquinare prove, minacciare testi, commettere nuovi reati o fuggire. In
serata Antonio Di Pietro, attorniato dagli altri pm di Mani Pulite, legge un
comunicato: “Il decreto non consente più di affrontare efficacemente i delitti
su cui abbiamo finora investigato. Infatti persone raggiunte da schiaccianti
prove su gravi fatti di corruzione non potranno più essere associate al carcere
neppure per evitare che continuino a delinquere e a tramare per impedire la
scoperta dei precedenti misfatti, talora persino comprando gli uomini a cui
avevamo affidato indagini nei loro confronti. Pertanto chiederemo al più presto
l’assegnazione ad altro e diverso incarico, nel cui espletamento non sia
stridente il contrasto tra ciò che la coscienza avverte e ciò che la legge
impone”. Subito, a Milano e in altre città, migliaia di cittadini scendono in
piazza per manifestare in difesa del Pool e contro il decreto, convocati da
Società civile, cui si uniscono Pds, Rete, Rifondazione e Verdi. Ma in piazza
ci sono anche molti leghisti e missini. L’indomani la Voce di Indro Montanelli
chiama a raccolta il “popolo dei fax” per poi pubblicare migliaia di messaggi
ricevuti. La prima pagina de la Voce viene sventolata come una bandiera,
insieme a quella di Repubblica, diretta da Eugenio Scalfari, contro il “Decreto
Salvaladri”. Fini per An, Bossi e Maroni per la Lega si dissociano dal decreto
a furor di popolo e minacciano la crisi se non sarà ritirato. E alla fine B. è
costretto alla resa. Oggi la situazione è ancor più grave. Intanto perché non
s’indigna più nessuno. Ma perché il nuovo Salvaladri non riguarda la custodia
cautelare (per “presunti non colpevoli”), ma l’espiazione della pena (per
condannati definitivi). E non porta la firma di politici, ma della Corte
costituzionale: che, dopo aver avallato per 28 anni la “retroattività” delle
leggi che negavano pene alternative al carcere e benefici a mafiosi,
terroristi, pedopornografi, stupratori, contrabbandieri e sequestratori, s’è
svegliata all’improvviso per bocciarne l’estensione (per la Spazzacorrotti) a
corruzione, concussione e peculato. O meglio: la Bonafede vale solo per chi ha
avuto la sventura di delinquere dopo la sua entrata in vigore. Chi invece ha
avuto l’accortezza di farlo prima sconta la condanna comodamente a casa o ai
servizi sociali, purché la pena sia sotto i 4 anni (come per i politici
condannati per Mondo di Mezzo) o la sua età sia sopra i 70 (come per
Formigoni). E, se era finito dentro, può chiedere e persino ottenere il
risarcimento dallo Stato per “ingiusta detenzione”: cioè per la “reclusione” che
era, sì, scritta nel Codice penale e nella sentenza, ma si dava per scontato
che fosse finta. Dalle motivazioni della Consulta capiremo se il carcere finto
vale solo per corrotti, corruttori e peculatori o anche – come sarebbe doveroso
– per tutte le altre categorie finora inserite dal Parlamento nell’articolo
4-bis dell’Ordinamento penitenziario: quello sul carcere “ostativo”, cioè vero,
senza eccezioni, benefici, alternative e scappatoie. A partire dai mafiosi che
nel ’92, in base all’applicazione “retroattiva” della nuova legge del 41-bis,
furono deportati dalle carceri ordinarie a quelle speciali di Pianosa e Asinara
e ivi sigillati gettando la chiave, anche se condannati per delitti commessi
prima. Ora Formigoni, condannato a 5 anni e 10 mesi di reclusione e mandato a
casa dopo appena 5 mesi, anziché accendere un cero alla Madonna si lagna pure
per i ben 150 giorni trascorsi in carcere sui 2029 previsti dalla sua sentenza:
“Ho subìto alcuni mesi di ingiustificata detenzione”. Povera stella. Gli
avevano spiegato che l’espressione “anni 5 e mesi 10 di reclusione” in calce
alla sua sentenza era uno scherzo, nel Paese notoriamente più giustizialista
del mondo. Poi, quando scoprì che era diventata una cosa seria, ci rimase male.
Ora i suoi santi protettori della Consulta potrebbero mandarlo a spiegare alle
centinaia di criminali finiti in carcere ostativo come mai, quando frignavano
loro, nessuno se li filava, mentre se frignano i politici la Consulta scatta
sull’attenti. Poi, si capisce, dovranno dichiarare incostituzionale anche la
barzelletta che inspiegabilmente continua a campeggiare nelle aule di
giustizia: “La legge è uguale per
tutti”. C’è chi è morto dal ridere per molto meno.
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