Tratto da “Toscani,
cioè l’arte che sposa il cinismo dei suoi padroni” di Daniela Ranieri,
pubblicato su “il Fatto Quotidiano” del 6 di febbraio 2020: Nel
Rinascimento gli artisti erano pagati dai Papi; nell’Olanda del ’600 i pittori
erano stipendiati dai banchieri; negli anni ’80 i fotografi italiani erano
sovvenzionati dai Benetton.
Ma Oliviero Toscani, il Michelangelo del click, il Tiziano del diaframma, il Raffello Sanzio del bromuro d’argento, è diventato famoso grazie ai Benetton, o i Benetton sono diventati ricchi grazie alle pubblicità di Toscani? Toscani nasce figlio di fotografo (è di papà Fedele lo scatto di Montanelli sulla Lettera 22) e diventa fotografo di moda, in tutti i sensi di quest’espressione. Elle, Vogue, GQ, Harper’s Bazaar, Esquire, Stern. Dove c’è patina, c’è Toscani.
Dove c’è il corpo in tutta la sua madida, ambigua, parlante anniottantità, c’è Toscani. Dove (quando) l’arte diventa comunicazione, e i temi sociali sostituiscono il mito e il Vangelo, lì c’è pronto Toscani, col dito sul pulsante. Anche se ha fotografato Picasso e mangiava il panettone con Warhol (c’è un’intervista in cui non l’abbia detto?), a un certo punto il suo destino d’artista ha finito per coincidere col destino imprenditoriale dei Benetton, i fratelli trevigiani dei maglioncini (e di tante altre cose, tutte a 9 zeri). (…).
Ma Oliviero Toscani, il Michelangelo del click, il Tiziano del diaframma, il Raffello Sanzio del bromuro d’argento, è diventato famoso grazie ai Benetton, o i Benetton sono diventati ricchi grazie alle pubblicità di Toscani? Toscani nasce figlio di fotografo (è di papà Fedele lo scatto di Montanelli sulla Lettera 22) e diventa fotografo di moda, in tutti i sensi di quest’espressione. Elle, Vogue, GQ, Harper’s Bazaar, Esquire, Stern. Dove c’è patina, c’è Toscani.
Dove c’è il corpo in tutta la sua madida, ambigua, parlante anniottantità, c’è Toscani. Dove (quando) l’arte diventa comunicazione, e i temi sociali sostituiscono il mito e il Vangelo, lì c’è pronto Toscani, col dito sul pulsante. Anche se ha fotografato Picasso e mangiava il panettone con Warhol (c’è un’intervista in cui non l’abbia detto?), a un certo punto il suo destino d’artista ha finito per coincidere col destino imprenditoriale dei Benetton, i fratelli trevigiani dei maglioncini (e di tante altre cose, tutte a 9 zeri). (…).
La biografia di Toscani si sovrappone con
l’opera come la mappa col territorio: il bacio tra prete e suora nel 1991, il
culo nudo marchiato “Hiv positive” nel 1993 (associazioni di malati di Aids
fecero causa alla Benetton; Toscani disse: “Non accusateci di sensazionalismo,
noi siamo in un certo senso benefattori dell’umanità”, e i suoi committenti
sancirono: “Questa campagna non è intesa ad incrementare le vendite. Noi ci
limitiamo a sottolineare la coscienza sociale della Benetton e la sua sensibilità
ai problemi del giorno d’oggi”); nel 1996 i tre cuori White/Black/Yellow (tre
organi umani estratti da cadaveri con scritta a-razziale stampigliata), la
modella anoressica nel 2007. Meticciato, malattia, sesso, morte, sangue, latte,
preservativi usati, cordoni ombelicali, corpi scheletriti: tutto bello, stante
l’ineliminabile aporia che il corpo esposto per scandalizzare i borghesi
serviva in realtà ad arricchire i borghesi. Oggi si sa che non c’è niente di
più scontato della provocazione; ma allora gli scatti terremotarono le coscienze,
e mica solo da noi: nel 1995 la Corte di Francoforte sentenziò: Toscani usa la
sofferenza delle persone per fare schockvertising, un tipo di pubblicità atta a
“destare nel pubblico un sentimento di solidarietà nei confronti dell’impresa
committente, la Benetton” (da Wikipedia). Moralismo borghese, conformismo, e
lui continuò: la donna nera e nuda che allatta il bimbo bianco, i condannati
alla pena di morte… Poi è stato tutto uno smottare, un franare alla ricerca del
sensazionale di un uomo intelligente. Nel 2013 ha detto: “Le donne devono
essere più sobrie, non si devono truccare, mettersi il rossetto, solo così si
possono evitare altri casi di femminicidio” (funziona così, coi geni della
comunicazione: condividono le opinioni dei posteggiatori abusivi, senza offesa
per quest’ultima categoria). Forse per questo nel 2018 ha ritratto per Maxim,
rivista famosa per i calendari di nudo, la ex ministra delle Riforme Maria
Elena Boschi, struccata, sdraiata in un lettone di campagna tra lenzuola di
flanella, coi capelli scarmigliati e un camicione di percalle, col risultato di
trasformare una piacente donna in carriera in una contadinozza estone del 1950
appena rientrata in cascina dopo aver munto il latte. Poi si iscrive al Pd
(come detto, ama il sangue, il disfacimento, la decomposizione). Dirà di essere
comunista dissidente, alla Majakovskij, e ostile a Renzi (ecco spiegate le foto
atroci alla Boschi), e sulla destra emetterà l’elaborata analisi: “Giorgia
Meloni? Poveretta, lei è una ritardata. È brutta e volgare”. Di lui Vittorio
Sgarbi, che s’è l’è preso come assessore alla Creatività al Comune di Salemi,
dice: “È il genio dell’inganno. Ci fa vedere quello che non c’è”. Da ultimo,
giorni fa: riunitosi commercialmente ai Benetton, per difenderli dal sospetto
che le lanciatissime Sardine abbiano avuto la reputazione ammaccata
dall’incontro col Padrone dei Maglioni (delle concessioni autostradali), ha
detto: “Ma a chi volete che interessi se casca un ponte?”, s’intende il ponte
Morandi, che crollando ha fatto 43 morti. Per non annoiare, non staremo qui a
fare la differenza tra il moralismo e l’essere morali, ma da un sensibile
benefattore dell’umanità ci si aspettava di meglio.
È il dilemma dell’opera
d’arte nell’epoca della sua riproducibilità commerciale, il doppio vincolo
psicologico del committente schizoide, direbbero gli antropologi: se un
esploratore di valore finisce per incarnare il cinismo e le intenzioni di chi
gli ha dato i soldi per la spedizione, può anche succedere che un artista
talentuoso, partito per fregare il Capitale, ne rimane fregato.
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