Tratto da “Le
ricette economiche populiste puniscono i più deboli”, intervista di Enrico
Franceschini a Mariana Mazzucato – docente allo “University College” di Londra –
pubblicata sul quotidiano “la Repubblica” del 12 di agosto dell’anno 2019: (…). Che
rischi corre l’Italia, se Salvini diventa primo ministro, professoressa
Mazzucato? «Rischia di diventare un Paese più diseguale, meno sostenibile e più
prigioniero dell’intolleranza razziale».
Perché più diseguale? «Le misure proposte
dalla Lega sono tutte regressive: flat tax, riforma pensioni, condoni fiscali,
favoriscono chi ha già privilegi e puniscono i ceti deboli. Anche le iniziative
in difesa delle piccole imprese sono sbagliate: andrebbero piuttosto aiutate a
crescere. Salvini ha una filosofia economica populista, che crea consenso solo
in certe classi, senza strategia a lungo termine».
E perché meno sostenibile? «Salvini si è
sempre schierato contro la politica ambientale. Da questo punto di vista i 5
Stelle almeno all’inizio ci hanno provato, ma senza risultati concreti neanche
loro».
E poi c’è l’euroscetticismo, la minaccia di
Salvini di lasciare l’euro «Non avrebbe senso. L’Italia può crescere solo
stando dentro la Ue, se vuole competere con Cina e Stati Uniti. Da sola ha un
peso insignificante. Il disastro della Brexit in Gran Bretagna dovrebbe servire
da lezione».
(…). Allora cosa serve? «Occorre fare capire al paese che Salvini, come Trump, si presenta nei panni del nuovo ma rappresenta il vecchio. Bisogna mettere al centro del programma la vita delle persone, fare scegliere alla gente cosa mettere nell’agenda del governo, alimentando nuove forme di democrazia. Altrimenti le persone si sentono tagliate fuori non solo a livello economico, ma anche nella partecipazione democratica».
Ci hanno già provato i 5 Stelle a rinnovare
la politica. «Sì, ma in modo elitario, come si è visto con la Piattaforma
Rosseau: in pratica una famiglia decide e gli altri obbediscono. In realtà in
Italia la politica del passato aveva una forma democratica che funzionava:
l’idea della piazza e dei partiti come il Pci, con le sezioni e le case del
popolo. Bisogna tornare all’antico con metodi nuovi».
Con quale programma concreto? «Una visione
verde per rilanciare innovazione e investimenti, coinvolgendo stato e
industria, pubblico e privato. E mettendo fine al rapporto parassitario fra
politica e business».
(…). Ma perché l’economia italiana non
cresce più? «In sostanza sono vent’anni che non cresce. Non è un problema degli
italiani: in passato l’economia cresceva, la qualità del lavoro resta ottima,
così come l’istruzione. Il problema è la mancanza di investimenti
nell’innovazione, da parte del settore privato come del settore pubblico».
Non basterebbe liberalizzare, ridurre la
burocrazia, velocizzare la giustizia? «Si può anzi si deve ridurre la
burocrazia e velocizzare la giustizia. Ma senza dare allo Stato la colpa di
tutto, come fosse il punching-ball della crisi italiana. C’è stato un periodo
in cui le aziende di stato italiano, Iri, Finmeccanica, Telecom, funzionavano
bene. Chi punta tutto su liberalizzazioni e privatizzazioni non ha studiato la
storia dell’Italia».
Ma il settore pubblico è stato a lungo
segnato da corruzione e malgoverno. «La soluzione è avere un settore pubblico
non politicizzato, in cui la politica non metta le mani dentro le aziende. Non
bisogna generalizzare: pubblico è buono, privato è cattivo, o il contrario.
L’Italia ha bisogno di entrambi. La questione è come evitare le privatizzazioni
fatte male».
Per esempio? «Parto da un caso inglese: la
privatizzazione di ferrovie, posta, aziende dell’acqua, fatta da Margaret
Thatcher negli anni ’80, ha creato servizi peggiori a costi più alti. E poi un
caso italiano, il ponte Morandi crollato a Genova: la dimostrazione che è
sbagliato dare infrastrutture vitali in concessione ai privati, senza mettere
forti condizioni che richiedano una gestione a tutela del beneficio pubblico».
(…).
Nessun commento:
Posta un commento