"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi

"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi
"Il bruco" (2017). Nikon Coolpix P900. Foto macro. Stato larvale della falena diurna "Macroglossum stellatarum" volgarmente detta "sfinge colibrì".

venerdì 21 febbraio 2020

Letturedeigiornipassati. 87 «Già, l'infanzia: pietra miliare della nostra vita».


Tratto da “Più diventerai grande e più ti vorrò bene” di Claudia De Lillo (Elasti) pubblicato sul settimanale “D” del quotidiano “la Repubblica” del 21 di febbraio dell’anno 2015: È un'età instabile, cangiante, mutevole e stralunata. Lascia solchi profondi e incancellabili e, come nessun'altra, plasma la nostra forma e la nostra sostanza. È un'impronta, un viatico o una condanna da cui è difficile affrancarsi. È così importante e decisiva che diventa giustificazione e alibi per i nostri successi e insuccessi futuri, per i nostri buchi neri e la nostra forza. «Ovvio che Simone sia un insicuro: da piccolo lo prendevano in giro tutti per quelle orecchie a sventola, persino la mamma». «Ti stupisci che Alessia sia ossessionata dalla scuola? Pensa che, se alle elementari non prendeva dieci, veniva punita severamente». Già, l'infanzia: pietra miliare della nostra vita, un inizio che è il nostro mattino, da cui si vede il buono o il cattivo giorno. Eppure, di quel terreno candido e impervio, di quel cammino incerto e traballante che imprime la direzione della marcia successiva, abbiamo ricordi labili e infidi. Non conserviamo alcuna memoria delle folgoranti prime volte: la prima poppata, la prima pizza, i primi passi, le prime parole, il primo bagno in mare, la prima risata a crepapelle, la prima delusione, la prima passione. Persino il primo amore spesso viene inghiottito dalla nebbia vorace dell'oblio. Così, rassegnata al buio, o alla penombra, in cui è avvolta la mia infanzia, osservo ora quella dei miei figli che oggi fa di loro gli uomini che saranno domani. E mi domando cosa resterà, un giorno, delle immagini, degli odori, dei suoni, delle musiche, dei sapori di adesso. Ma soprattutto mi chiedo quali parole rimarranno nella loro testa, di questa età contraddittoria, destinata e perdersi e restare più di ogni altra. Perché le parole che rimangono, a volte, sono le più importanti e le più insensate e raccontano di noi, di chi eravamo e di chi siamo diventati.
Talvolta capita che una frase, una domanda o una risposta provenienti da quel passato nebbioso mi cadano sulla testa, inaspettate e improvvise, come una tegola, insensate, buffe o crudeli, come filastrocche, folgoranti e misteriose, come l'infanzia. «Prenderemo tutti i pidocchi», disse un giorno mio nonno, scuotendo la testa. Mio nonno era un bravo medico, seppur con qualche tendenza apocalittica. Curava i miei malanni e sapeva tutto. Avevo sei anni e aspettai che si avverasse la profezia dei pidocchi fino all'anno scorso, quando effettivamente, mio marito, i miei tre figli e io ne fummo infestati. E il nonno ebbe ragione, come sempre. Forse quella sua minaccia mi restò in testa per dimostrarmi l'infallibilità di nonno Alberto. Ero molto piccola e facevo le capriole sul tappeto di casa mia. Dissi qualcosa tipo: «Io non voglio mai diventare grande». Mia madre mi guardò, sorrise e con quella sicurezza granitica che a me, creatura fragile e inadeguata, salvò la vita e la salute mentale, dichiarò: «Più diventerai grande e più ti vorrò bene». E mi quietai. Ricordo nitidamente quando la mia amica Nina si ammalò di varicella dopo che avevamo selvaggiamente litigato e qualcuno disse che era stata colpa mia. Così, per farmi perdonare, le regalai la mia bambola e lei, per vendicarsi, mi regalò il suo virus. E pareggiammo i nostri conti. Serbo una memoria nitida del primo giorno di scuola: «Mi chiamo Irene che in greco vuol dire pace. Ma voi chiamatemi signora, perché è questo quello che sono». Fu la mia maestra per i cinque anni successivi e a lei devo gratitudine e un'ossessiva passione per la grammatica. Non potrò dimenticare mio fratello che, durante la visione del film ET al cinema, disse «la Coca Cola mi fa vomitare» e subito dopo passò all'azione, sulle mie scarpe da ginnastica nuove. Ricordo mia mamma entrare in casa scapigliata. «Il nonno è scomparso», disse. Avevo 7 anni e mi chiesi a lungo come mai, quando si muore, bisogna anche scomparire. Vorrei dire parole memorabili ai miei figli per riempire i loro ricordi di perle sagge e argute. Temo di non esserne capace. E poi so che saranno loro a scegliere cosa tenere e cosa no di questa età instabile e stralunata.

1 commento:

  1. Carissimo Aldo, veramente insuperabile questo post, nel quale ho potuto apprezzare la profondità e la delicatezza dello stile di Claudia De Lillo. "Infanzia:pietra miliare della nostra vita". Come è vero! Perfetta anche la scelta del titolo... Tutto ciò che viviamo nell'infanzia viene memorizzato e determina le emozioni, le basi dei ragionamenti che da adulti faremo dentro di noi, la nostra capacità di relazionarci col mondo, determinando anche in quale mondo andremo ad inserirci e in che modo lo faremo. Da adulti prima o poi andremo alla ricerca di quanto non abbiamo ancora compreso in modo completo. La vita è come un meccanismo perfetto e, se qualcosa manca, non funziona bene. Tutte le sofferenze, quindi, sono determinate da mancanze interiori, da qualcosa che non funziona come dovrebbe. È importante sapere che l'inconscio corrisponde al 95% della nostra psiche, mentre ciò di cui siamo consapevoli è un misero 5%.Non è facile accettare l'idea di non aver prodotto con fatica e volontà i risultati ottenuti. Siamo nella situazione in cui ci troviamo perché abbiamo riprodotto inconsapevolmente ciò che ci è stato trasmesso. Tutte le risposte sono nella parte profonda e nascosta dell'iceberg costituito dal nostro inconscio. Il bambino vive e sente tutti gli stati d'animo dei genitori, si rende conto dell'infelicità dell'uno o dell'altra e cerca di fare il possibile per soddisfare le loro richieste, per diventare simile a loro, per poter ricevere in cambio amore e apprezzamento. Purtroppo, spesso la situazione si capovolge e i bambini, per far felici i genitori, iniziano a prendersene cura e carico. Le ferite emotive dell'infanzia sono profonde e, se non opportunamente curate, diventano sempre più profonde. Da questa consapevolezza nasce l'importanza di un impegno oculato, responsabile e costante da parte dei genitori e di tutti gli adulti che circondano i bambini durante la loro crescita. Grazie e buona continuazione. Agnese A.

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