Tratto da “L'uomo
sequenziale ha ceduto il posto all'uomo simultaneo” di Umberto Galimberti,
pubblicato sul settimanale “D” del quotidiano “la Repubblica” del 25 di febbraio
dell’anno 2017: I ragazzi non sanno scrivere: "guardano" e basta. E non sanno
più elaborare gerarchicamente il pensiero.
(…). Il risultato è che i nostri giovani possiedono un vocabolario così ridotto da ricorrere a una sola parola, neppure troppo elegante, per esprimere la gamma di tutti i loro sentimenti. Dalla gioia al dolore, dalla depressone all'euforia, dall'entusiasmo alla noia. Una sola parola che si incarica di dire tutto. Ricordo che nel 1976 il linguista Tullio De Mauro, di recente scomparso, aveva fatto una ricerca per vedere quante parole conosceva un ginnasiale: il risultato fu circa 1.600. Ripetuto il sondaggio venti anni dopo, il risultato fu che i ginnasiali del 1996 conoscevano dalle 600 alle 700 parole. Oggi io penso che se la cavino con 300 parole, se non di meno. È un problema? Sì, è un grosso problema, perché, come ha evidenziato Heidegger, riusciamo a pensare limitatamente alle parole di cui disponiamo, perché non riusciamo ad avere pensieri a cui non corrisponde una parola. Le parole non sono strumenti per esprimere il pensiero, al contrario sono condizioni per poter pensare. Tutto ciò forse è dovuto al fatto che negli ultimi trent'anni siamo passati a una fase dove le cose che sappiamo, dalle più elementari alle più complesse, non le dobbiamo necessariamente al fatto di averle lette da qualche parte, ma le abbiamo solo viste in televisione, al cinema, sullo schermo di un computer, oppure sentite dalla viva voce di qualcuno, dalla radio o da un amplificatore inserito nelle nostre orecchie e collegato a un walkman. A questo punto sorgono spontanee le domande: come la trasformazione della tecnica modifica il nostro modo di pensare? E ancora: quali forme di sapere stiamo perdendo per questo cambiamento? Come ha ben descritto Raffaele Simone ne La terza fase. Forme di sapere che stiamo perdendo (Laterza), all'intelligenza più evoluta che è quella "sequenziale" stiamo sostituendo l'intelligenza "simultanea", caratterizzata dalla capacità di trattare allo stesso tempo più informazioni, senza però essere in grado di stabilire una successione, una gerarchia e quindi un ordine. È l'intelligenza che usiamo per esempio quando guardiamo un quadro, dove è impossibile dire che cosa vada guardato prima e cosa dopo. L'intelligenza "sequenziale", che usiamo per leggere, necessita invece di una successione rigorosa che articola e analizza i codici grafici disposti in linea. Se leggo "cane", la forma grafica della parola e quella fonica non hanno niente a che fare con il cane, e allora la visione dei codici alfabetici comporta un esercizio della mente che la visione per immagini non richiede. Naturalmente "guardare" è più facile che "leggere", per cui l'homo sapiens, capace di decodificare segni ed elaborare concetti astratti, è sul punto di essere soppiantato dall'homo videns, che non è portatore di un pensiero, ma fruitore di immagini, con conseguente impoverimento del capire, dovuto, come scrive Giovanni Sartori in Homo videns. Televisione e post-pensiero (Laterza), all'incremento del consumo di tv e di internet. E, com'è noto, una moltitudine che "non capisce" è il bene più prezioso di cui può disporre chi ha interesse a manipolare le folle.
(…). Il risultato è che i nostri giovani possiedono un vocabolario così ridotto da ricorrere a una sola parola, neppure troppo elegante, per esprimere la gamma di tutti i loro sentimenti. Dalla gioia al dolore, dalla depressone all'euforia, dall'entusiasmo alla noia. Una sola parola che si incarica di dire tutto. Ricordo che nel 1976 il linguista Tullio De Mauro, di recente scomparso, aveva fatto una ricerca per vedere quante parole conosceva un ginnasiale: il risultato fu circa 1.600. Ripetuto il sondaggio venti anni dopo, il risultato fu che i ginnasiali del 1996 conoscevano dalle 600 alle 700 parole. Oggi io penso che se la cavino con 300 parole, se non di meno. È un problema? Sì, è un grosso problema, perché, come ha evidenziato Heidegger, riusciamo a pensare limitatamente alle parole di cui disponiamo, perché non riusciamo ad avere pensieri a cui non corrisponde una parola. Le parole non sono strumenti per esprimere il pensiero, al contrario sono condizioni per poter pensare. Tutto ciò forse è dovuto al fatto che negli ultimi trent'anni siamo passati a una fase dove le cose che sappiamo, dalle più elementari alle più complesse, non le dobbiamo necessariamente al fatto di averle lette da qualche parte, ma le abbiamo solo viste in televisione, al cinema, sullo schermo di un computer, oppure sentite dalla viva voce di qualcuno, dalla radio o da un amplificatore inserito nelle nostre orecchie e collegato a un walkman. A questo punto sorgono spontanee le domande: come la trasformazione della tecnica modifica il nostro modo di pensare? E ancora: quali forme di sapere stiamo perdendo per questo cambiamento? Come ha ben descritto Raffaele Simone ne La terza fase. Forme di sapere che stiamo perdendo (Laterza), all'intelligenza più evoluta che è quella "sequenziale" stiamo sostituendo l'intelligenza "simultanea", caratterizzata dalla capacità di trattare allo stesso tempo più informazioni, senza però essere in grado di stabilire una successione, una gerarchia e quindi un ordine. È l'intelligenza che usiamo per esempio quando guardiamo un quadro, dove è impossibile dire che cosa vada guardato prima e cosa dopo. L'intelligenza "sequenziale", che usiamo per leggere, necessita invece di una successione rigorosa che articola e analizza i codici grafici disposti in linea. Se leggo "cane", la forma grafica della parola e quella fonica non hanno niente a che fare con il cane, e allora la visione dei codici alfabetici comporta un esercizio della mente che la visione per immagini non richiede. Naturalmente "guardare" è più facile che "leggere", per cui l'homo sapiens, capace di decodificare segni ed elaborare concetti astratti, è sul punto di essere soppiantato dall'homo videns, che non è portatore di un pensiero, ma fruitore di immagini, con conseguente impoverimento del capire, dovuto, come scrive Giovanni Sartori in Homo videns. Televisione e post-pensiero (Laterza), all'incremento del consumo di tv e di internet. E, com'è noto, una moltitudine che "non capisce" è il bene più prezioso di cui può disporre chi ha interesse a manipolare le folle.
Carissimo Aldo, mi torna in mente una di quelle citazioni-gioiello che conservo e che all'occorrenza vado a rileggere:"Il tempo per leggere, come il tempo per amare, dilata il tempo per vivere"(Daniel Pennac). Una delle caratteristiche più preziose della lettura è la capacità di contribuire significativamente all'educazione sentimentale ed emotiva dei giovani e di renderli consapevoli rispetto a qualsiasi problema. Stiamo diventando sempre più incapaci di distinguere il vero dal falso e questo ci rende indifesi e manipolabili. Leggere è un passatempo che richiede cuore, fantasia, immaginazione e tempo. La maggioranza, non solo dei giovani, è troppo presa da altro:internet, televisione, cellulari, ma anche palestra, sedute dall'estetista... Ahimè, siamo il popolo dell'apparire! In ogni libro c'è un regalo, è nascosto un insegnamento... La magia della lettura è proprio questa, di regalare sensazioni autentiche a persone così differenti tra loro. Ogni idea è collegata ad un'immagine mentale. Credo che, solo riconquistando la nostra cultura, riusciremo ad essere più autentici e capaci di costruire un mondo migliore. Grazie e buon lavoro. Agnese A.
RispondiElimina