"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi

"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi
"Il bruco" (2017). Nikon Coolpix P900. Foto macro. Stato larvale della falena diurna "Macroglossum stellatarum" volgarmente detta "sfinge colibrì".

sabato 27 ottobre 2018

Riletture. 32 Non c’è un prima, non c’è un dopo. È sempre la stessa storia.


“Forza Manette” è stato il titolo dell’urlo (in forma scritta) lanciato da Marco Travaglio su “il Fatto Quotidiano” del 27 di ottobre dell’anno 2016. “Forza Manette” lanciato ed auspicato allora per “lor signori” della politica. Ma lo stesso urlo lo si era sentito squarciare il silenzio nei giorni che hanno preceduto la data elettorale del 4 di marzo 2018. Un tintinnar di manette che si è andato affievolendo una volta che “lor signori”, vincitori di quella tenzone elettorale, si siano assicurato lo scranno del potere. Di quel tintinnar non s’ode eco alcuna. Ecco, non c’è un prima, non c’è un dopo. È sempre la stessa storia. Poiché quel tintinnar buono per adescar consensi nelle urne non è convenuto ai grandi elettori dei novelli reggitori della cosa pubblica. L’invereconda vicenda della cosiddetta “legge di stabilità” ce ne offre una conferma. “Manette” addio per i malfattori di ogni tipo, come prima auspicato e minacciato, dovendo dar di conto “lor signori” proprio a coloro che ne hanno consentito il successo. Non c’è un prima, non c’è un dopo. È sempre la stessa storia. Trascrivo quell’urlo: Quattro good news, tanto per gradire. 1) Come avevamo anticipato (…), il Pd e gli alleati alfanian-verdiniani hanno salvato il senatore Albertini dalla condanna a risarcire 35 mila euro al pm Robledo per una calunnia, regalandogli abusivamente un’immunità parlamentare retroattiva che non gli spetta, perché all’epoca dei fatti non era in Parlamento, ma solo sindaco, dunque sprovvisto del privilegio che consente ai parlamentari di dire ciò che vogliono nell’esercizio delle proprie funzioni (non in altre). Contro la palese violazione della Costituzione, Robledo potrà chiedere ai giudici di sollevare alla Consulta il conflitto di attribuzioni con il Senato, per vedere riconosciuti i suoi diritti violati da una maggioranza-canaglia. 2) Come ampiamente previsto, il senatore e padre costituente Denis Verdini ha visto annullare dalla Corte d’appello di Roma “per intervenuta prescrizione” la sua condanna in primo grado a 2 anni per corruzione nell’appalto della Scuola dei Marescialli di Firenze. Che sarebbe finita così si sapeva già dal 2010, quando il reato fu scoperto. Siccome i fatti risalgono alla metà del 2008, il calcolo era presto fatto: la prescrizione sarebbe scattata dopo 7 anni e mezzo, cioè nel 2016. Ecco perché la riforma della prescrizione, annunciata in pompa magna da Renzi due anni fa e promessa dal ministro Orlando “entro l’estate” (questa), è appena finita sul binario morto per ordine di verdiniani (ci mancherebbe), alfaniani e mezzo Pd. 3) Intercettato dai giudici antimafia di Reggio Calabria, un imprenditore legato alla cosca Aquino-Coluccio annuncia giulivo: “Noi ci siamo presi il 70% dei lavori in Expo”. Col solito sistema dei subappalti, dalla solita cooperativa rossa (di vergogna, si spera), gli uomini della ’ndrangheta hanno realizzato – scrivono i giudici – “buona parte dei lavori del sito espositivo Expo 2015, ivi compresi i padiglioni dell’Italia, della Cina, dell’Ecuador, le rampe di accesso e tutta la rete fognaria”. Come volevasi dimostrare (almeno per chi legge il Fatto), questo nascondeva l’imperituro evento di Expo, orgoglio e vanto della Nazione, celebrato con fiumi di retorica da Napolitano, Mattarella, Renzi e turiferari a mezzo tv e stampa. Questo avveniva in quella Milano che Raffaele Cantone – si spera, pentito – riabilitò a “capitale morale d’Italia” a differenza di Roma che “non ha gli anticorpi”. Figurarsi se Milano non li avesse avuti: la ’ndrangheta, invece del 70%, si sarebbe pappata il 100% dei lavori. E se queste cose si fossero sapute con sei mesi d’anticipo, secondo voi il supercommissario Giuseppe Sala oggi sarebbe il sindaco di Milano o magari un signore infrequentabile costretto a giustificare un gigantesco disastro finanziario e pure criminale? 4) Ieri, tra Roma e Genova, doppia retata per gli appalti della Salerno-Reggio, del People Mover di Pisa e del Terzo Valico Genova-Milano: 31 arrestati e vari indagati per corruzione. Spiccano i nomi di due figli d’arte: Giandomenico Monorchio, erede dell’ex ragioniere generale dello Stato Andrea, e Giuseppe Lunardi, rampollo dell’ex ministro berlusconiano delle Infrastrutture e Trasporti Pietro (quello che “con la mafia bisogna convivere”). Ma soprattutto quello di Ettore Pagani, vicepresidente di Cociv (Consorzio Collegamenti Integrati Veloci), ma anche ingegnere di Eurolink, la società del consorzio guidato da Impregilo per il progetto definitivo del Ponte sullo Stretto. È trascorso un mese esatto dalla visita del premier Renzi alla Salini-Impregilo per festeggiare i 110 anni del gruppo, annunciare che il Ponte si farà e dare una bella mano agli avvocati dell’impresa nel contenzioso con lo Stato (l’Avvocatura pubblica sostiene che le penali dovute ammontano a 30 milioni, Salini&Renzi parlano di “miliardi”). Renzi aggiunse, irridendo al no della Raggi alla candidatura olimpica di Roma, che “si devono bloccare i ladri, non le grandi opere”. Supercazzola di rara insensatezza (i ladri li bloccano le manette dei giudici, ma dopo che hanno rubato, mai prima), che fa il paio con quella sul “Daspo per i corrotti” (mai visto) e con i gargarismi del “noi abbiamo commissariato il Mose, nominato Cantone all’Anac e fatto Expo senza scandali”. Infatti la ’ndrangheta ringrazia. E meno male che Salini-Impregilo compiva gli anni il 27 settembre: un solo mese di ritardo e Renzi avrebbe dovuto spegnere le 110 candeline praticamente da solo, o magari portare la torta a qualche festeggiato nell’ora d’aria. Morale della favola.
1) La riforma costituzionale più urgente è l’abolizione dell’articolo 68, quello sull’immunità parlamentare, per lasciare soltanto l’insindacabilità sui voti dati e le opinioni espresse dagli eletti al Parlamento e solo quando esercitano le proprie funzioni, e abrogare l’autorizzazione a procedere per arresti, intercettazioni e perquisizioni (quasi sempre negata). 2) La riforma della giustizia più urgente è quella che fa decorrere la prescrizione dal momento in cui il reato viene scoperto e la blocca per sempre al momento del rinvio a giudizio. 3) Il decreto più urgente è quello che sostituisce lo Sblocca Italia col Blocca Italia: tutti i grandi eventi e le grandi opere inutili sono cancellati, tutti gli appalti e gl’incarichi vanno assegnati obbligatoriamente con gara pubblica e trasparente senza eccezioni, i subappalti sono vietati per legge e le imprese i cui manager abbiano subìto condanne sono escluse dalle gare pubbliche per almeno 10 anni. (...).

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