Tratto da “La
«ditta» sciolta nel partito liquido” di Concita De Gregorio, pubblicato sul
quotidiano la Repubblica del 4 di ottobre dell’anno 2014: (…). La notizia di ieri, (…), è
che il Pd - erede (anche) del Pci - conta a meno di due mesi dalla fine
dell’anno 100 mila iscritti. Cioè: ogni centodieci persone che hanno votato
Renzi solo una è iscritta al Pd.
Proviamo a visualizzare centodieci persone: un’aula universitaria, un meganegozio di elettronica di un centro commerciale nell’ora di punta del sabato. Proviamo a immaginarli tutti elettori del Pd. Proviamo a segnalare, nella foto, l’unico iscritto al Pd con l’evidenziatore giallo. Ora occupiamoci degli altri 109. Chi sono? Perché non sentono il bisogno di far coincidere il loro voto per il Pd al gesto dell’iscriversi al partito? La risposta sta nei fatti, nelle cose: chi vive nel mondo la conosce. Il Pd - la Ditta, direbbe Bersani - è lo stesso partito che ha trattato Renzi come un estraneo e come un nemico fino ad un momento prima che vincesse. Un ragazzotto ambizioso, un democristiano 2.0, uno svelto di lingua e di modi, irrispettoso dei padri, un rottamatore. Non uno di noi. Uno che ci vuole far fuori. Questo spiega perché Renzi, che è diffidente di natura, diffidi della nomenklatura e non gli si può dar torto. “Io penso al paese, non ai dirigenti del Pd. Ogni volta che D’Alema parla mi regala un punto”, ha detto l’altro giorno. E prima ancora aveva scritto una lettera sul sito del Partito tutta contro la vecchia guardia, e prima ancora aveva detto “Fassina chi?” del braccio destro di Bersani. Sottotesto: io con questi non c’entro, io sono oltre. La responsabilità dell’aver ignorato l’astensione crescente e la rivolta nascente è tutta di chi oggi si proclama all’opposizione interna, a sinistra - per così dire - di Renzi. Avrebbero potuto fare, se solo avessero ascoltato il mondo intorno: non hanno ascoltato né fatto. Per sovrapprezzo c’è il tema della leadership, dell’uomo solo al comando, l’uomo della Provvidenza: un’antica abitudine italica radicata in un paio di ventenni, diremmo un’attitudine, da Berlusconi cavalcata e coltivata a meraviglia fin qui. I frutti del “ghe pensi mi” sono sotto i nostri occhi. Oggi il tema all’ordine del giorno è la scomparsa dell’ultimo grande partito italiano. Crollo di iscritti, nemmeno in Emilia vanno più ai gazebo. Disintegrazione. Polverizzazione. Il Pd trasformato in un comitato elettorale, in un autobus per Palazzo Chigi che quando si arriva si parcheggia fuori, pazienza per la ruggine. Ma quel partito, quell’idea di partito, non corrisponde più al sentire comune aizzato e fomentato negli anni dall’inerzia e dagli errori di chi poteva e doveva alimentare l’identità e l’appartenenza, premiare la lealtà e non fedeltà devota e riconoscente, infine dallo tsunami dell’anticasta: tutti corrotti, tutti uguali, non c’è più destra e sinistra, solo conservazione o innovazione - ha scritto Renzi nella prefazione del libro di Bobbio, “Destra e sinistra”. Solo stagnazione o movimento: cosa scegliete? Ha ragione, Renzi. Il Novecento è finito. Non ci sono più i telefoni fissi, le cabine a gettoni, il cercapersone. Non ci sono più nemmeno i partiti, il Pd era l’ultimo. Quei centomila iscritti sono i funzionari nazionali e locali e i loro amici intimi, i loro familiari. Nemmeno tutti, fra i familiari. Sono anziani, in maggioranza, o personalmente interessati alla causa, o - in una minima parte - giovanissimi in cerca di casa, destinati presto a scontarsi con le logiche mefitiche e asfittiche delle appartenenze, nei circoli. A vedere andare avanti chi “appartiene” a qualcuno piuttosto che chi sa e vuole fare qualcosa. “Io parlo al Paese”. Perfetto, è la cosa giusta. Infatti vince. Ma presto o tardi arriverà il momento in cui l’assenza di una struttura che non sia solo liquida e virtuale, non viaggi solo sui “like” della rete e sulle comparsate in bomber in tv, si ritorcerà contro chi ha pensato di poter fare a meno di un luogo dove le idee diverse - le idee diverse dalle sue - si confrontino e si misurino nel gioco della parola e della democrazia. Un luogo fisico, concreto, reale, che sappia mediare fra la pancia e la testa, che trasformi in progetto politico il desiderio e il bisogno. Nella vita vera tutto ciò che piace anche a volte un po’ dispiace. Non basta fare like a una rivoluzione, bisogna esserci di persona. Non basta votare un leader carismatico. Bisogna sostenerlo nella buona e nella cattiva sorte, come quando ci si sposa e si prova a convivere, e a volte è dura ma è un progetto, si discute, si soccombe, ci si arrabbia poi si prova ancora perché comunque è meglio che stare da soli, ciascuno in compagnia virtuale di tutto quello che manca. Tutto quello che “non mi piace”. Renzi è stato il primo degli scissionisti del Pd. Il primo che ha mostrato di poter fare senza l’apparato, fare contro. Ora ha l’80 per cento in direzione e il 41 nel paese: ha vinto. Bonifichi i pozzi, segni la rotta. Se non vuole quel partito, vecchio come un telefono a gettoni, ne costruisca un altro. Dia un posto ai milioni di ragazzi che non hanno dove andare e provi a fare quello che non hanno saputo fare molti, troppi prima di lui: pensi alle sorti dell’Italia fra trent’anni, quando anche lui sarà vecchio, più vecchio di D’Alema adesso. Pensi a un posto dove i suoi figli bambini possano costruire la democrazia, lo faccia adesso. Alla generosità siamo così disabituati, sarebbe una rivoluzione.
Proviamo a visualizzare centodieci persone: un’aula universitaria, un meganegozio di elettronica di un centro commerciale nell’ora di punta del sabato. Proviamo a immaginarli tutti elettori del Pd. Proviamo a segnalare, nella foto, l’unico iscritto al Pd con l’evidenziatore giallo. Ora occupiamoci degli altri 109. Chi sono? Perché non sentono il bisogno di far coincidere il loro voto per il Pd al gesto dell’iscriversi al partito? La risposta sta nei fatti, nelle cose: chi vive nel mondo la conosce. Il Pd - la Ditta, direbbe Bersani - è lo stesso partito che ha trattato Renzi come un estraneo e come un nemico fino ad un momento prima che vincesse. Un ragazzotto ambizioso, un democristiano 2.0, uno svelto di lingua e di modi, irrispettoso dei padri, un rottamatore. Non uno di noi. Uno che ci vuole far fuori. Questo spiega perché Renzi, che è diffidente di natura, diffidi della nomenklatura e non gli si può dar torto. “Io penso al paese, non ai dirigenti del Pd. Ogni volta che D’Alema parla mi regala un punto”, ha detto l’altro giorno. E prima ancora aveva scritto una lettera sul sito del Partito tutta contro la vecchia guardia, e prima ancora aveva detto “Fassina chi?” del braccio destro di Bersani. Sottotesto: io con questi non c’entro, io sono oltre. La responsabilità dell’aver ignorato l’astensione crescente e la rivolta nascente è tutta di chi oggi si proclama all’opposizione interna, a sinistra - per così dire - di Renzi. Avrebbero potuto fare, se solo avessero ascoltato il mondo intorno: non hanno ascoltato né fatto. Per sovrapprezzo c’è il tema della leadership, dell’uomo solo al comando, l’uomo della Provvidenza: un’antica abitudine italica radicata in un paio di ventenni, diremmo un’attitudine, da Berlusconi cavalcata e coltivata a meraviglia fin qui. I frutti del “ghe pensi mi” sono sotto i nostri occhi. Oggi il tema all’ordine del giorno è la scomparsa dell’ultimo grande partito italiano. Crollo di iscritti, nemmeno in Emilia vanno più ai gazebo. Disintegrazione. Polverizzazione. Il Pd trasformato in un comitato elettorale, in un autobus per Palazzo Chigi che quando si arriva si parcheggia fuori, pazienza per la ruggine. Ma quel partito, quell’idea di partito, non corrisponde più al sentire comune aizzato e fomentato negli anni dall’inerzia e dagli errori di chi poteva e doveva alimentare l’identità e l’appartenenza, premiare la lealtà e non fedeltà devota e riconoscente, infine dallo tsunami dell’anticasta: tutti corrotti, tutti uguali, non c’è più destra e sinistra, solo conservazione o innovazione - ha scritto Renzi nella prefazione del libro di Bobbio, “Destra e sinistra”. Solo stagnazione o movimento: cosa scegliete? Ha ragione, Renzi. Il Novecento è finito. Non ci sono più i telefoni fissi, le cabine a gettoni, il cercapersone. Non ci sono più nemmeno i partiti, il Pd era l’ultimo. Quei centomila iscritti sono i funzionari nazionali e locali e i loro amici intimi, i loro familiari. Nemmeno tutti, fra i familiari. Sono anziani, in maggioranza, o personalmente interessati alla causa, o - in una minima parte - giovanissimi in cerca di casa, destinati presto a scontarsi con le logiche mefitiche e asfittiche delle appartenenze, nei circoli. A vedere andare avanti chi “appartiene” a qualcuno piuttosto che chi sa e vuole fare qualcosa. “Io parlo al Paese”. Perfetto, è la cosa giusta. Infatti vince. Ma presto o tardi arriverà il momento in cui l’assenza di una struttura che non sia solo liquida e virtuale, non viaggi solo sui “like” della rete e sulle comparsate in bomber in tv, si ritorcerà contro chi ha pensato di poter fare a meno di un luogo dove le idee diverse - le idee diverse dalle sue - si confrontino e si misurino nel gioco della parola e della democrazia. Un luogo fisico, concreto, reale, che sappia mediare fra la pancia e la testa, che trasformi in progetto politico il desiderio e il bisogno. Nella vita vera tutto ciò che piace anche a volte un po’ dispiace. Non basta fare like a una rivoluzione, bisogna esserci di persona. Non basta votare un leader carismatico. Bisogna sostenerlo nella buona e nella cattiva sorte, come quando ci si sposa e si prova a convivere, e a volte è dura ma è un progetto, si discute, si soccombe, ci si arrabbia poi si prova ancora perché comunque è meglio che stare da soli, ciascuno in compagnia virtuale di tutto quello che manca. Tutto quello che “non mi piace”. Renzi è stato il primo degli scissionisti del Pd. Il primo che ha mostrato di poter fare senza l’apparato, fare contro. Ora ha l’80 per cento in direzione e il 41 nel paese: ha vinto. Bonifichi i pozzi, segni la rotta. Se non vuole quel partito, vecchio come un telefono a gettoni, ne costruisca un altro. Dia un posto ai milioni di ragazzi che non hanno dove andare e provi a fare quello che non hanno saputo fare molti, troppi prima di lui: pensi alle sorti dell’Italia fra trent’anni, quando anche lui sarà vecchio, più vecchio di D’Alema adesso. Pensi a un posto dove i suoi figli bambini possano costruire la democrazia, lo faccia adesso. Alla generosità siamo così disabituati, sarebbe una rivoluzione.
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