Ha scritto Marco Damilano in “Cambio di pelle” pubblicato sul settimanale L’Espresso del 16 di
settembre 2018: (…). C’è un altro Salvini, meno conosciuto, meno noto al pubblico di
seguaci e detrattori. Un politico di professione, scafato come può esserlo uno
che si è iscritto alla Lega Nord a 17 anni, è entrato nel consiglio comunale di
Milano nel 1993 e ne è uscito vent’anni dopo, non ha mai fatto neppure
l’assessore, prima di diventare ministro dell’Interno e vice-presidente del
Consiglio, tre mesi fa. Un politico puro, cresciuto negli anni della fine delle
appartenenze politiche, che condivide con i coetanei formazione culturale,
modalità di approccio, finalità della politica. Gusto tattico, netta
separazione di amici e avversari, indifferenza ai contenuti. Era comunista
padano e frequentava il Leoncavallo, era un secessionista padano e voleva
cacciare via il «prefetto italiano» da Milano, così anti-patriottico da
rifiutarsi di stringere la mano al presidente della Repubblica Carlo Azeglio
Ciampi, sognava la divisione del Nord dal Sud e un pomeriggio di febbraio, nel
2015, senza una parola di autocritica, ce lo siamo ritrovati su un palco in
piazza del Popolo a Roma a invocare la difesa della sovranità e le radici della
Nazione insieme ai gerarchi di Casa Pound.
Non più di quattro giorni prima Alessandro Robecchi in “Bolla Salvini, il punto non è se scoppierà, ma è capire quando”, pubblicato su “il Fatto Quotidiano” del 12 di settembre angosciosamente – o forse scaramanticamente - si chiedeva: (…). …aggiungiamo alle grandi domande del presente anche questa, forse minore e laterale: quanto manca allo scoppio della bolla Salvini? Inutile elencare i precedenti, che sono noti a tutti e mediamente tragicomici. Sono passati solo sette anni da quando sembrava che indossare il loden verde e prendere un treno fosse una specie di Risorgimento contro l’impero del grottesco e del cochon: Monti veniva dopo Berlusconi e sembrava la discesa dell’angelo moralizzatore. Due anni dopo nessuno poteva più vederlo nemmeno pitturato. Renzi, anche lui beneficiario di una bolla di consenso, ci affogò dentro facendo l’errore classico: credere alla propria propaganda. Stessa velocità supersonica, ciò che sembrava modernissimo e sorprendente aveva già rotto le palle due anni dopo, ci sono canzonette estive che durano di più. E ora Salvini. Il cambio di stile nell’agiografia e nella comunicazione del capo è evidente: oggi abbiamo grigliate a torso nudo dove ieri avevamo elegantissime fotine seppiate del Giovane Statista, è una questione di target. Bella domanda: quando scoppierà? Da far tremare i polsi anche ai più forti. Poiché il nostro ben s’intuisce essere una specie politica abbastanza diffusa e ben radicata. Immortale direi. Immarcescibile. Non per nulla Marco Damilano ha aggiunto: Il Capitano è in realtà, al pari di molti altri politici italiani, un Camaleonte. Uno che fa spesso il contrario di quello che dice. Uno che ha una parola diversa per ogni pubblico: al suo popolo su facebook si presenta come estremista, a Cernobbio o nel salotto di Bruno Vespa si traveste da moderato. Uno che passa dal verde padano al blu nazionale. Di trasformazione in trasformazione, Salvini ha portato il suo partito alla guida del governo, all’egemonia culturale del Paese sulla questione migranti (nei sondaggi il consenso per la sua politica è superiore al 65 per cento, più di quanti apprezzano l’attuale maggioranza), a un consenso che nelle rilevazioni virtuali è stabilmente sopra il 30 per cento. Finita l’estate, Salvini è atteso al cambio della muta, al cambio pelle. (…). E la bolla, ora che l’estate è finita? Alessandro Robecchi la vede così: La bolla Salvini deve vedersela anche con un altro problema, che potrebbe accelerarne la fine: il fastidioso e perenne rumore di fondo che i media producono. La “questione Matera” ne è un buon esempio: Di Maio chiede a Emiliano qualcosa su Matera, subito gira la favola che non sa dov’è Matera. Poi si chiarisce tutto (Matera gravita sull’aeroporto di Bari, sarà capitale della cultura, anche la Puglia ci punta molto, eccetera), ma intanto la cosa gira. Esponenti dell’opposizione fanno battute, rilanciano una notizia falsa quando già si sa che è falsa, notizia falsa e notizia vera si intrecciano, tutto si mischia. Vero? Farlocco? Solo rumore. Quel tramestio che distrae, che incanta quasi la gente, tanto per non parlare dei problemi più seri ed urgenti che la interessano. Per non vedere pure le bruttezze dell’”anatroccolo nero” della politica del momento. Per tornare alla scrittura del Damilano che allarga convenientemente gli orizzonti sul novello baraccone dell’italica politica: Giovanni Tizian e Stefano Vergine, (…) scovano i rivoli, le associazioni, le fondazioni che rappresentano il sistema culturale, organizzativo e di finanziamento della nuova Lega, quella che ha smesso il simbolo antico di Lega Nord-Indipendenza e si è rifugiata nel nuovo-vecchio brand Lega-Salvini premier. Un cambio dettato non solo dal marketing, come si è capito dopo le sentenze della Cassazione e del tribunale del riesame di Genova, ma da esigenze di sopravvivenza. Susanna Turco segue la metamorfosi politica della Lega nei territori un tempo sconosciuti, le regioni del Meridione. Qui la trasformazione si fa carne e sangue: cambiano le insegne, spuntano le sezioni, seguendo il percorso esattamente opposto alla Lega delle origini. Nei primi anni Ottanta, quando lo scapestrato Umberto Bossi batteva le cittadine lombarde, ogni bandierina piantata dal Carroccio corrispondeva a un’esigenza sociale, un pezzo di territorio che entrava in rivolta aperta contro lo Stato. Era questo il seme leghista gettato nel terreno: l’autonomia dei cittadini dallo Stato predone, l’indipendenza fiscale, la società contro la politica. L’espansione della Lega salvinista al Sud segue il percorso opposto: è calata dall’alto, è la richiesta di protezione nei confronti della politica e di un nuovo potente, è lo Stato che si fa partito e occupa la società perché Salvini oggi rappresenta lo Stato come ministro dell’Interno e uomo forte del governo. E nasce imperiosa in Alessandro Robecchi l’incontrollabile ansia di prevedere – o di fraternamente auspicare per tutti noi - quanto possa durare la rappresentazione nell’italico teatrino laddove scrive: Un caso al giorno, anche due, così, ogni giorno, un’ondata di surreale dietro l’altra, da ogni direzione e verso ogni bersaglio, poi la piccola risacca dei puntini sulle i, poi un’altra onda, e si ricomincia. La goccia che scava la pietra, e la pietra finisce che prima o poi si rompe i coglioni. Tutto diventa rumore di fondo, e la bolla di Salvini finisce lì dentro. Sarà vero? Sarà falso? Che ha fatto oggi? Proclami razziali? Baci e abbracci? Rastrellamenti di migranti? Auguri alla ragazza? Minacce alla magistratura? Pollo arrosto? Salvini è orizzontale e riempie tutte le pieghe dell’esistenza, dal pubblico all’intimo, il crinale è molto stretto, il rischio di cadere nella caricatura di se stesso è inevitabile. “Salvini fa il bucato” e “Salvini riceve Orban”, diventano la stessa cosa, è un entertainer che per esistere deve stare perennemente in onda, questo sostiene i sondaggi nell’immediato, ma alla lunga logora. È come indagare sull’imponderabile. Ardua se non penosa impresa. Ben presente a Marco Damilano che così chiude la Sua analisi: L’ultimo cambio di pelle sta avvenendo a Bruxelles, nel cuore del potere europeo. L’Europa così come l’abbiamo conosciuta nella costruzione politica dell’ultimo sessantennio è finita. Al suo posto sta già prendendo forma l’Europa dei sovranisti. Il voto di mercoledì 12 settembre del Parlamento Ue favorevole alla mozione di condanna contro il premier ungherese Viktor Orban passerà forse alla storia come l’ultimo anno dell’antico europeismo. Si spacca il Ppe, la formazione dei post-democristiani europei di cui Orban fa parte, nella libertà di voto con cui si prova a nascondere il dilemma mortale: resistere alla carica degli Orban e dei Salvini oppure assecondarla sperando di assorbirli, come suggerisce di fare il bavarese Manfred Weber, candidato alla presidenza della Commissione Ue che sarà nominata nel 2019, dopo le decisive elezioni europee? È lo stesso dilemma che interroga Salvini in Italia, ma a parti invertite. Cambiare pelle fino a portare la Lega nel Ppe, a democristianizzare la Lega per conquistare il cuore del moderatismo europeo, che avrebbe come ricaduta in Italia il partito unico del centro-destra con quel che resta dei berlusconiani? Oppure spingere per un fronte sovranista, la Lega delle leghe, l’internazionale populista sognata dal trumpista Steve Bannon? In quel trenta per cento virtuale della Lega c’è già la risposta. Per lo storico Giovanni Orsina la Lega non è il partito di destra, ma il nuovo Centro della politica italiana. E può essere che sia vero, vedendo gli applausi di Cernobbio, della Confindustria, di alcuni imprenditori, la fila degli aspiranti boiardi di Stato che vanno a raccomandarsi da Salvini, sbeffeggiati dal nuovo padrone che se la gode («Un anno fa mi davate sottobanco i biglietti massonici, ora invece...»), il conformismo sempre più asfissiante sui giornali e in tv. Tutti in omaggio dell’intelligenza politica del nuovo leader, della sua capacità di guida, della sua - pensate - moderazione. Ma se è così, non è Salvini ad aver cambiato pelle, ma un pezzo di Paese. Oppure no, è l’Italia di sempre, dove i poteri forti sono fragili. Per opportunismo, paura, viltà. E così, sconsolatamente, Alessandro Robecchi speranzoso – ma quanto? – annota: I fatti saranno più testardi, la flat tax non ci sarà (per fortuna), la benzina la paghiamo più di prima, i migranti si rivelano ogni giorno di più un’arma di distrazione, gli alleati (alla buon’ora!) si mostrano infastiditi, “Io sono eletto, i giudici no” contiene dosi massicce di Berlusconi. Quando prevarrà la sensazione di un Salvini “chiacchiere e distintivo” la bolla scoppierà, ciò che all’inizio il grande pubblico guardava con simpatia canaglia comincerà a guardare con sospetto, e poi con stizza: ancora queste cose? Ancora ‘ste cazzate? La domanda non è se succederà, ma quando.
Non più di quattro giorni prima Alessandro Robecchi in “Bolla Salvini, il punto non è se scoppierà, ma è capire quando”, pubblicato su “il Fatto Quotidiano” del 12 di settembre angosciosamente – o forse scaramanticamente - si chiedeva: (…). …aggiungiamo alle grandi domande del presente anche questa, forse minore e laterale: quanto manca allo scoppio della bolla Salvini? Inutile elencare i precedenti, che sono noti a tutti e mediamente tragicomici. Sono passati solo sette anni da quando sembrava che indossare il loden verde e prendere un treno fosse una specie di Risorgimento contro l’impero del grottesco e del cochon: Monti veniva dopo Berlusconi e sembrava la discesa dell’angelo moralizzatore. Due anni dopo nessuno poteva più vederlo nemmeno pitturato. Renzi, anche lui beneficiario di una bolla di consenso, ci affogò dentro facendo l’errore classico: credere alla propria propaganda. Stessa velocità supersonica, ciò che sembrava modernissimo e sorprendente aveva già rotto le palle due anni dopo, ci sono canzonette estive che durano di più. E ora Salvini. Il cambio di stile nell’agiografia e nella comunicazione del capo è evidente: oggi abbiamo grigliate a torso nudo dove ieri avevamo elegantissime fotine seppiate del Giovane Statista, è una questione di target. Bella domanda: quando scoppierà? Da far tremare i polsi anche ai più forti. Poiché il nostro ben s’intuisce essere una specie politica abbastanza diffusa e ben radicata. Immortale direi. Immarcescibile. Non per nulla Marco Damilano ha aggiunto: Il Capitano è in realtà, al pari di molti altri politici italiani, un Camaleonte. Uno che fa spesso il contrario di quello che dice. Uno che ha una parola diversa per ogni pubblico: al suo popolo su facebook si presenta come estremista, a Cernobbio o nel salotto di Bruno Vespa si traveste da moderato. Uno che passa dal verde padano al blu nazionale. Di trasformazione in trasformazione, Salvini ha portato il suo partito alla guida del governo, all’egemonia culturale del Paese sulla questione migranti (nei sondaggi il consenso per la sua politica è superiore al 65 per cento, più di quanti apprezzano l’attuale maggioranza), a un consenso che nelle rilevazioni virtuali è stabilmente sopra il 30 per cento. Finita l’estate, Salvini è atteso al cambio della muta, al cambio pelle. (…). E la bolla, ora che l’estate è finita? Alessandro Robecchi la vede così: La bolla Salvini deve vedersela anche con un altro problema, che potrebbe accelerarne la fine: il fastidioso e perenne rumore di fondo che i media producono. La “questione Matera” ne è un buon esempio: Di Maio chiede a Emiliano qualcosa su Matera, subito gira la favola che non sa dov’è Matera. Poi si chiarisce tutto (Matera gravita sull’aeroporto di Bari, sarà capitale della cultura, anche la Puglia ci punta molto, eccetera), ma intanto la cosa gira. Esponenti dell’opposizione fanno battute, rilanciano una notizia falsa quando già si sa che è falsa, notizia falsa e notizia vera si intrecciano, tutto si mischia. Vero? Farlocco? Solo rumore. Quel tramestio che distrae, che incanta quasi la gente, tanto per non parlare dei problemi più seri ed urgenti che la interessano. Per non vedere pure le bruttezze dell’”anatroccolo nero” della politica del momento. Per tornare alla scrittura del Damilano che allarga convenientemente gli orizzonti sul novello baraccone dell’italica politica: Giovanni Tizian e Stefano Vergine, (…) scovano i rivoli, le associazioni, le fondazioni che rappresentano il sistema culturale, organizzativo e di finanziamento della nuova Lega, quella che ha smesso il simbolo antico di Lega Nord-Indipendenza e si è rifugiata nel nuovo-vecchio brand Lega-Salvini premier. Un cambio dettato non solo dal marketing, come si è capito dopo le sentenze della Cassazione e del tribunale del riesame di Genova, ma da esigenze di sopravvivenza. Susanna Turco segue la metamorfosi politica della Lega nei territori un tempo sconosciuti, le regioni del Meridione. Qui la trasformazione si fa carne e sangue: cambiano le insegne, spuntano le sezioni, seguendo il percorso esattamente opposto alla Lega delle origini. Nei primi anni Ottanta, quando lo scapestrato Umberto Bossi batteva le cittadine lombarde, ogni bandierina piantata dal Carroccio corrispondeva a un’esigenza sociale, un pezzo di territorio che entrava in rivolta aperta contro lo Stato. Era questo il seme leghista gettato nel terreno: l’autonomia dei cittadini dallo Stato predone, l’indipendenza fiscale, la società contro la politica. L’espansione della Lega salvinista al Sud segue il percorso opposto: è calata dall’alto, è la richiesta di protezione nei confronti della politica e di un nuovo potente, è lo Stato che si fa partito e occupa la società perché Salvini oggi rappresenta lo Stato come ministro dell’Interno e uomo forte del governo. E nasce imperiosa in Alessandro Robecchi l’incontrollabile ansia di prevedere – o di fraternamente auspicare per tutti noi - quanto possa durare la rappresentazione nell’italico teatrino laddove scrive: Un caso al giorno, anche due, così, ogni giorno, un’ondata di surreale dietro l’altra, da ogni direzione e verso ogni bersaglio, poi la piccola risacca dei puntini sulle i, poi un’altra onda, e si ricomincia. La goccia che scava la pietra, e la pietra finisce che prima o poi si rompe i coglioni. Tutto diventa rumore di fondo, e la bolla di Salvini finisce lì dentro. Sarà vero? Sarà falso? Che ha fatto oggi? Proclami razziali? Baci e abbracci? Rastrellamenti di migranti? Auguri alla ragazza? Minacce alla magistratura? Pollo arrosto? Salvini è orizzontale e riempie tutte le pieghe dell’esistenza, dal pubblico all’intimo, il crinale è molto stretto, il rischio di cadere nella caricatura di se stesso è inevitabile. “Salvini fa il bucato” e “Salvini riceve Orban”, diventano la stessa cosa, è un entertainer che per esistere deve stare perennemente in onda, questo sostiene i sondaggi nell’immediato, ma alla lunga logora. È come indagare sull’imponderabile. Ardua se non penosa impresa. Ben presente a Marco Damilano che così chiude la Sua analisi: L’ultimo cambio di pelle sta avvenendo a Bruxelles, nel cuore del potere europeo. L’Europa così come l’abbiamo conosciuta nella costruzione politica dell’ultimo sessantennio è finita. Al suo posto sta già prendendo forma l’Europa dei sovranisti. Il voto di mercoledì 12 settembre del Parlamento Ue favorevole alla mozione di condanna contro il premier ungherese Viktor Orban passerà forse alla storia come l’ultimo anno dell’antico europeismo. Si spacca il Ppe, la formazione dei post-democristiani europei di cui Orban fa parte, nella libertà di voto con cui si prova a nascondere il dilemma mortale: resistere alla carica degli Orban e dei Salvini oppure assecondarla sperando di assorbirli, come suggerisce di fare il bavarese Manfred Weber, candidato alla presidenza della Commissione Ue che sarà nominata nel 2019, dopo le decisive elezioni europee? È lo stesso dilemma che interroga Salvini in Italia, ma a parti invertite. Cambiare pelle fino a portare la Lega nel Ppe, a democristianizzare la Lega per conquistare il cuore del moderatismo europeo, che avrebbe come ricaduta in Italia il partito unico del centro-destra con quel che resta dei berlusconiani? Oppure spingere per un fronte sovranista, la Lega delle leghe, l’internazionale populista sognata dal trumpista Steve Bannon? In quel trenta per cento virtuale della Lega c’è già la risposta. Per lo storico Giovanni Orsina la Lega non è il partito di destra, ma il nuovo Centro della politica italiana. E può essere che sia vero, vedendo gli applausi di Cernobbio, della Confindustria, di alcuni imprenditori, la fila degli aspiranti boiardi di Stato che vanno a raccomandarsi da Salvini, sbeffeggiati dal nuovo padrone che se la gode («Un anno fa mi davate sottobanco i biglietti massonici, ora invece...»), il conformismo sempre più asfissiante sui giornali e in tv. Tutti in omaggio dell’intelligenza politica del nuovo leader, della sua capacità di guida, della sua - pensate - moderazione. Ma se è così, non è Salvini ad aver cambiato pelle, ma un pezzo di Paese. Oppure no, è l’Italia di sempre, dove i poteri forti sono fragili. Per opportunismo, paura, viltà. E così, sconsolatamente, Alessandro Robecchi speranzoso – ma quanto? – annota: I fatti saranno più testardi, la flat tax non ci sarà (per fortuna), la benzina la paghiamo più di prima, i migranti si rivelano ogni giorno di più un’arma di distrazione, gli alleati (alla buon’ora!) si mostrano infastiditi, “Io sono eletto, i giudici no” contiene dosi massicce di Berlusconi. Quando prevarrà la sensazione di un Salvini “chiacchiere e distintivo” la bolla scoppierà, ciò che all’inizio il grande pubblico guardava con simpatia canaglia comincerà a guardare con sospetto, e poi con stizza: ancora queste cose? Ancora ‘ste cazzate? La domanda non è se succederà, ma quando.
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