"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi

"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi
"Il bruco" (2017). Nikon Coolpix P900. Foto macro. Stato larvale della falena diurna "Macroglossum stellatarum" volgarmente detta "sfinge colibrì".

domenica 5 gennaio 2025

MadeinItaly. 45 Massimo Giannini: «È tutto, sempre e solo una finzione. Neanche l’Intelligenza Artificiale può sostituire la nostra demenza naturale».


(…), ho visto cose che voi umani. Ho visto Meloni, sorridente e serena in un caldo maglione natalizio, che la piantava di urlare come un’ossessa contro i complottisti e i comunisti, faceva gli occhi languidi e quasi baciava sulle labbra Schlein, come Breznev e Honecker in quel famoso frammento preistorico di socialismo reale. Ho visto Salvini – finalmente in pace coi pensieri e i pubblici ministeri, coi migranti e i cantanti – che cingeva dolcemente al collo il mite e mitico Ghali, amico ritrovato e non più nemico giurato. Ho visto un Berlusconi giulivo e redivivo, sorridente come ai tempi della Bicamerale con D’Alema, stretto stretto a un Travaglio in odore di santità, ai piedi di un albero di Natale. Poi ho visto anche la mia amica Fagnani che abbracciava un Mammucari felice dopo un probabile trapianto di cervello, Zidane e Morgan che facevano pace rispettivamente con Materazzi e Bugo, e infine persino Selvaggia Lucarelli che quasi limonava con un Fedez incredibilmente pago e compiaciuto, dunque reduce da qualche affaruccio con un capo ultrà del Milan o dal festoso pestaggio di un buttafuori. «Caspita che anno formidabile ci aspetta!», mi sono detto tra il lusco e il brusco. Poi, all’improvviso, è arrivata quella santa donna di mia moglie, che mi ha scosso e mi ha urlato: guarda che non stai anticipando il futuro, stai solo smanettando con il cellulare… Non ci potevo credere. In un sussulto di consapevolezza, mi sono accorto che in effetti avevo in mano lo smartphone, e stavo guardando quasi ipnotizzato un video-fake pazzesco, generato mostruosamente bene da Open AI. Sono stato uno stupido: come ho fatto a non pensarci subito? È tutto, sempre e solo una finzione. Neanche l’Intelligenza Artificiale può sostituire la nostra demenza naturale. Buon 2025, umani.
(Tratto da “L’anno che (non) verrà” di Massimo Giannini pubblicato sul settimanale “il Venerdì di Repubblica” del 3 di gennaio 2025).

LItaliaCheNonCambia”. “Il generale tuttofare che provò a vaccinare pure la democrazia” di Pino Corrias, pubblicato su “il Fatto Quotidiano” del 29 di dicembre dell’anno 2024: Dietro le medaglie, l’uomo. Dietro l’uomo, l’alpino. Dietro l’alpino, il patriota. Dietro il patriota, l’intera nazione. E dietro l’intera nazione, anche al netto di qualche fregatura, finalmente di nuovo l’uomo. Al secolo Francesco Paolo Figliuolo, con il dittongo, la penna, la tromba, il moschetto, detto Il Generalissimo Multitasking, un metro quadrato di decorazioni sul petto, compresa la stella cometa e secondo Maurizio Crozza, massimo esperto di facce e comportamenti dei nostri migliori campioni, anche la bottoniera con l’interfono per le emergenze che quando suona l’allarme lui, il generale, è sempre pronto, anzi prontissimo. Parola d’ordine strillata: “Fuoco a tutte le polveri!”. Dall’Afghanistan al Kosovo ha comandato contingenti per conto della Nato. Dal Kosovo al Covid ha governato la somministrazione dei vaccini per conto di Mario Draghi. Dal Covid alle alluvioni in Emilia Romagna ha sovrinteso gli aiuti a singhiozzo per conto di Giorgia Meloni. Mentre da domani si prepara a misurarsi di nuovo sull’intero scacchiere internazionale per difendere la Patria, spiare i malvagi del terrorismo internazionale, misurare i vantaggi e gli svantaggi delle guerre in corso, esplorare i labirinti e le opportunità di quelle future, nei nuovi panni di vice comandante dei Servizi segreti esteri. Suo viatico preferito: “Sono abituato a vincere”. La sua massima competenza non è solo la logistica militare e civile di cui confessa di essere innamorato: “Mi piace moltissimo, la trovo romantica: quando i meccanismi si incastrano esattamente, mi sembra di ascoltare la musica delle cose”. Lo appassiona pure la musica della carriera, visto che si fa trovare sempre sull’attenti e pronto alla nomina. Compresa la più clamorosa, quella di commissario speciale per gli aiuti all’Emilia-Romagna dopo la catastrofica alluvione del maggio 2023, 17 vittime, 36 mila sfollati, 100 comuni coinvolti, una stima da 10 miliardi di euro di danni. Giorgia Meloni – che passeggiò con Ursula von der Leyen tra gli sfollati, coadiuvata da una dozzina di telecamere – era tanto addolorata da quel paesaggio di vite finite nel fango, che impiegò quaranta giorni per scegliere un commissario straordinario. Quaranta giorni e quaranta notti, purché non fosse Stefano Bonaccini, presidente della Regione, dunque candidato naturale all’emergenza, ma purtroppo anche presidente del pd, il maggiore partito di opposizione, guai a dargli visibilità visto che c’erano le amministrative in ballo. La politica non è un pranzo di gala, chi se ne frega degli affamati. E dal cilindro del sommo cinismo venne fuori la penna sull’attenti dell’alpino. Bonaccini la prese maluccio, ma reagì meglio: “Prendiamo atto della scelta centralista del governo, ma siamo pronti a collaborare con il generale”. Figliuolo sorvolò. Misurò. Allestì tende e conferenze stampa. Promise. Inciampò. Si eclissò. Coprì il governo che intanto stanziava trenta milioni di spiccioli dopo averne promessi milletrecento. Tutto rallentò di mese in mese. La sua “macchina rombante”, “la macchina che tutto il mondo ci invidia”, si ingolfò. Produsse un sacco di fumo e normative sempre più complicate per chiedere finanziamenti e rimborsi. Passato un intero anno, il generalissimo si risvegliò. Trasalì. Tentò una ingegnosa manovra diversiva dettando una lettera a sé stesso, ma astutamente indirizzata ai sottoposti, intimando loro di attuare con “somma urgenza” gli “interventi ancora incompleti” da “finalizzare in modo pieno e rigoroso”. A completare il pasticcio vennero le elezioni regionali, novembre 2024. Perse dalla destra, vinte dall’erede di Bonaccini, Michele De Pascale, nonostante l’esondazione dell’assenteismo bipartisan, visto che gli elettori stavano ancora spalando i danni dell’alluvione e del generale. Da qui la ritirata strategica di Meloni, coperta dai fumogeni della propaganda, che per parlare d’altro, ora spedisce l’alpino con il record di medaglie e nastrini nel cono d’ombra dei Servizi, non capo, ma vicecapo, bye bye. Ci dirà il futuro se per sempre o cosa. In quanto al passato è storia già stampata per i posteri quella di Francesco Paolo Figliuolo, nella autobiografia accarezzata a quattro mani in compagnia di Beppe Severgnini, 304 pagine incoronate dal titolo Un italiano, che risulta la più sorprendente tra le molte rivelazioni che contiene. Scopriamo, per esempio, che Figliuolo ama la pace, si considera un buon padre di famiglia, “un patriota”, “un uomo generoso”, “religioso”, “affettuoso”. “Vanitoso”, ma con giudizio. “Impulsivo”, ma senza portare rancore. “Severo, ma non crudele”. Insomma un capolavoro nato a Potenza nell’anno 1961. Studente sveglio e volenteroso. Allievo dell’Accademia militare di Modena, nutrito con “lo spirito di corpo” e “l’attaccamento alla nazione”. Innamorato della penna sul cappello: “Essere alpino non è una professione, ma una scelta identitaria”. E poi: “Il vero alpino è tutto d’un pezzo, porta lo zaino, porta anche due zaini se qualcuno non ce la fa”. Basta? Non basta ancora: “Essere alpino vuol dire essere portatori di valori quali il sacrificio, la tenacia, la solidarietà, l’amore verso l’altro”. Ma certo. Specialmente nei mattatoi della guerra, dove l’alpino, secondo il presepe illuminato da Figliuolo, porta la pace. Esce dall’Accademia come ufficiale di artiglieria da montagna, Brigata Taurinense. Svolge missioni nei Balcani e in Afghanistan. Diventa generale di divisione in ambito Nato, fino all’incarico di Comandante logistico dell’Esercito italiano. È in quella operosa trincea che lo pesca Mario Draghi, dicembre 2021, in piena pandemia Covid 19, per sostituire Domenico Arcuri, commissario per l’emergenza durante il governo Conte, inciampato nei padiglioni per le vaccinazioni a forma di primula ideati dall’architetto Stefano Boeri. Salito al volante della nazione, Figliuolo promette: “Vaccineremo tutti, vaccineremo chi passa”, siamo “una macchina rombante” che corre verso il traguardo della immunità di gregge. Salvo accorgersi, in corso d’opera, che le varianti del virus hanno imboccato altre strade, altri svincoli destinati a moltiplicarsi. Ma intanto, grazie a “una certa considerazione che ho di me stesso”, si dichiara vincitore: “Ho contribuito a vaccinare una grande democrazia”. Frase che letta due volte non vuol dire nulla, ma alla terza vale una medaglia sul petto, se ci fosse posto.

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