"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi

"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi
"Il bruco" (2017). Nikon Coolpix P900. Foto macro. Stato larvale della falena diurna "Macroglossum stellatarum" volgarmente detta "sfinge colibrì".

martedì 21 gennaio 2025

CosedalMondo. 28 “Il 20 di gennaio…”.


Sopra. Immagine di Donald Trump realizzata con l'intelligenza artificiale dal fotografo e artista Phillip Toledano.
 
«Sono venuta tanto da lontano per rivederti, senti il mio cuore come batte… senti come batte forte il mio cuore!... tocca la mia fronte e il mio seno: oh! sono assai stanca, ho corso tanto; sono spossata dalla lunga aspettazione... erano quasi trecento anni che non ti vedeva.» «Trecento anni!» «Non ti ricordi? Noi eravamo assieme in questo castello: ma sono memorie terribili! Non le evochiamo.» «Sarebbe impossibile; io le ho dimenticate.» «Le ricorderai dopo la tua morte.» «Quando?» «Assai presto.» «Quando?» «Fra venti anni, al venti di gennaio: i nostri destini, come le nostre vite, non potranno ricongiungersi prima di quel giorno». (Tratto da “Le leggende del castello nero”, 1869, di Igino Ugo Tarchetti).

“La versione di Barnum”, testo di Stefano Massini pubblicato sul settimanale “d” del quotidiano “la Repubblica” del 18 di gennaio 2025: A cosa serve raccontare la realtà, se non conferma ciò che ci è utile?  Meglio mutarla, a proprio vantaggio. Tanto più che le masse non credono a quello che è dimostrato ma a quello che le avvince, come emerse chiaramente anni e anni fa, sotto il tendone del circo di Barnum, quando in migliaia venivano ad applaudire la sedicente balia di George Washington che per essere tale avrebbe dovuto avere l'età di Matusalemme. E quindi benvenuti nel grande laboratorio in cui la verità si riscrive, si corregge, si trasforma senza ritegno e soprattutto senza timore alcuno che la distorsione ingeneri conseguenze tragiche. La prima di esse prese forma nel 2015, quando Donald Trump non era ancora il candidato ufficiale dei Repubblicani alla Casa Bianca. Al tempo dei fatti egli era solo (si fa per dire) il simbolo vivente del più rampante sogno americano, quello che aveva consentito al figlio di immigrati tedeschi di incoronarsi re incontrastato del mercato immobiliare di New York, rendendolo l'incarnazione - reale e televisiva - del successo e del potere che ne discende per diretta emanazione, fino a farlo quasi naturalmente competere per le primarie presidenziali. Di politica Donald ne aveva già fatta eccome, adesso però si era convinto di poter marciare da solo, secondo la lezione che impartiva a legioni catodiche di discepoli dallo studio di The Apprentice. E dunque avanti, senza remore, puntando dritto allo Studio Ovale. Per agguantare l'obiettivo sapeva che non esiste strategia più remunerativa del generare il veleno della paura, servendo all'istante l'antidoto per debellarlo, cosicché il 2015 è l'anno cruciale in cui il nostro percorre in lungo e in largo gli Stati Uniti evocando nemici di ogni genere e tipo, responsabili efferati di aver sabotato ai cittadini americani il diritto alla felicità che splende all'incipit della Costituzione. Ogni fatto di cronaca viene gonfiato e moltiplicato, il verbo uccidere diventa trucidare, l'omicidio è un'ordalia sanguinaria e le vittime sono sempre teneri agnelli indifesi nella foresta buia infestata dai lupi, secondo un costrutto che terrorizzava i bimbi con le fiabe dei Grimm così come le platee delle convention. Il metodo è spietato e applicato con rigore, tanto che si arriverà perfino alla leggenda dei migranti che si cibano dei gattini e dei cagnolini del quartiere (copyright 2024). Tant'è, accade un giorno del 2015 in quel di Boston che due fratelli varcano il confine della fiaba e puntano un senza tetto per strada, gli si accaniscono contro urinandogli addosso e spedendolo all'ospedale coperto di ematomi. Identificati e arrestati, i due si difendono dicendo che il raid era più che legittimo, perché il tizio non era forse un immigrato illegale ispanico di cui il candidato Donald predicava la deportazione? Passano pochi giorni, e il caso vuole che Egli in persona intervenga a un evento a Boston, dove viene interpellato sul fattaccio. Risposta? Sostiene che certo, la violenza è un orrore, ma in fondo apprezza il fatto che i suoi seguaci siano "gente appassionata, che questo Paese lo ama e vuole che torni grande". L'episodio fu importantissimo nella storia politica di Trump, perché segnò che il limite era stato passato, e la narrazione fake si andava ormai convogliando in effetti pratici, di cui il voto non era l'unico terminale. Di lì a pochi mesi, avrebbe infuriato la campagna presidenziale più incredibile della Storia, quella appunto fra Trump e Hillary Clinton, costellata da un florilegio drammatico di invenzioni clamorose e - ahimè - catastrofiche conseguenze. Come dimenticare allora il Pizzagate, cioè il complotto diffuso e rilanciato dalla galassia dell'ultradestra, secondo il quale traffici orribili di minori avrebbero avuto luogo negli scantinati di certe pizzerie con l'avallo dei piani alti dei dem? Era un'accusa mitologica, ma il 4 dicembre del 2016 uno scriteriato si presentò armato di fucile alla pizzeria Comet Ping Pong di Washington e fece fuoco come Rambo. Chissà se è stato quantificato il numero di voti che la fake news delle pizzerie ha portato ai suoi sostenitori, indefessamente votati a proclamare che un Segretario di Stato potesse disporre tratte di bambini fra una Capricciosa e una Margherita. Sembra un copione da circo, e tutto ci riporta difatti al tendone di Barnum cui si alludeva in apertura. Che poi la tecnica del fake si nutre senza dubbio di psicologia, se è vero che il maestro degli spin doctors, Edward Bernays, era pur sempre il nipote anagrafico di Sua Eccellenza Sigmund Freud. Basti pensare a quanta abile psicologia possiamo reperire per oltre quindici anni nei silenzi e nelle reticenze di Trump sulla dibattuta questione del certificato di nascita di Barack Obama, accusato dai cosiddetti birthers di aver falsificato il documento per spacciarsi cittadino americano, mentre sarebbe stato messo al mondo - vade retro - in Kenya o in chissà quale altro inferno africano. Davanti alla veemenza delle illazioni, il Presidente fu costretto a mostrare il proprio certificato e perfino ad addurre prove della sua veridicità, ma ovviamente le moltitudini dei social non si persuaderanno mai di ciò che negano come atto di fede. Come reagì Trump a tutto ciò? Col silenzio. Lasciò che il suo staff rilasciasse dichiarazioni di solidarietà a Obama, ma personalmente non prese mai posizione contro l'infamante accusa, evitando di pronunciarsi in un classico silenzio assenso. Per ascoltare un suo "non ho mai creduto che Obama avesse falsificato l'atto di nascita" si dovette aspettare il settembre di molti anni dopo, ma non stupì nessuno perché la riscrittura forzata della realtà era ormai il suo sport preferito, al punto che nel 2019, nel pieno delle funzioni da Presidente, mostrò un grafico della traiettoria dell'uragano Dorian corretta da lui stesso, pochi minuti prima, con un pennarello. Perfino sugli eventi naturali, vinceva la tattica circense di Barnum. Farebbe ridere, se non facesse piangere.

Nessun commento:

Posta un commento