"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi

"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi
"Il bruco" (2017). Nikon Coolpix P900. Foto macro. Stato larvale della falena diurna "Macroglossum stellatarum" volgarmente detta "sfinge colibrì".

giovedì 23 gennaio 2025

Lavitadeglialtri. 67 Javier Cercas: «Io ho sentito che mio padre, che in teoria è morto 17 anni fa, è morto del tutto solo quando è morta mia madre, solo poche settimane fa».

                                                       Sopra. Mia madre. 

(…). Ci sono cose di sé che è difficile, a volte impossibile, condividere con una madre. Jacques Séguéla ci scrisse un libro autobiografico dal titolo Non dite a mia madre che faccio il pubblicitario, lei mi crede pianista in un bordello (Fausto Lupetti Editore). Chi pensa sia vero il contrario probabilmente non ha avuto una madre. Saprebbe che le due cose sono interscambiabili: si preferisce un figlio calvo quando è capellone e capellone quando è calvo. Certo, fare una vita d'artista rende tutto più complicato. Angelo Branduardi nella canzone Confessioni di un malandrino evocava "I miei che non sanno di avere un figlio che compone versi". Ma se il padre vi avrebbe dato una scorsa con indifferenza, la madre vi avrebbe cercato ogni possibile riferimento ("Qui parli di me, vero?") e, soprattutto motivo di scandalo ("proprio quella parola dovevi usare?"). Può sembrare un conflitto minore, ma non lo è. L'artista libero dovrebbe non avere alcun timore della censura di Stato, può insultare un ministro, dipingere una scena osé, cantare le proprie fantasie più atroci, ma può scattargli l'autocensura in previsione del giudizio materno. Mi viene da pensare al pittore Gustave Courbet, nato da una famiglia di agricoltori, che fecero sacrifici per farlo studiare a Parigi, sperando diventasse avvocato. Il successo artistico probabilmente li ripagò, almeno finché non ebbe l'idea di dipingere L'origine del mondo, le cosce dischiuse della modella in primissimo piano. La madre, Sylvie, morì 5 anni dopo la proibizione di esporre l'opera, proibizione che durò per tutta l'esistenza del suo autore e oltre. Par di sentire il dialogo: «Madre, che c'è da gridare, non è da lì che provengo, che veniamo tutti?». «E c'era bisogno di dipingerlo, ma soprattutto: di firmarlo?». Poi c'è anche chi non si è mai posto il problema. È il caso del rapper bianco Eminem. Uno dei suoi primi successi, Cleanin' Out My Closet, abbonda di parolacce, per la precisione di offese. Rivolte alla mamma, Debbie Nelson, che lo partorì a soli 17 anni. È morta il novembre scorso, a 69. Usava il cognome da nubile per non essere riconosciuta come la madre "puttana, che bruci all'inferno". Con un minimo di sensibilità i conti potevano essere regolati in privato. E che ora Debbie e tutte le madri perdute riposino in pace, dalla fatica della creazione e dall'ansia del pudore. (Tratto da “In sala si sentì un botto” di Gabriele Romagnoli, pubblicato sul settimanale “d” del quotidiano “la Repubblica” del 18 di gennaio 2025).

Madri”. “Tutto su mia madre” dello scrittore spagnolo Javier Cercas, pubblicato sul settimanale “Robinson” del quotidiano “la Repubblica” del 5 di gennaio 2025: Mi è stato raccontato che una volta il cantautore Victor Manuel stava camminando per una strada di Madrid quando uno sconosciuto lo indicò.  «Ehilà», disse. «Victor Manuel e Ana Belén». Non c'è da stupirsi: primo, perché per le persone della mia età Victor Manuel e Ana Belén ci sono sempre stati, come, che so, Bob Dylan, Vargas Llosa o Woody Allen; secondo, e soprattutto, perché per noi sono due persone diverse e un unico vero essere, proprio come i nostri genitori. Ecco perché per noi i genitori non muoiono veramente finché non sono morti entrambi; io, almeno, ho sentito che mio padre, che in teoria è morto 17 anni fa, è morto del tutto solo quando è morta mia madre, solo poche settimane fa. Anche questo non dovrebbe sorprendere. Quando i genitori muoiono, muore un mondo. Con mia madre, per esempio, muore una vita contadina che sembrava essersi conservata intatta dal Neolitico, in cui è nata e cresciuta; muore la guerra civile, che ha sofferto da bambina, e il franchismo, sotto il quale ha vissuto per quattro decenni senza tregua; muore la mia infanzia, la mia adolescenza e la mia giovinezza, che credevo ancora vive; e muore un universo saldo, coerente, ordinato cristianamente. Dirò solo che mia madre era assolutamente certa che, dopo la sua morte, avrebbe rivisto mio padre (…). Mia madre amava mio padre con una passione bestiale, esclusiva: lo conosceva fin da bambina e conquistarlo era la grande avventura della sua vita, un'avventura che non si stancava mai di raccontare, come se fosse un'eroina di Jane Austen, che non leggeva mai. È buffo: quando i tuoi genitori muoiono, inizi a scoprire cose sconosciute, o che ti sembrano sconosciute, come se la morte volesse dimostrarti che non sei stato abbastanza attento alla loro vita. Quando è morto mio padre - un veterinario rurale dell'Estremadura trasferitosi in Catalogna, un lavoratore in nero che lavorava dall'alba al tramonto per mantenere la famiglia - ho saputo che la prima cosa che ha fatto dopo il pensionamento è stata quella di iscriversi a un corso di catalano per adulti; quando è morta mia madre - una casalinga che amava leggere e che non ha mai smesso di lamentarsi della sua mancanza di istruzione («Che peccato, figlio mio: l'unica cosa che ho imparato a scuola è stata la lista dei re gotici») - ho appreso da un necrologio che era in grado di determinare, esaminando la lingua di un maiale al microscopio, se l'animale aveva contratto la trichinosi. Aveva 34 anni quando emigrò dal suo villaggio, Ibahernando (Càceres), in cerca di un futuro migliore per il marito e i cinque figli, ma non se ne andò mai a 1.000 chilometri di distanza da dove viveva. Qualche tempo fa, le fu diagnosticato il morbo di Alzheimer. Ha trascorso i suoi ultimi mesi in una casa di riposo, vicino a casa sua, nel quartiere La Devesa di Girona; è sempre stata una donna molto socievole e lì era felice, perché tutti quelli che la circondavano erano di Ibahernando (o, almeno, di Trujillo). A quel tempo parlava molto, anche se non si capiva quello che diceva, o si capiva solo il suono, non le parole; ma un pomeriggio articolò delle parole comprensibili, le ultime che le sentii pronunciare: per questo (ma non solo per questo) le sentii come il suo testamento. Quel pomeriggio eravamo rimasti soli per un po', tenendoci per mano in silenzio; erano mesi che mia madre non sapeva chi fossi (anche se sapeva che ero una persona molto vicina a lei e che le volevo bene), ma all'improvviso sembrò riconoscermi. «Senti, Javi», disse quasi scusandosi, guardandomi con i suoi occhi vitrei. «Sono sempre stata una persona umile. Ho sempre pensato che gli altri fossero migliori di me. Fin da quando ero bambina. Non so perché, ma l'ho sempre pensato. E sai cosa ho capito, ora che sono più grande?». «Cosa?», le chiesi. «Che essere umili paga», rispose. Ho ricordato tutto questo il 2 dicembre 2024, mentre camminavo per le strade di Girona all'alba, poche ore dopo la morte di mia madre. Il giorno dopo, durante il suo funerale, che si tenne nella sua solita parrocchia, affollata di vicini di casa, distribuimmo un ricordo con un versetto del Discorso della montagna che Gesù Cristo deve aver pronunciato pensando a lei: «Beati i puri di cuore, perché vedranno Dio».

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