"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi

"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi
"Il bruco" (2017). Nikon Coolpix P900. Foto macro. Stato larvale della falena diurna "Macroglossum stellatarum" volgarmente detta "sfinge colibrì".

giovedì 30 gennaio 2025

CosedalMondo. 31 Alessandro Robecchi: «Il mondo come un grande terreno edificabile. Segniamocelo, per il prossimo giorno della memoria, quando, commossi, diremo “Mai più”».


“Donald Real Estate. Gaza, il dramma trasformato in un affare immobiliare”: Le immagini della marcia dei palestinesi di Gaza che, a piedi, carichi di fagotti, tornano verso case che non ci sono più, dopo aver perso tutto, oltre cinquantamila morti, il settanta per cento dei quali donne e bambini, senza più ospedali, scuole, moschee, affamati, senza niente, hanno riempito televisori e prime pagine, proprio nel giorno della memoria. Davanti a quelle immagini, la frase-monito-preghiera “Mai più” che dovrebbe essere il vero slogan-significato del giorno della memoria si scioglieva malamente, con un odore acre e schifoso. Poi, sono arrivate le parole di Donald Trump, il capocantiere del mondo: insomma, lì bisogna ricostruire, quelli che ci vivono sono un ostacolo, fermano lo sviluppo, la ristrutturazione (a cura e a vantaggio di chi ha raso al suolo tutto, ovviamente), quindi bisogna che si spostino. Vadano in Egitto, in Giordania, insomma, deportazione di massa (deportation è una parola di moda, per Donald). E lì ci facciamo tante villette e alberghi di lusso, che c’è pure una bella spiaggia, è un peccato che ci viva un popolo, non sarebbe meglio metterci dei coloni sionisti e tanti turisti garruli e felici? Sulla sostanza politica della proposta Trump – fatta un po’ senza parere, come si parla della lettiera del gatto, o di imbiancare il salotto – non c’è molto da dire: spostare quasi due milioni di persone dalla loro patria a un esilio forzato in un altro Paese sarebbe la più grande pulizia etnica mai vista, non solo in questo secolo, un crimine di guerra conclamato. Senza contare che almeno due terzi dei palestinesi di Gaza hanno per padri e nonni altri palestinesi deportati e cacciati dalla loro terra durante la Nakba (Catastrofe) del 1948, il che – a proposito di giorni della memoria – denoterebbe una certa smemoratezza. C’è però qualcosa che va al di là della sostanza politica di una proposta criminale che butterebbe benzina su un incendio, ed è la noncuranza, direi tra il cinico e il commerciale, con cui un signore molto ricco e molto potente vorrebbe gestire le sorti del mondo, le vite di milioni di persone, le loro discendenze. Non una cosa nuova, per l’Impero, certo, ma qui si nota un senso di veloce operatività: via di lì, che intralci, rallenti i lavori, ostacoli gli affari (si intende: i nostri affari). Oltre all’allineamento con la destra più oltranzista e genocida di Israele, c’è un elemento culturale che sgomenta forse ancora di più. Ed è quello di trasformare una quasi secolare tragedia in una faccenda di Real Estate, un’operazione geopolitico-immobiliare, cosa peraltro non nuova per gli Stati Uniti, che per costruire le loro città, verso Ovest, sterminarono e deportarono i popoli nativi dalle loro terre. Il salto spaventoso, dunque, è che una cosa che potrebbe dire il signor Gino al bar dopo tre o quattro bicchieri (“Vabbè, che si spostino!”) la dica il capo della prima (seconda?) potenza mondiale, con il suo codazzo di Stati-yes-men, miliardari al seguito, potenze economiche e commerciali. Insomma, il disegno non è più nemmeno imperialista, non è nemmeno più novecentesco, ma apertamente colonialista e ottocentesco: se un popolo vive nella sua terra e a noi serve quella terra, beh, prendiamocela, e loro vadano a vivere altrove. Il mondo come un grande terreno edificabile, l’ordine di sfratto come ovvia conseguenza, la ferocia del colonialismo e la ferocia dei soldi, uniti nella lotta del più forte contro il più debole. Segniamocelo, per il prossimo giorno della memoria, quando, commossi, diremo “Mai più”.

“Ora la comunità ebraica si apra alla discussione”: Non credo che si possa parlare di Auschwitz e tacere di Gaza, deplorare l’“indifferenza” e non esprimere una parola di pietà per chi subisce violenza. Dispiace che la Giornata della Memoria sia stata travolta dalla tempesta ideologica. Restano le polemiche anziché gli insegnamenti, il veleno delle accuse reciproche anziché l’antidoto del confronto rispettoso. Certo la premier Meloni ha concesso quelle parole, “complicità” del fascismo e “coinvolgimento” nelle deportazioni. Un passo avanti che avrebbe dovuto essere compiuto prima, con più chiarezza, e che giunge il 27 gennaio e non il 25 aprile. Una concessione soprattutto alle comunità ebraiche, un modo per suggellare un’alleanza che risale almeno all’inizio del governo. Come dimenticare l’incontro del 19 dicembre 2022, quando l’allora presidente della Comunità di Roma Ruth Dureghello abbraccia commossa Giorgia Meloni? L’una ringraziò per il voto all’Onu favorevole a Israele, l’altra definì una “ignominia” le leggi razziali. Nulla potrà più recidere quel legame, né l’assenza di La Russa alle Fosse Ardeatine, né le frasi di Lollobrigida sul mito neonazista della “sostituzione etnica”, né l’inchiesta di Fanpage sui militanti di Gioventù Nazionale. Le comunità ebraiche virano a destra allontanandosi dall’alleanza con le forze democratiche del centrosinistra. A ben guardare è una storia di molteplici traumi, già dall’attentato palestinese alla sinagoga di Roma nel 1982, e di innumerevoli incomprensioni. Tema è il Medioriente. La sinistra ha gravi responsabilità – tanto più dopo il 7 ottobre. Ma in questo 2025 la virata a destra di una parte considerevole dell’ebraismo italiano e della dirigenza sembra una deriva. Ciò che conta è la difesa a spada tratta di Netanyahu e dei suoi accoliti. Non importa che al proprio fianco ci siano gli eredi diretti dei persecutori di un tempo. Ma quelli che si spacciano per amici, lo sono davvero? O non fanno i propri calcoli? Gli esponenti di destra ed estrema destra si erigono a filosemiti impeccabili, paladini esclusivi di Israele e del suo diritto di “risposta”. Difendono l’indifendibile, il massacro dei gazawi, pretendendo di imporre a tutti questa linea – pena lo stigma di antisemita. Ma solo un ingenuo può sottovalutare l’intento ipocrita della normalizzazione a cui la destra aspira, solo un miope può non diffidare del cameratismo degli ex camerati, quell’amore interessato che domani potrebbe volgersi in rifiuto e odio. Rimuovere il passato ingombrante, rifarsi il look, avere via libera per l’islamofobia, sono alcuni dei motivi che spingono la destra a questa alleanza. Ma c’è poi un altro che non va sottolineato. L’Israele di cui si ergono a protettori non è solo il paese guidato da una cricca corrotta di estrema destra, ma anche la “punta avanzata dell’Occidente”. Così fanno degli ebrei, anche quelli della diaspora, i combattenti ultimi, i magnifici crociati di una supposta “guerra di civiltà”. Ecco a voi i “colonizzatori”, i nuovi oppressori, gli ebrei – scacciati dall’Europa perché orientali – promossi ora al rango di “bianchi” dominatori. Per sapere quanto sia falsa questa immagine basti pensare agli ebrei magrebini, ai falascià etiopi, al carattere levantino e complesso di Israele. Ma purtroppo è un’immagine condivisa anche da quella sinistra che parla di “occupanti sionisti”, di “Palestina libera dal fiume al mare”, e che in alcuni casi esiziali ha invitato a riconoscere nel 7 ottobre, quell’orgia di sangue e corpi compiuta da Hamas, un “atto di resistenza” contro la comfort zone occidentale. Viene da questo utilizzo gretto della causa palestinese nella lotta decoloniale la denuncia di “genocidio” divenuta ormai marchio e contrassegno. Mentre i contorni giuridici sono tutt’altro che chiari, il perverso uso politico di questo termine fa con un colpo di bacchetta dei genocidati di ieri i genocidari di oggi. Perciò mi sono sempre rifiutata di utilizzarlo – anche a costo di essere fraintesa. Lo hanno evitato i sopravvissuti della Shoah. Avrebbe dovuto farlo anche chi ha voce nel dibattito pubblico (anche l’Anpi). Le parole sono importanti. Ma ciò non cambia né l’entità di un massacro inaudito compiuto dallo Stato di Israele né l’onta gettata sui discendenti di coloro che sono morti nei campi. Questo non giustifica la corsa a destra, gli attacchi al Papa della presidente Noemi Di Segni, il rifiuto di partecipare alle iniziative per la Giornata della Memoria, la grottesca accusa di antisemitismo all’Anpi, l’ignobile (e demenziale) scritta proiettata sulla piramide contro le ong Amnesty, Emergency e Croce Rossa. C’è “distorsione”? Si discute. Lo scontro isterizzato avvelena il clima. Preoccupa il ripiegamento delle comunità e la chiusura della dirigenza ebraica proprio nel periodo in cui dovrebbe esserci un dibattito aperto con le forze democratiche del paese.

N.d.r. I testi sopra riportati sono, rispettivamente, di Alessandro Robecchi e Donatella Di Cesare entrambi pubblicati su “il Fatto Quotidiano” di ieri, 29 di gennaio 2025.

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