"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi

"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi
"Il bruco" (2017). Nikon Coolpix P900. Foto macro. Stato larvale della falena diurna "Macroglossum stellatarum" volgarmente detta "sfinge colibrì".

venerdì 31 gennaio 2025

Uominiedio. 56 Pier Paolo Pasolini: «Anch’io sono caduto da cavallo come Paolo, ma un piede è rimasto nella staffa e così continuo a battere la testa qua e là!».


(…). Intendiamoci, perfino san Francesco, mosso dal suo ardente amore per il corpo e il sangue di Cristo, aveva detto ai suoi frati di celebrare il culto divino in vasi preziosi: unico caso in cui potevano venire in contatto con oro e gemme. Ma lo faceva sapendo di parlare a persone che avevano lasciato tutto per vivere in povertà, lontani dal potere e dediti a soccorrere i poveri. E la storia dell'oreficeria sacra è una lunga storia d'amore, che conosce pagine artisticamente altissime. Ma nelle opere inviate in Terrasanta lungo l'età moderna, non c'è traccia di amore: solo del lusso dei sanguinari potenti che dominavano il mondo, e che speravano di lavarsi l'anima dedicando a Dio una parte infima delle enormi ricchezze di cui si appropriavano con violenze inenarrabili. Un lusso sfacciato: mostruoso. Prendiamo
(la) lampada donata da Giovanni V del Portogallo a metà Settecento. È d'oro massiccio, proveniente dalle miniere brasiliane. Se ci chiediamo chi estrasse quell'oro, destinato a finire dall'altra parte del mondo, a Gerusalemme, la risposta è: schiavi. Cinque milioni di persone furono strappate dai loro villaggi africani per essere deportate in Brasile, tra il 1500 e il 1800: nel Paese che fu l'ultimo ad abolire la schiavitù, nel 1888. Guardando lo splendore di quell'oro, pensate alla tragedia di quelle vite, consumate nella privazione della libertà, e nella più estrema povertà. E poi leggete queste parole, che sembrano pensate proprio per questa lampada, e che in realtà sono state scritte mille e quattrocento anni prima, da san Giovanni Crisostomo: «Che vantaggio può avere Cristo se la mensa del sacrificio è piena di vasi d'oro, mentre poi muore di fame nella persona del povero? Prima sazia l'affamato, e solo in seguito orna l'altare con quello che rimane... Pensa la stessa cosa di Cristo, quando va errante e pellegrino, bisognoso di un tetto. Tu rifiuti di accoglierlo nel pellegrino e adorni invece il pavimento, le pareti, le colonne e i muri dell'edificio sacro. Attacchi catene d'argento alle lampade, ma non vai a visitarlo quando lui è incatenato in carcere... Nessuno è mai stato condannato per non aver cooperato ad abbellire il tempio, ma chi trascura il povero è destinato alla geenna, al fuoco inestinguibile e al supplizio con i demoni». Amen. (Tratto da “Quei doni grondano sangue” di Tomaso Montanari pubblicato sul settimanale “il Venerdì di Repubblica” del 24 di gennaio 2025).

“Merceologia giubilante”, testo di Filippo Ceccarelli pubblicato sul settimanale “il Venerdì di Repubblica” del 24 di gennaio 2025: Chissà quanti, dopo aver visto un’intera pagina di reclame sul giornale, avranno comprato "il Dolce del Giubileo 2025" dell'azienda Bonifanti? E vai a sapere quanti altri, attratti dal "rapporto fra innovazione, spiritualità e speranza" avranno approfittato del progetto della Camera di Commercio di Roma "Un Gioiello per il Giubileo" per acquistare la vistosa collana d'argento con medaglione, doppia cupola di San Pietro e fogliette ornamentali? Se la pubblicità resta l'anima del commercio, all'Anima, quella vera, cosa rimane? Pare riduttivo farne una questione di fragranza o qualità, così come è vano limitarla a un vincolo di marchi o copyright. Per tempo la Santa Sede ha provveduto a indicare una notevole quantità di prodotti con logo ufficiale e reperibili nei negozi autorizzati: oltre agli articoli per celebrare la messa, i pellegrini potranno acquistare pupazzi e pupazzetti, zaini e borracce, portachiavi e braccialetti, penne, felpe, cappelli e via dicendo, tutti a prezzi più o meno contenuti. E però le eccezioni rimbombano proprio là dove lo Spirito deve vedersela con il potere delle merci, per cui se la caffettiera standard costa 64 euro, ce n'è una super-giubilare in vendita per 486, con rivestimenti d'oro, tazzine a finitura pregiata e ispirato ringraziamento al dicastero per l'Evangelizzazione. Ora, chi crede si sforza di credere che tutto è Grazia, ma più spesso del dovuto finisce oggi per convincersi che tutto è anche lucro, imprigionato nel presente assoluto del profitto, dei consumi e in qualche modo della Storia. Nell'Anno Santo 1925 Pio XI vietò categoricamente di riprendere il Papa durante le cerimonie per non alimentare la speculazione commerciale mischiando il sacro con il profano. Ma a Roma da sempre le due entità sguazzano nella stessa vasca e così già nel Giubileo del 1950 apparve il liquore con la bottiglia a forma di San Pietro, il pacchetto di sigarette Jubilaeum, il sigaro Romoeus e addirittura il "Samba del Pellegrino" che si concludeva con un'intimazione al turista: "Sono piene le vetrine, / cambia dollari e sterline/ compra almeno un souvenir!". Inopportuno qui brandire la spada fiammeggiante contro la paccottiglia microaffaristica: un po' perché all'origine del Giubileo c'erano pur sempre ragioni economiche, la remissione dei debiti dei poveracci; e poi perché assai più preziosi vitelloni d'oro si nascondono dietro l'Anno Santo. Il volto di Francesco è fuori dai gadget ufficiali, anche se non da quelli cinesi sequestrati a milioni dalla Guardia di Finanza. Nessuno più di lui ha detto papale papale che la civiltà delle merci e l'idolatria dei consumi stanno sostituendo la religione. Nessuno meglio dello Spirito potrà cavare una verità di salvezza da questa mesta contraddizione.

UnaMemoria”. “Il Vangelo secondo Pasolini” di Enzo Bianchi pubblicato sul quotidiano “la Repubblica” del 14 di marzo dell’anno 2022: Per il centenario della (nascita, n.d.r.) di Pierpaolo Pasolini molti hanno scritto su di lui ma non ho trovato riferimenti alla sua postura di “morsicato da Gesù Cristo”. (…). Incontrai per la prima volta Pasolini nel 1963 su una terrazza della Pro Civitate Christiana di Assisi. Era un pomeriggio di ottobre carico di silenzio e lui aveva un libriccino in mano che leggeva, staccandone sovente lo sguardo fissarlo nel vuoto, per pensare. Mi disse di essere affascinato dal Vangelo, soprattutto dal Vangelo secondo Matteo, e che “non fare un film ma lasciare che il Vangelo stesso fosse un racconto visivo”. Iniziò così la nostra conversazione, della quale annotai subito alcune frasi per non dimenticarle: “Io non credo che Cristo sia Figlio di Dio, perché non sono credente, almeno nella mia coscienza, ma credo che Cristo sia divino: credo cioè che in lui l’umanità sia così alta, così rigorosa e ideale, da andare al di là dei comuni termini dell’umanità”. Ci rivedemmo ancora a Torino dove mi parlò della sua intenzione di lavorare per un film sull’apostolo Paolo. Diffidando del ritratto che Luca, l’autore degli Atti degli Apostoli, offre di Paolo, Pasolini intendeva utilizzare soltanto la trama degli Atti degli Apostoli e far parlare Paolo solo attraverso i testi delle sue lettere. Per l’apostolo Paolo aveva una passione profonda come per Cristo: una passione in cui carne e sangue erano presenti, mai negati, ma per così dire sovraesaltati. Nel maggio del 1968 scrisse un “Abbozzo di sceneggiatura per un film su San Paolo”, di cui parlammo ancora ad Assisi in Pro Civitate, e la sua preoccupazione era, come disse, che “San Paolo risultasse vivo qui e ora tra noi”. Per questo voleva rendere contemporanee le città e il Mediterraneo di Paolo, e far risuonare le parole dell’apostolo a Londra, Barcellona e oltre Atlantico. Pasolini era affascinato dal Paolo che predicava la croce, lo scandalo per gli uomini religiosi, la follia per gli intellettuali. Vedeva la morte violenta dell’apostolo accadere in una New York di acciaio e cemento, emblema del mondo disumanizzato che è diventato il nostro. Un giorno del 1969, più oppresso del solito nel condividere con me le forti tensioni di quell’anno così denso di cambiamenti e di violenza, mi confessò: “Anch’io sono caduto da cavallo come Paolo, ma un piede è rimasto nella staffa e così continuo a battere la testa qua e là!”. Mentre mi diceva questo un’inenarrabile tristezza gli saliva al cuore e affiorava sul suo volto scavato. Tre anni fa incontrai ancora una volta a Cadaqués il mio caro amico Enrique Irazoqui (l’attore che interpretò Gesù nel Vangelo secondo Matteo) poco prima che morisse. Insieme ricordammo Pier Paolo, la luce che attraversa la sua tristezza, l’enigma della sua costante e testarda interpretazione di se stesso come inascoltato profeta e come “povero Cristo”.

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