(…). "Uomo e super uomo”, la commedia che George Bernard Shaw scrisse nel 1903 (…)
contiene una battuta del Diavolo da tenere presente: «Fin dall'inizio della mia
carriera ho capito che a lungo andare avrei finito per vincere grazie al
semplice peso dell'opinione pubblica, a dispetto della lunga campagna di
calunnie promossa contro di me. L'universo è costituzionale, in fondo, e con
una maggioranza come la mia non posso essere tenuto in permanenza
all'opposizione». Ora, è probabile che la nostra presidente del Consiglio ne
sappia davvero una più del Diavolo di Shaw, perché l'opinione pubblica la
assolve su quasi tutto, inclusa la recente dichiarazione in cui sostiene che
«abbiamo il tasso di occupazione più alto dalla spedizione dei Mille». Mancando
i dati relativi all'occupazione ai tempi della peste nera, accettiamo il
riferimento patriottico e restiamo in tema. Perché se le dichiarazioni di
Meloni fanno venire i sudori freddi agli statistici, la storia di Capodanno
dovrebbe farli venire a tutti. Uno degli avvenimenti più sconcertanti degli
ultimi giorni è infatti l'identificazione di una dozzina di ragazzi a Milano,
perché avevano pubblicato su TikTok un video girato nella notte del 31
dicembre, dove mostravano il medio e dicevano «fuck Italia». I video sono stati
diffusi sui social dalla giornalista anti-migranti Francesca Totolo, una al cui
confronto Viktor Orbàn sembra un volontario di Sea-Watch: ma la reazione di
cronisti e politici è interessante. Intanto si sottolinea che i ragazzi (fra i
18 e i 20 anni) sono «di origine marocchina, tunisina ed egiziana» e che
l'italiano del gruppo ha una madre «che convive con un tunisino». Inoltre,
apprendiamo che il Viminate chiede accertamenti per valutare eventuali reati.
Perché il dito medio potrebbe costituire vilipendio della Repubblica, che
l'articolo 290 del Codice penale punisce con la multa da 1.000 a 5.000 euro. E
se qualche politico oggi di governo ha rivolto in passato lo stesso invito
all'Italia, pazienza. Attenzione: non siamo nell'Italia del 1930, quando venne
approvato il Codice Rocco, ma nel 2024, anche se per parlare dell'oggi si usa
la spedizione dei Mille. Siamo nell'Italia che detesta i giovani, con o senza
dito medio, e che - in controtendenza con tutti i dati che sostengono che la
perdita effettiva di competenze riguarda gli adulti - grida che la colpa del
declino è delle nuove generazioni che non conoscono i proverbi. E mostrano il
medio, già che ci sono. Per questo, la cosa preziosa di oggi è "Leggere
Dante a Tor Bella Monaca", che Emiliano Sbaraglia pubblica per e/o.
Sbaraglia è tra i fondatori di "Piccoli Maestri" e ha raccontato e
letto la Commedia dantesca nell'estrema periferia romana. Con convinzione, con
amore, sbagliando e riprovando. La storia finisce in una sera d'estate, a
scuola terminata, a mangiare hamburger con i ragazzi della classe che chiedono
di conoscere gli ultimi versi. E su «l'amor che move il sole e l'altre stelle»
uno degli ex allievi dice: «C'avevi ragione tu, professò: 'sto Dante è pure
mejo de Totti». Trovate le differenze, trovate le possibilità. (Tratto
da
“Chi odia i giovani si faccia un giro
a Tor Bella Monaca” di Loredana Lipperini pubblicato sul settimanale
“L’Espresso del 10 di gennaio 2025).

“Musica&Miti”. “La teoria del tutto”, intervista di Michele Serra a Lorenzo
Cherubini pubblicata sul settimanale “d” del quotidiano “la Repubblica” dell’11
di gennaio 2025: «Io ero già così a tre anni. Uno che non stava mai seduto, mai zitto,
in perenne movimento, facevo sempre il clown, arrivavo io e ridevano
tutti. Sono stato un bambino
scoordinato, negato per lo sport. Oggi
mi diagnosticherebbero, sai quando un bimbo non riesce a stare fermo? Non è un
atteggiamento, un modo per farsi notare. È proprio un'attitudine, è qualcosa
che tu sei per davvero. Poi quando è arrivata la musica è cambiato tutto, sono
riuscito a darmi un ordine e un ritmo. E quell'attitudine è diventata un
mestiere, e quel bambino sono diventato io». (…). «Oggi tu e io siamo quasi
coetanei, ma quando io avevo vent'anni e tu trenta erano veramente due mondi.
Sono del '66, la mia è una generazione individualista. Nata completamente fuori
dalla politica. Fuori dai film di Nanni Moretti. Della musica degli Ottanta mi
piaceva, anzi mi serviva, la componente fisica. Il ballo, il movimento, il
casino. Facevo il deejay, suonavo la musica degli altri, non avrei mai pensato di
diventare pure io un cantante se non fosse arrivato il rap, che era una porta
aperta a tutti, anche a chi non sapeva cantare e non sapeva niente di maggiore
e minore, di armonia e melodia». «Ma a un certo punto mi sono sentito
inadeguato, non ti dico in colpa, non sarebbe da me: ma inadeguato, questo sì.
Mi sentivo uno che non aveva argomenti e ho deciso di darmi una mossa. Nei
cantautori il corpo non c'era, o se c'era era molto mediato dalle parole. I
cantautori non si ballavano. Mi piaceva Finardi, un non allineato, uno che
sapeva che la musica deve entrare nelle viscere, mi piaceva Bennato per via del
rock. Volevo fare qualcosa che unisse il corpo, che era il grande rimosso della
musica "impegnata", e la testa. Nella disco degli anni Ottanta non
c'era cervello, era tutto solo corpo, solo eros. Io che sono curioso, rubo
tutto quello che mi sembra brillare (mia moglie mi chiama la gazza ladra). Ho
cercato di trovare una mediazione e sono arrivati i miei anni Novanta, dove
dentro il ritmo, dentro il ballo, ho cercato di metterci pensiero, parole,
scrittura. E viceversa. Mi ha aiutato molto anche il primo rap - e io c'ero
dentro - perché era pieno di contenuti sociali, la città che cambia, la
periferia. Ho messo tutto insieme». (…). «Gli anni Ottanta erano soprattutto
una uscita dai Settanta, da quella rigidità ideologica. La tecnologia è entrata
nell'estetica. Ma i Novanta sono decisamente i miei preferiti. Tutto esplode,
tutto si contamina, arriva la world music, cadono steccati e confini tra i
generi. Ora i Novanta stanno tornando di moda e per la prima volta mi ritrovo
dentro un ritorno, un revival, di qualcosa che ho costruito anche io. Scopro di
essere un classico... Sono pieno di vestiti stipati in un capannone, e
all'improvviso tutto è tornato di moda. Mi ascoltano i ragazzini, per me è una
gioia, mi sono sempre percepito come la novità del momento e ora sono un
anziano, gli artisti hanno l'età di mia figlia, anche meno. È come quando io da
ragazzino scoprivo Celentano, il dopoguerra, American Graffiti. E anche se ti
sembra di guardare a ritroso, l'attitudine dell'esploratore rimane identica,
l'emozione è la stessa, puoi esplorare anche all'indietro, scoprire cose che
non hai mai conosciuto, o che ti sono passate accanto e non te ne eri accorto.
Quanto alle novità, ai tempi che corrono, con il passare degli anni anche a me
capita di dire: questo non mi riguarda. Ma cerco di capire se parla a qualcun
altro, a chi parla e perché. Se dentro c'è un'energia. Mi interessa tutto,
anche quello che non mi appartiene».
Ti interessa tutto e, a quanto sembra, non
ti fa paura niente. È un aspetto del tuo carattere, e del tuo percorso, che
sinceramente ti invidio. Ci sono aspetti del futuro, e pure del presente, che
un poco mi spaventano. «Mi sento un po' a disagio nella figurina dell'eterno
positivo. Ma non posso evitare di farlo, penso che il cambiamento sia sempre
positivo. E soprattutto: è una cosa che non si può evitare, non si può domare.
La tecnologia non è mai stata davvero governata. E dunque bisogna starci dentro.
Mi fanno paura le malattie, non la tecnologia, e la tecnologia servirà per
combattere le malattie. Gira questa idea terribile: l'uomo è una merda. Magari
sì, anche, ma abbiamo fatto cose straordinarie, inventato cose meravigliose,
come si fa a non avere curiosità per quello che faremo, che stiamo già facendo?
L'intelligenza artificiale ha un potenziale immenso, è l'occasione per fare un
ulteriore salto evolutivo...».
Anche nell'arte? (sorride) «Ho provato a
chiedere all'Ai di scrivermi una canzone di Jovanotti sulla guerra. Ha prodotto
cagate illeggibili. Ma non è colpa sua, l’Ai scrive le cose che sa già, è solo
una macchina, è un archivio immenso, ma di cose che sono già state scritte.
Un'artista invece scrive le cose che non sa, per quello è un artista. Se scrivi
le cose che sai già il gioco è finito, ti rompi le scatole dopo un minuto».
Ma la percezione del caos politico, del
mondo che ha perduto il suo baricentro, almeno quella ce l'hai? «Beh, sì, i
sistemi gravitazionali sono andati tutti in malora. Non c'è più il sole al
centro. La Chiesa, le ideologie, non sono più la cosa attorno alla quale tutto
quanto gira. E tutto si ricrea e si modifica, bisogna fare un esercizio di
equilibrio, è inutile inseguire un'idea solida, devi rimanere fluido, lo stato
di benedizione è nel flusso. Bisogna costruire sistemi gravitazionali migliori,
le cose brutte accadono perché non ci sono ancora le alternative belle... Per
questo la sinistra è in crisi, fa fatica. Siamo ancora nella lunga coda causata
dalla fine della divisione del mondo in due blocchi, ci vorrà del tempo per
uscirne, e ci vuole pazienza. Ci vogliono tempi lunghi. Forse c'è un trucco,
dobbiamo smetterla di considerarci sempre post qualcosa. Dobbiamo convincerci
che siamo pre qualcosa. Mi piacciono molto i presocratici, mi sono messo a
studiarli, appunto, perché erano pre...». (…).
E adesso? «Adesso ci servirebbe uno sguardo
in avanti, lasciando perdere lo specchietto retrovisore. A trent'anni è
naturale, Io penso positivo si è scritta da sola. A sessant'anni guardare in
avanti invece è una disciplina».
Dunque più difficile ... «No. Più facile».
Lorenzo ride.
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