"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi

"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi
"Il bruco" (2017). Nikon Coolpix P900. Foto macro. Stato larvale della falena diurna "Macroglossum stellatarum" volgarmente detta "sfinge colibrì".

domenica 19 gennaio 2025

Lastoriasiamonoi. 28 Il Diavolo di George Bernard Shaw: «Fin dall'inizio della mia carriera ho capito che a lungo andare avrei finito per vincere grazie al semplice peso dell'opinione pubblica, a dispetto della lunga campagna di calunnie promossa contro di me. L'universo è costituzionale, in fondo, e con una maggioranza come la mia non posso essere tenuto in permanenza all'opposizione».


(…). "Uomo e super uomo”, la commedia che George Bernard Shaw scrisse nel 1903 (…) contiene una battuta del Diavolo da tenere presente: «Fin dall'inizio della mia carriera ho capito che a lungo andare avrei finito per vincere grazie al semplice peso dell'opinione pubblica, a dispetto della lunga campagna di calunnie promossa contro di me. L'universo è costituzionale, in fondo, e con una maggioranza come la mia non posso essere tenuto in permanenza all'opposizione». Ora, è probabile che la nostra presidente del Consiglio ne sappia davvero una più del Diavolo di Shaw, perché l'opinione pubblica la assolve su quasi tutto, inclusa la recente dichiarazione in cui sostiene che «abbiamo il tasso di occupazione più alto dalla spedizione dei Mille». Mancando i dati relativi all'occupazione ai tempi della peste nera, accettiamo il riferimento patriottico e restiamo in tema. Perché se le dichiarazioni di Meloni fanno venire i sudori freddi agli statistici, la storia di Capodanno dovrebbe farli venire a tutti. Uno degli avvenimenti più sconcertanti degli ultimi giorni è infatti l'identificazione di una dozzina di ragazzi a Milano, perché avevano pubblicato su TikTok un video girato nella notte del 31 dicembre, dove mostravano il medio e dicevano «fuck Italia». I video sono stati diffusi sui social dalla giornalista anti-migranti Francesca Totolo, una al cui confronto Viktor Orbàn sembra un volontario di Sea-Watch: ma la reazione di cronisti e politici è interessante. Intanto si sottolinea che i ragazzi (fra i 18 e i 20 anni) sono «di origine marocchina, tunisina ed egiziana» e che l'italiano del gruppo ha una madre «che convive con un tunisino». Inoltre, apprendiamo che il Viminate chiede accertamenti per valutare eventuali reati. Perché il dito medio potrebbe costituire vilipendio della Repubblica, che l'articolo 290 del Codice penale punisce con la multa da 1.000 a 5.000 euro. E se qualche politico oggi di governo ha rivolto in passato lo stesso invito all'Italia, pazienza. Attenzione: non siamo nell'Italia del 1930, quando venne approvato il Codice Rocco, ma nel 2024, anche se per parlare dell'oggi si usa la spedizione dei Mille. Siamo nell'Italia che detesta i giovani, con o senza dito medio, e che - in controtendenza con tutti i dati che sostengono che la perdita effettiva di competenze riguarda gli adulti - grida che la colpa del declino è delle nuove generazioni che non conoscono i proverbi. E mostrano il medio, già che ci sono. Per questo, la cosa preziosa di oggi è "Leggere Dante a Tor Bella Monaca", che Emiliano Sbaraglia pubblica per e/o. Sbaraglia è tra i fondatori di "Piccoli Maestri" e ha raccontato e letto la Commedia dantesca nell'estrema periferia romana. Con convinzione, con amore, sbagliando e riprovando. La storia finisce in una sera d'estate, a scuola terminata, a mangiare hamburger con i ragazzi della classe che chiedono di conoscere gli ultimi versi. E su «l'amor che move il sole e l'altre stelle» uno degli ex allievi dice: «C'avevi ragione tu, professò: 'sto Dante è pure mejo de Totti». Trovate le differenze, trovate le possibilità.
(Tratto da “Chi odia i giovani si faccia un giro a Tor Bella Monaca” di Loredana Lipperini pubblicato sul settimanale “L’Espresso del 10 di gennaio 2025).

Musica&Miti”. “La teoria del tutto”, intervista di Michele Serra a Lorenzo Cherubini pubblicata sul settimanale “d” del quotidiano “la Repubblica” dell’11 di gennaio 2025: «Io ero già così a tre anni. Uno che non stava mai seduto, mai zitto, in perenne movimento, facevo sempre il clown, arrivavo io e ridevano tutti.  Sono stato un bambino scoordinato, negato per lo sport.  Oggi mi diagnosticherebbero, sai quando un bimbo non riesce a stare fermo? Non è un atteggiamento, un modo per farsi notare. È proprio un'attitudine, è qualcosa che tu sei per davvero. Poi quando è arrivata la musica è cambiato tutto, sono riuscito a darmi un ordine e un ritmo. E quell'attitudine è diventata un mestiere, e quel bambino sono diventato io». (…). «Oggi tu e io siamo quasi coetanei, ma quando io avevo vent'anni e tu trenta erano veramente due mondi. Sono del '66, la mia è una generazione individualista. Nata completamente fuori dalla politica. Fuori dai film di Nanni Moretti. Della musica degli Ottanta mi piaceva, anzi mi serviva, la componente fisica. Il ballo, il movimento, il casino. Facevo il deejay, suonavo la musica degli altri, non avrei mai pensato di diventare pure io un cantante se non fosse arrivato il rap, che era una porta aperta a tutti, anche a chi non sapeva cantare e non sapeva niente di maggiore e minore, di armonia e melodia». «Ma a un certo punto mi sono sentito inadeguato, non ti dico in colpa, non sarebbe da me: ma inadeguato, questo sì. Mi sentivo uno che non aveva argomenti e ho deciso di darmi una mossa. Nei cantautori il corpo non c'era, o se c'era era molto mediato dalle parole. I cantautori non si ballavano. Mi piaceva Finardi, un non allineato, uno che sapeva che la musica deve entrare nelle viscere, mi piaceva Bennato per via del rock. Volevo fare qualcosa che unisse il corpo, che era il grande rimosso della musica "impegnata", e la testa. Nella disco degli anni Ottanta non c'era cervello, era tutto solo corpo, solo eros. Io che sono curioso, rubo tutto quello che mi sembra brillare (mia moglie mi chiama la gazza ladra). Ho cercato di trovare una mediazione e sono arrivati i miei anni Novanta, dove dentro il ritmo, dentro il ballo, ho cercato di metterci pensiero, parole, scrittura. E viceversa. Mi ha aiutato molto anche il primo rap - e io c'ero dentro - perché era pieno di contenuti sociali, la città che cambia, la periferia. Ho messo tutto insieme». (…). «Gli anni Ottanta erano soprattutto una uscita dai Settanta, da quella rigidità ideologica. La tecnologia è entrata nell'estetica. Ma i Novanta sono decisamente i miei preferiti. Tutto esplode, tutto si contamina, arriva la world music, cadono steccati e confini tra i generi. Ora i Novanta stanno tornando di moda e per la prima volta mi ritrovo dentro un ritorno, un revival, di qualcosa che ho costruito anche io. Scopro di essere un classico... Sono pieno di vestiti stipati in un capannone, e all'improvviso tutto è tornato di moda. Mi ascoltano i ragazzini, per me è una gioia, mi sono sempre percepito come la novità del momento e ora sono un anziano, gli artisti hanno l'età di mia figlia, anche meno. È come quando io da ragazzino scoprivo Celentano, il dopoguerra, American Graffiti. E anche se ti sembra di guardare a ritroso, l'attitudine dell'esploratore rimane identica, l'emozione è la stessa, puoi esplorare anche all'indietro, scoprire cose che non hai mai conosciuto, o che ti sono passate accanto e non te ne eri accorto. Quanto alle novità, ai tempi che corrono, con il passare degli anni anche a me capita di dire: questo non mi riguarda. Ma cerco di capire se parla a qualcun altro, a chi parla e perché. Se dentro c'è un'energia. Mi interessa tutto, anche quello che non mi appartiene».

Ti interessa tutto e, a quanto sembra, non ti fa paura niente. È un aspetto del tuo carattere, e del tuo percorso, che sinceramente ti invidio. Ci sono aspetti del futuro, e pure del presente, che un poco mi spaventano. «Mi sento un po' a disagio nella figurina dell'eterno positivo. Ma non posso evitare di farlo, penso che il cambiamento sia sempre positivo. E soprattutto: è una cosa che non si può evitare, non si può domare. La tecnologia non è mai stata davvero governata. E dunque bisogna starci dentro. Mi fanno paura le malattie, non la tecnologia, e la tecnologia servirà per combattere le malattie. Gira questa idea terribile: l'uomo è una merda. Magari sì, anche, ma abbiamo fatto cose straordinarie, inventato cose meravigliose, come si fa a non avere curiosità per quello che faremo, che stiamo già facendo? L'intelligenza artificiale ha un potenziale immenso, è l'occasione per fare un ulteriore salto evolutivo...».

Anche nell'arte? (sorride) «Ho provato a chiedere all'Ai di scrivermi una canzone di Jovanotti sulla guerra. Ha prodotto cagate illeggibili. Ma non è colpa sua, l’Ai scrive le cose che sa già, è solo una macchina, è un archivio immenso, ma di cose che sono già state scritte. Un'artista invece scrive le cose che non sa, per quello è un artista. Se scrivi le cose che sai già il gioco è finito, ti rompi le scatole dopo un minuto».

Ma la percezione del caos politico, del mondo che ha perduto il suo baricentro, almeno quella ce l'hai? «Beh, sì, i sistemi gravitazionali sono andati tutti in malora. Non c'è più il sole al centro. La Chiesa, le ideologie, non sono più la cosa attorno alla quale tutto quanto gira. E tutto si ricrea e si modifica, bisogna fare un esercizio di equilibrio, è inutile inseguire un'idea solida, devi rimanere fluido, lo stato di benedizione è nel flusso. Bisogna costruire sistemi gravitazionali migliori, le cose brutte accadono perché non ci sono ancora le alternative belle... Per questo la sinistra è in crisi, fa fatica. Siamo ancora nella lunga coda causata dalla fine della divisione del mondo in due blocchi, ci vorrà del tempo per uscirne, e ci vuole pazienza. Ci vogliono tempi lunghi. Forse c'è un trucco, dobbiamo smetterla di considerarci sempre post qualcosa. Dobbiamo convincerci che siamo pre qualcosa. Mi piacciono molto i presocratici, mi sono messo a studiarli, appunto, perché erano pre...». (…).

E adesso? «Adesso ci servirebbe uno sguardo in avanti, lasciando perdere lo specchietto retrovisore. A trent'anni è naturale, Io penso positivo si è scritta da sola. A sessant'anni guardare in avanti invece è una disciplina».

Dunque più difficile ... «No. Più facile». Lorenzo ride.

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