"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi

"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi
"Il bruco" (2017). Nikon Coolpix P900. Foto macro. Stato larvale della falena diurna "Macroglossum stellatarum" volgarmente detta "sfinge colibrì".

martedì 14 gennaio 2025

Lastoriasiamonoi. 26 Nathalie Quintane: «Non c'è in corso nessuna discussione con i poveri. / I poveri vivono nei loro angoletti, nelle loro periferie, / nelle zone rurali più sperdute, / dove solo i corvi arrivano a portare i rifornimenti. / Io invece me ne sto qua sul mio computer a battere tasti».


(…). Ora, è sempre avvenuto e sempre avverrà: c'è un momento nella storia di ogni movimento, che sia politico o intellettuale, in cui i leader diverranno noti, saranno sempre più presenti in televisione (o, oggi, sui social). Diciamo pure che molti condurranno una vita più agiata di prima. E in quel momento verranno accusati di disinteressarsi dei problemi delle persone comuni, di non comprendere la loro disperazione e la loro rabbia. Sempre in quel momento, ci saranno altri che ne approfitteranno, accusando quei leader e quella parte politica e quegli intellettuali di aver tradito e di non vedere l'infelicità del Paese: in molti casi, li sostituiranno, e si ricomincerà da capo. Nel gennaio di questo anno che si va concludendo, Giorgia Meloni disse: «Se non sei disponibile a lavorare non puoi pretendere di essere mantenuto con i soldi di chi lavora ogni giorno». E mese dopo mese diveniva chiaro che con lo smantellamento del reddito di cittadinanza la povertà assoluta era in crescita. Nulla di nuovo. Però viene da chiedersi quanto sia aumentato lo scollamento non solo fra i politici e le persone comuni, quelle che lottano contro l'aumento dei beni di prima necessità e con la mancanza di lavoro, ma fra gli intellettuali e quelle stesse persone comuni. Annie Ernaux, nel suo discorso di accettazione del Nobel nel 2022, disse che scriveva per vendicare la sua razza. Dieci anni fa, la poetessa Nathalie Quintane marcava quella lontananza con questi versi: "Non c'è in corso nessuna discussione con i poveri. / I poveri vivono nei loro angoletti, nelle loro periferie, / nelle zone rurali più sperdute, / dove solo i corvi arrivano a portare i rifornimenti. / Io invece me ne sto qua sul mio computer a battere tasti". Questa consapevolezza, salvo rare eccezioni, sembra essere assente dai discorsi intellettuali di casa nostra: e spesso ci si sbigottisce davanti alla rabbia e al dolore degli altri, pensando più al buon uso delle parole che alla sostanza. Sarebbe qualcosa da cambiare, e presto (…). (Tratto da “Se l’intellettuale non è più capace di leggere la realtà” di Loredana Lipperini pubblicato sul settimanale “L’Espresso” del 28 di dicembre dell’anno 2024).

“In memoria di Furio Colombo”. “Il gioco dei camerati” di Furio Colombo, pubblicato sul quotidiano “la Repubblica” del 6 di febbraio dell’anno 2023: Qualcuno in Parlamento, qualcuno con titolo e autorità per essere ascoltato con attenzione e allarme, qualcuno che ha un ruolo importante in Parlamento (coordinatore nazionale del partito di governo Fratelli d'Italia), numero due del Copasir, qualcuno diventato subito celebre a causa della deliberata e continua violenza verbale, strumento abituale di comunicazione alla Camera, decide di dare una scossa squilibrante al Parlamento. Accusa tre deputati Pd in visita a un detenuto 41 bis in pericolo di vita, di avere incoraggiato il detenuto nella sua azione (che ispira e provoca violenti atti distruttivi in Italia e all'estero) perché questo è il programma e il compito della sinistra, per fortuna bloccata dalla energica presenza del nuovo e coraggioso governo. Infatti nelle stesse ore il ministro della Giustizia Nordio fa sapere che il fatto che sia in gioco la vita di un detenuto non cambierà la qualità della pena (41 bis) ma fa sapere anche che gli va bene l'attacco violentissimo dei suoi dipendenti e deputati ai colleghi deputati dell'opposizione, introducendo così il nuovo principio giuridico che "cosa fatta capo ha" e dunque se i suoi dipendenti (ma a loro volta capi di servizi di estrema importanza) hanno deciso di aprire il fuoco, va bene così e nessuno correrà a limitare il pericolo e il danno. Si dà il caso che alla presidente del Consiglio, Giorgia Meloni, donna, madre, italiana, cristiana, piaccia molto la scenata furibonda con cui un suo dipendente ha attaccato, insultato e calunniato (poiché non potrà provare le accuse) tre deputati dell'opposizione. E, sia pure nel suo modo ambiguo, le confermi. In questo modo ciascuno ha sbattuto la sua porta, e diventa impossibile uscire da una situazione che impedisce la continuazione della vita politica italiana. Ormai appare evidente che tutti coloro che hanno al momento il potere si affidano, anzi affidano la Repubblica, al furore politico di un certo Donzelli, un uomo che fino a poco fa era sembrato irrilevante, con una vita segnata fin da bambino alla tradizionale fedeltà alla fiamma di tutti i meloniani ante-marcia, e da uno stile oratorio senza controlli. Importa che questo Donzelli, stella nascente della punta dura del melonismo sia socio, amico fraterno e camerata (nel senso letterale della parola: stessa stanza per due) al punto da passarsi informazioni che ciascuno sa di non dover divulgare? Bisogna dire che Delmastro, l'amico camerata di Donzelli, si batte per non restare indietro. Ha appena accusato i deputati Pd in visita ai carcerati del 41 bis di "fare l'inchino ai mafiosi" vicini di cella del loro amico. Sarà facile per i deputati calunniati presentare un elenco di gente di sinistra morta di mafia (a cominciare da Portella della Ginestra) e confrontarla con vita e avventure degli alleati "moderati" dei meloniani, tutti esperti di frequentazioni mafiose, a cominciare da un famoso stalliere. Non c'è dubbio però che una parte importante, nel teatro distruttivo di Giorgia Meloni, sia già stata affidata a Giovanni Donzelli. Non gli manca il coraggio di mentire e di farlo con una passione estrema. È sua la decisione di presentare la gravissima accusa al Pd con la voce, il tono, il grido degli eventi irrimediabili, o è stato uno spettacolo prefabbricato per creare una giusta dose di emozione e caricare un presente scialbo di un senso pericoloso di avventura? Di certo l'urlo di allarme che avverte la cittadinanza che c'è un partito traditore, è avvenuto. E nonostante l'intervento di Donzelli sia stato così eccessivo, le vere sorpresa e rivelazione della gravità di ciò che stava accadendo è venuta dopo, quando si è capito che c'erano davvero le condizioni di una emergenza. L'opinione pubblica avrebbe voluto sapere che cosa pensava il generale dello scatenarsi di vitalità distruttiva dei suoi colonnelli. Toccava dunque a Nordio smontare la tensione e tentare il ritorno a una sorta di normalità. Ha scelto una strada contorta e poi non ha scelto. Ha deciso che il Paese (non so se anche lui lo chiama "nazione") poteva restare sull'orlo di una condizione di squilibrio, dunque nelle mani di chiunque avesse in quel momento il potere. Infatti il presidente Meloni ha girato un po' intorno agli insulti dedicati dalla maggioranza all'opposizione, e poi ha stabilito via libera per lo squilibrio. E li restiamo, travolti da un mini colpo di Stato che ha certo allargato i poteri del governo. Come ne usciamo? Se la veda l'opposizione.

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