“Il codice delle faccette”, testo di Francesco Merlo pubblicato sul quotidiano “la Repubblica” del 22 di marzo ultimo: Quella raccontata dalla fisiognomica è la Giorgia Meloni più autentica. Le mossette e le occhiatine, gli urli, i silenzi e le risatine sono il suo meglio. E, infatti, sulla prima pagina del Wall Street Journal c’è finita così, nella sua versione più buffa e più vera, con la faccia nascosta sotto la giacca, a mimare la simpatia istituzionale che non riesce a suscitare, reginetta di Coattonia alla Camera dei deputati. È così la nostra presidente: quando non si sente amata cerca la familiarità degli avversari. Dal banco del governo li chiama “ragazzi” e si giustifica con il “noi romani diciamo così” che è l’Alberto Sordi come risorsa, l’imitazione del romanaccio sguaiato che, non potendo fare “dandaradaradaradan”, si butta nella smorfiosaggine. Ma più che Albertone sembra Bonolis quando si nasconde il viso sotto la giacca. E “so’ ragazzi” è il motteggio satirico che rese popolare Enzo Iachetti a Striscia la notizia. Ci sono il disagio e l’insicurezza dell’Italia istituzionale dietro il grottesco di una foto che ha fatto il giro del mondo perché accarezza lo stereotipo dell’Italietta espressiva e pittoresca della commedia dell’arte. All’estero era chiamata “commedia italiana” e fu il primo teatro con attrici donne scritturate: nessun copione, ma solo la ricerca della risata con le facce, proprio come mercoledì alla Camera provava a fare Giorgia Meloni. Il dibattito era grave e pesante, ma per ogni espressione il presidente Meloni cambiava faccia. E ci vorrebbe un pittore, un artista impegnato, come per esempio l’incappucciato Banksy, che raccontasse sui muri di Roma la faccia dell’Italia, e cioè le cento e mille maschere della Meloni che alla Camera cercando la scienza di Petrolini e di Totò, trovava invece soltanto le mosse, come la romanissima scimmietta di Trilussa che “con un’aria d’importanza, /se mise a sede, fece la svenevole, / guardò er soffitto e se grattò la panza. / - Brava! - strillò er fotografo - Benone! / Questo, pe’ fa’ cariera, basta e avanza: sei nata propio co la vocazzione! / Se allarghi mejo certi movimenti / chissà che artista celebre diventi!”. Ecco perché Giorgia seduce gli americani ed ecco perché Biden la bacia in fronte, perché le sue smorfie raccontano la goffaggine politica dell’Italia che albertosordescamente sbraca, proprio come piace a loro. Berlusconi ci provava e ci riusciva con le gag, non un compendio politico, ma una sequela di battute al limite della licenza e qualche volta della decenza. Meloni ci prova con le facce. Berlusconi sapeva che “il segreto dell’autorità è - come diceva Benjamin - non deludere mai”. Giorgia crede invece che l’autorità del potere sia aggressività e perciò si butta anche nell’iconografia del “severa ma giusta”. E ogni tanto esibisce la faccia dolce e cattiva del duro da commedia. Nel repertorio delle smorfie è infatti previsto che la Premier, quella che spiega “il piano Mattei” o che dà addosso agli immigrati, spalanchi gli occhi e serri le labbra. Come una ragazzaccia mima lo statista che impugna la geopolitica e, senza saperlo, somiglia allo studentaccio che alla Camera contro di lei mimava il terrorista che impugna la pistola. Due fake. E cercando invano la postura istituzionale, Meloni si rifugia poi sempre e solo nella romanità, nel romanesco di default come unica egemonia culturale, con la pronuncia strascicata dell’“italiano sfatto” non de destra, ma de Roma, che “non è - spiegava Tullio De Mauro - un dialetto, ma un modo di pronunciare” per coprire l’imbarazzo di non essere compos sui in modo naturale, come Mario Draghi, come il presidente Mattarella, ma anche com’erano Gianfranco Fini e Giorgio Almirante, come ci stava da presidente del Senato Marcello Pera, o come rappresentava l’istituzione Adriana Poli Bortone, come i coniugi Tatarella, e poi in Forza Italia c’erano la Moratti e Mara Carfagna. Datele una postura istituzionale e Giorgia Meloni solleverà il mondo, datele un abito che “faccia” il monaco e la sua foto finirà sulla prima pagina dei più autorevoli giornali internazionali non perché nasconde le facce ma perché mostra la sua.
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