"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi

"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi
"Il bruco" (2017). Nikon Coolpix P900. Foto macro. Stato larvale della falena diurna "Macroglossum stellatarum" volgarmente detta "sfinge colibrì".

giovedì 2 maggio 2024

MadeinItaly. 12 Filippo Ceccarelli: «Il ventre molle, accomodante e approssimativo, sbracato e facilone, volgare e cialtronesco del carattere nazionale».


Giù le mani dagli spaghetti alle vongole ha intimato la ministra del Turismo Daniela Santanché lanciando l'allarme sulla colonizzazione delle spiagge libere da parte delle multinazionali. Una volta installatesi "sul nostro litorale", queste ultime procederebbero a una sostituzione gastronomica dei "nostri valori e della nostra identità", quindi addio spaghetti alle vongole. Posto che ciò sarebbe molto triste, non si riesce mai a capire se certi segnali del nazionalismo pop rientrino nell'ordine delle preoccupazioni, delle provocazioni o delle scemenze, forse tutte e tre le cose. Ma per quanto riguarda Santanché, che di stabilimenti balneari se ne intende (ha appena ceduto le quote del Twiga a Briatore e al suo compagno), la geremiade sovranista pastasciuttara è rinforzata da una personale passione per i fornelli, come sa bene chi la segue sui social allorché, sempre in ghingheri, si dà in pasto esibendosi come cuoca in quella che lei stessa ha battezzato "la Santa Cucina". E tuttavia, siccome i segni e i simboli dell'immaginario vanno e vengono ritornando a galla nel mare magno della memoria, ecco che gli spaghetti, in particolare alle vongole, costituiscono una pietra miliare e d'inciampo nell'eterna disputa antropologica fra arci-italiani e anti-italiani. Per cui magari la ministra Santanché non lo sa, ma nei primi anni 50 del secolo scorso, nell'ambiente super intellettuale ed elitario del Mondo di Mario Pannunzio al massimo grado del disprezzo entrò in voga un'espressione, "l'Italia alle vongole", coniata dallo studioso di Tocqueville Vittorio De Capraris. Era una sintesi per indicare il ventre molle, accomodante e approssimativo, sbracato e facilone, volgare e cialtronesco del carattere nazionale che al dunque, dismesso qualsiasi altro obiettivo di facciata, andava a parare sul ventre, forchetta in mano e zampe sotto il tavolo, ripiegando sulla potenza primaria della magnata. Donde successive estensioni tipo "moralista alle vongole", "rivoluzionario alle vongole" e così via, sempre in nome del rigore austero e dell'elegante superbia dei "visi pallidi", come pure quegli aristocratici esponenti di un'Italia minoritaria erano designati dai rubizzi avversari amanti dei molluschi. Molto tempo è passato, ma forse non è un caso che proprio oggi Santanché, specchiata rappresentante di un certo stile nazional-godereccio giunto al potere, si erga a difesa dell'intoccabile supremazia degli spaghetti alle vongole, minacciati da oscure forze mondialiste e anti-italiane. Per verità e completezza, nella sua perorazione, la ministra aveva menzionato anche la parmigiana di melanzane, ma qui la faccenda dei valori identitari, considerata la rivalità tra l'Emilia, Napoli e la Sicilia, appare assai più problematica.
(Da “La nuova Italia alle vongole” di Filippo Ceccarelli pubblicato sul settimanale “il Venerdì di Repubblica” del 30 di dicembre dell’anno 2022).

“Le belle parole e l’Italia stregata”, testo di Paolo Nori pubblicato su “il Fatto Quotidiano” del 25 di aprile 2024, “Giornata della Liberazione”: (…). L'ultima volta che è morto un papa in carica, per esempio, il papa polacco, io, di questa morte del papa, e del successivo convegno di cardinali per eleggerne un altro, l'avevo saputo per via del fatto che nel bar dove andavo a far colazione, sotto casa mia, a Bologna (Enoteca Italiana), eran diventati tutti dei vaticanisti. Un bar che fino a pochi giorni prima era frequentato da bancari, studenti, pensionati, commercialisti, idraulici, sarti, professori di ginnastica, tabaccai, ortopedici, musicisti, impiegati comunali, bidelli, avvocati, fisioterapisti, garagisti e bibliotecari, tutto d'un tratto era diventato il bar dei vaticanisti. E discutevano tra loro, e si dividevano in fazioni, e c'era chi assicurava che il giorno successivo tutto sarebbe finito, e chi diceva che no, che per altri tre giorni niente fumata bianca, e facevano anche le facce come se richiamassero alla memoria i loro studi passati e a me, che stavo scrivendo un romanzo ambientato a Pietroburgo nel 1912, facevano un po' ridere, devo dire, e io, probabilmente, avrei fatto ridere loro, se mi avessero chiesto cosa pensavo e io glielo avessi detto. Dopo, nel gennaio del 2009, compiva gli anni mio fratello Emilio, mi son trovato a Parma a cena con i miei due fratelli e mia mamma. Era il periodo della crisi dell'Alitalia, e la prima mezz'ora che siam stati a tavola mio fratello Giulio, mio fratello Emilio e mia mamma hanno parlato solo di trasporti aerei, e ne han parlato come se fossero degli esperti. Io a un certo punto ho guardato mia mamma e le ho detto "Mamma, tu non hai mai volato in vita tua, cos'è successo, hai fatto un corso?”. Da un paio d'anni sto portando in giro uno spettacolo teatrale, prodotto dal Teatro Due di Parma (…), che raccoglie alcune delle storie che girano nella mia testa (come quella dei vaticanisti e della crisi dell'Alitalia), e la mia risposta alla domanda "Cosa pensi del Premio Strega?" è in una di quelle storie lì, che ha a che fare con una cosa che è successa dodici o tredici anni fa. Dodici o tredici anni fa c'era un gruppo di scrittori italiani tra i trenta e i quarant'anni che si lamentavano che non avevano potere, non avevano posti di rilievo, e hanno fatto un'associazione che si chiamava TQ, che significava, appunto Trenta-Quarantenni (una gran fantasia, bisogna dire), che volevano fare delle riunioni per capire come fare per incidere sulla realtà, volevano incidere sulla realtà. Io, avevo allora 48 anni, non mi hanno invitato. Ci son rimasto malissimo. Perché mi hanno tolto l'opportunità di dirgli di no; non ci sarei andato, ma mi dovevano invitare, ero anch'io un quarantenne, in un certo senso, avevo 48 anni, non mi hanno invitato. Ci son rimasto malissimo. Ecco, il Premio Strega, io non sono amico della domenica, che sono quelli che possono votare al Premio Strega, non credo che mi chiederanno mai di diventarlo ma se me lo chiedessero sarei contento perché potrei dirgli di no. Il fatto che non me l'abbiano chiesto, però, non mi ha fatto rimanere malissimo perché mi sembra normale, che non me lo chiedano. Ho l'impressione di avere poco a che fare, col Premio Strega, meno ancora del pochissimo che avevo a che fare con i TQ. Perché per incidere sulla realtà, io sono di Parma, e mi piace così tanto, essere di Parma, e ci son tante cose, che mi piacciono di Parma, e tra queste il fatto che poco più di cento anni fa, nel 1922, Parma è stata l'unica città italiana che ha resistito, con successo, ai fascisti; i fascisti, guidati da Italo Balbo, avevano provato a conquistare Parma, e quando dovevano entrare nell'oltretorrente, il quartiere popolare di Parma, avevano provato a passare il ponte sul torrente Parma, ma erano stati respinti dalle barricate degli arditi del popolo, guidati da Guido Picelli. E più di dieci anni dopo, quando ormai anche Parma aveva ceduto al fascismo, e dopo che Balbo era diventato famoso per una trasvolata oceanica su un aeroplano, e in un'occasione che Balbo era tornato a Parma per fare un discorso o non so cosa, su un muro del lungoparma, visibilissima per tutti, era comparsa una grande scritta fatta con della vernice bianca che c'era scritto: Balbo, t'è pasé l'Atlantic mo miga la Parma, "Balbo, hai passato I'Atlantico ma mica la Parma". Chissà se quello lì, quello che aveva fatto quella scritta, il giorno prima di farla si era riunito con i suoi amici di Parma, avevano fatto un'assemblea che si erano detti "Siam tagliati fuori, i giornali non ci chiamano a collaborare con loro, son tutti fascisti, noi vogliamo incidere sulla realtà come facciamo?". Allora si era alzato uno aveva detto "Sai cosa facciamo? Scriviamo sui muri". E quello secondo me è un bel modo, di incidere sulla realtà. Uno scrittore russo che mi piace molto, Daniil Charms, ha scritto una volta, "Voglio che le parole che scrivo siano come pietre, che se le butti contro la finestra si spacchi la finestra''. Ecco, quella frase lì, Balbo, t'è pasé l'Altantic mo miga la Parma, ha un discreto valore contundente, secondo me, e mi sembra abbia a che fare con quel che ha risposto Iosif Brodskij quando gli han chiesto "Qual è il ruolo dell'intellettuale?" "Scrivere delle cose belle", ha risposto Brodskij.

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