"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi

"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi
"Il bruco" (2017). Nikon Coolpix P900. Foto macro. Stato larvale della falena diurna "Macroglossum stellatarum" volgarmente detta "sfinge colibrì".

sabato 11 maggio 2024

MadeinItaly. 16 Giovanni Toti: «Io credo che il riflusso, l’individualismo e il disimpegno siano stati fattori positivi».


(…). Berlusconi non prese forma dal nulla, come molti pensavano negli anni Novanta. Era invece il prodotto di una certa Italia, maggioritaria nel desiderio di benessere unito all’individualismo: con punte libertarie e uno scarso senso delle istituzioni. (…). Berlusconi ha dato voce a un Paese imprevisto ma reale, con solide radici in una società in rapida trasformazione. Spregiudicato e cinico quanto basta, maestro della comunicazione politica, popolare come pochi in quanto inventore della tv commerciale, era l’ideal-tipo dell’italiano che si era scrollato di dosso il passato: dunque le ideologie ma anche le grandi passioni civili del Novecento. Tuttavia capace di conservare, del passato, alcuni segmenti utili alla sua personale battaglia, che era soprattutto elettorale. Oggi la cancellazione della storia è totale, si vive in un eterno presente. Allora, all’inizio degli anni Novanta, subito dopo la caduta del muro di Berlino, era un po’ diverso. Berlusconi rappresentava il modernizzatore anti-comunista, l’uomo che pretendeva di identificarsi con l’Italia produttiva, protesa verso forme di libertà economica in sintonia con quel modello “reaganiano” che aveva dominato il decennio Ottanta, gli anni d’oro dell’imprenditore milanese. Il problema nasce quando la discesa nel campo politico coincide, nientemeno, con la promessa della “rivoluzione liberale”. Anche qui Berlusconi è molto abile nel vendere agli italiani, quasi fosse un “future” finanziario, la speranza di una destra conservatrice in stile europeo o americano. Ma presto si capisce che quel “partito liberale di massa” non prenderà mai corpo. L’interesse di Berlusconi è di regnare sulla coalizione da lui riunita sotto il suo ombrello, con i vari partiti (An, Lega, centristi vari) misurati nella loro forza. E ora? (…). …non è difficile prevedere il prossimo futuro. Forza Italia era il movimento di Berlusconi e non potrà esistere senza di lui. O meglio, può sopravvivere come atto di fede di una generazione abbastanza anziana, grata alla memoria dell’uomo che nutrì le loro illusioni giovanili. Qualcosa di molto simile accadde nel Dopoguerra con il Msi: ebbe un senso a destra finché esisteva una base di nostalgici, dopodiché dovette trasformarsi con Fini in An; e in seguito con Giorgia Meloni in Fratelli d’Italia. (…). (Da “Quel che resta del berlusconismo” di Stefano Folli pubblicato sul quotidiano “la Repubblica” del 27 di gennaio 2024).  

“Il re sòla Giovanni II, un ammorbidente da B. al grande botto”, testo di Pino Corrias pubblicato su “il Fatto Quotidiano” del 9 di maggio 2024: Anche da Re Sole della Liguria, Giovanni Toti, detto l’Ammorbidente, non ha mai perso la faccia da scolaro con il grembiule bianco e il fiocco blu, seduto al primo banco nella classe che fu di Silvio Berlusconi, il mentore della sua vita, che tra una barzelletta e l’altra, tra una pupa in tacchi a spillo e uno scandalo ad personam, insegnava la grammatica del potere, l’apoteosi pubblicitaria del consenso, gli oscuri traffici di denari e altre utilità, che i teorici d’alta politica contemporanea chiamano “sangue e merda”, indispensabili ingredienti a confezionare pasti caldi per il pregiato pubblico degli elettori. I liguri, in questo caso, che dal 2015 si sono stesi al sole del Re Sole. Anche se non tutti, a onor del vero. Non è mai elegante dire “io l’avevo detto”, ma l’ostinato Ferruccio Sansa, ex giornalista del Fatto, nonché consigliere regionale di opposizione in Liguria, oggi ha tutto il diritto di alzare il dito, schiacciare il tasto Rewind e mettere in fila i cinque anni di dichiarazioni quotidiane, settimanali, mensili, su e contro il regno decennale di Giovanni Toti. I favori ai supermercati Esselunga. Gli abbracci conturbanti con l’Autorità portuale di Genova. La predilezione per la Sanità privata. L’idiosincrasia per quella pubblica. La permanente sponsorizzazione politica, anzi sentimentale, di Primocanale, la tv locale che regna incontrastata sulla intera fetta d’anguria della Liguria e che parlava del governatore con tutti i violini della devozione. E pure noialtri liberi dispensatori di ritratti concludevamo – cinque anni fa – le nostre tre cartelle dedicate a Toti, segnalando che i troppi guai della Regione “rischiavano di lasciarlo senza rete”, circondato da nemici seduti intorno al suo seggiolone, “ad aspettare il botto”. Il botto è arrivato l’altro giorno un po’ prima delle 7 del mattino, la stessa ora in cui le agenzie – una trentina d’anni fa – battevano i nomi degli arresti di giornata, durante il lungo bradisismo di Tangentopoli che pure Toti Giovanni, all’epoca redattore semplice del Tg4, annotava con l’inchiostro televisivo del cronista. E oggi che l’arresto lo riguarda, non è cambiato neppure il copione di polvere e parole che viene dopo le manette. In primis quelle dell’avvocato difensore che dichiara: “Il presidente è tranquillissimo”, beato lui. E tutti i suoi colleghi politici in coro: “Siamo garantisti, aspettiamo che l’inchiesta faccia il suo corso” salmodiato specialmente a Roma, insieme con il segno della croce e un segreto pensiero che dice: mamma mia che guaio. Perché a forza di esercitare la quotidiana ginnastica contro i magistrati matti & malvagi, contro le inchieste a orologeria, contro l’abuso di ufficio diventato “arbitrario abuso di potere”, contro il codice degli appalti che va abolito, anzi disintegrato, contro le intercettazioni troppo facili, facciamole a cronometro, arriva questo colpo di scena che è come una secchiata di acqua fredda, che si porta via tutti i chiodi a tre punte che va spargendo il volenteroso Carlo Nordio, il ministro di Giustizia, che da ex pm ha in uggia tutti i pm, e prima o poi dovrebbe seguire il consiglio di Nicola Gratteri, fare i test psicoattitudinali, antidoping compreso. In quanto al malcapitato governatore, riassumiamo la sua vicenda umana. Toti non è un refuso e non ha mai giocato al calcio. Nasce a Viareggio nell’anno formidabile del 1968, padre albergatore, madre casalinga. Infanzia e adolescenza attutite dalla sabbia del litorale. Studia poco, ma sempre il giusto. Si iscrive a Scienze Politiche alla Statale di Milano dove fa tutti gli esami meno uno. Gli piace viaggiare, bere, mangiare. Cresce contento degli anni 80. Dice: “Io credo che il riflusso, l’individualismo e il disimpegno siano stati fattori positivi”. Per questo diventa craxiano, “anche se moderatamente”, oltre che “paninaro” nel tempo libero. E siccome gli piacciono “la competitività aziendale e il merito”, nei primi anni 90 entra in Mediaset raccomandato dal padre della fidanzata per arruolarsi nella battaglia anti-giudici. Che Toti pratica fino all’apoteosi de La guerra dei vent’anni, anno 2013, uno speciale tv in difesa di Silvio B e delle sue cene eleganti che andrebbe studiato in ogni scuola di giornalismo, come modello esemplare di disinformazione pop. La prestazione gli vale i galloni di caporedattore, poi vicedirettore, infine doppio direttore. Prima di Studio Aperto, poi di Rete 4, dove sgombera l’anziano Emilio Fede con la sua zavorra di Meteorine e meteoriti come Lele Mora e Valter Lavitola. Da “Bianco Gabibbo” (Striscia la notizia, dixit) diventa il Delfino. Incoronato su un balcone di Villa Paradiso, una di quelle cliniche dove si fabbricano lattughe per la dieta, direttamente con un abbraccio del Capo che gli conferisce lo scettro di plastica di Forza Italia, immortalando quella investitura in una fotografia che ancora oggi fa molto ridere. Era il 2014 e a tutti sembrava una buona idea sostituire le fiamme peccaminose che Ruby ancora emanava, con le guance illibate dello scolaro. Non funzionò. Volato in Europa con 150 mila preferenze, l’angioletto Toti cominciò a studiare da satanasso. Ricevute in dono da Berlusconi le mappe della intera Liguria – che dai tempi del Boom economico mastica cemento, devasta le sue coste, i suoi borghi, nel cupio dissolvi del progresso esentasse – Toti s’avvale dell’alleato migliore, la solita sinistra divisa in tre liste, e nell’anno 2015 diventa governatore. Fabbrica il suo regno a suon di appalti, amicizie, propaganda. Si mette nella scia di Matteo Salvini, ma solo fino al disastro del Papeete, salendo sul salvagente che gli offre l’ex democristiano Maurizio Lupi, quello del Rolex. Dichiara: “La Liguria diventa il laboratorio nazionale dei moderati”. Ma il laboratorio si inceppa. L’economia della Regione rallenta, i giovani non fanno figli, e quando possono, emigrano. Le panchine davanti al mare si riempiono di concittadini “non indispensabili allo sforzo produttivo”. A ogni cambio di stagione arriva la frana, l’incendio, l’alluvione a rallentare il bed & breakfast collettivo. A rinsaldare quel che la politica divide, arriva la tragedia nazionale del Ponte Morandi che distribuisce le carte della rinascita. Il cantiere è un successo. L’orgoglio della inaugurazione diventa la nuova fanfara del governatore che ormai frequenta solo le grandi barche e i grandi affari. Si è montato la testa, come capita ai re, che qualche volta all’improvviso la perdono.

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