"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi

"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi
"Il bruco" (2017). Nikon Coolpix P900. Foto macro. Stato larvale della falena diurna "Macroglossum stellatarum" volgarmente detta "sfinge colibrì".

giovedì 9 maggio 2024

MadeinItaly. 15 Roberto Esposito: «L’ultimo trentennio ha segnato un passaggio negativo nella coscienza civile dell’Italia repubblicana. Paradossalmente è accaduto dopo Tangentopoli».


Ha scritto Corrado Augias in “Quanto sei fragile democrazia” pubblicato sul quotidiano “la Repubblica” del 14 di marzo 2024: Le democrazie nel mondo non sono molte, e soffrono. Secondo The Economist dello scorso 15 febbraio: «solo l’8 per cento della popolazione mondiale vive in un sistema pienamente democratico». Le cose sono anche peggiori se si pensa che all’interno di quello stesso 8% molti sistemi democratici sembrano in pericolo o non sono abbastanza difesi da quel “popolo” (demos) che dovrebbe vedere nella demo-crazia l’incarnazione del suo potere. Basta pensare al livello della contesa negli Stati Uniti o, su scala minore, alla situazione italiana tentata, forse, da una forma di governo definita con tono solo in apparenza scherzoso “capocrazia”. Prima di vedere per quali cause ciò avvenga, si può segnalare un piccolo dato positivo. Lunedì (11/03/2024 n.d.r.) 800 mila italiani sono rimasti fermi ad ascoltare una lezione di livello universitario data in Tv, prima serata, dal prof Luciano Canfora su La7. Una tale attenzione da parte di un numero non trascurabile di italiani è di per sé una buona notizia. Canfora ha discusso e analizzato che cosa sta succedendo ai sistemi democratici, quali possono essere le cause della loro debolezza. Le democrazie barcollano, s’è detto, perché viviamo anni di passaggio epocale dalla cultura della carta a quella digitale con tutte le possibilità di falsificazione che le nuove tecnologie consentono. Molti, interrogati, hanno ammesso di ritenere autentiche le immagini che ritraggono Donald Trump in prigione, oppure, al contrario, stretto nell’abbraccio di (…) afroamericani che lo festeggiano. La stessa futura regina d’Inghilterra ha pensato di ritoccare una foto di famiglia per scopi finora non accertati. Un altro possibile fattore di pericolo per le democrazie sta nella smisurata potenza finanziaria di alcune grandi società legate o alle nuove tecnologie o al petrolio. Dati attendibili mostrano, per esempio, che i fatturati di Apple, Saudi Aramco, Microsoft sono maggiori del prodotto interno lordo italiano. Non solo, queste società sono in grado di spostare masse di denaro utilizzandolo a grande velocità contro i lunghi tempi decisionali di una democrazia – tanto più, si può aggiungere, in un sistema di bicameralismo perfetto come il nostro dove ogni decisione dev’essere approvata alla virgola da due diverse assemblee. Questa situazione ha portato ad un depotenziamento dell’organo democratico per eccellenza, cioè il Parlamento. Deputati e senatori sono meno motivati di quelli di un tempo anche perché sentono che s’è perduta una parte importante della loro funzione. Anche per ragioni storiche; in Europa, per esempio, ha contribuito l’accresciuta importanza degli organismi direttivi dell’Unione. Basti pensare ai vincoli di bilancio che gravano sui paesi membri obbligandoli a certi comportamenti o a quantità prefissate di rientro da un debito eccessivo. Forse una parte dei cittadini votanti non è del tutto consapevole di questi meccanismi, tutti comunque si rendono conto che molte cose sono cambiate e che la politica – cioè la democrazia – non funziona più come un tempo. L’immagine delle aule parlamentari vuote durante importanti dibattiti ha contribuito a diffondere sfiducia nel suo funzionamento. L’analisi del professor Canfora è proseguita con le conseguenze della scomparsa dei partiti politici. Nell’Italia del dopoguerra i partiti hanno costituito la nervatura di un Paese che stava cercando una nuova identità repubblicana dopo il disastro del fascismo. I partiti sono serviti a selezionare e ad educare il personale politico, evitando il rischio di vedere dei dilettanti arrivare a importanti responsabilità locali o nazionali per le quali si sono dimostrati chiaramente impreparati. Il crollo delle ideologie ha fatto il resto abbassando il livello di reclutamento di nuove leve per l’attività politica. Quegli orizzonti ideali, utopici che fossero, avevano dato alla politica una ampiezza d’ orizzonte che oggi non c’è più. Tra maggio e luglio 2023, la “Open Society barometer” ha effettuato un ampio sondaggio interrogando su questo tema più di 30 mila persone in 30 paesi. (…) …questa disaffezione è particolarmente evidente tra i giovani, Europa compresa, come se gli ottant’anni passati dalla fine delle dittature e della guerra avessero cancellato l’idea stessa dei disastri dai quali le moderne democrazie del continente sono nate. Ultimo fattore preso in considerazione, senza pretesa di averli esauriti tutti, la paura. Molti sono spaventati dalle grandi trasformazioni e dalle grandi migrazioni. Chi è spaventato chiede protezione, la figura di un padre-padrone, autorevole e forte, è ridiventata per molti preferibile a un sistema democratico dove le decisioni sono temperate, discusse, bilanciate. Su questo passaggio s’è svolta la seconda parte del programma che ha visto protagonista il professor Stefano Mancuso; fondatore della neurobiologia vegetale, si batte da anni per la salvaguardia dell’ambiente e del clima. Le sue tesi sono raccontate (con notevole abilità narrativa) nel saggio Fitopolis, la città vivente (Laterza). Nel giro di non molti anni, ha detto, l’aumento della temperatura globale costringerà milioni di persone a lasciare porzioni di pianeta diventate troppo calde e aride, cioè inabitabili. Tanto più che le zone più colpite dal riscaldamento saranno anche le più povere. Il tema della democrazia e del clima trovano qui un evidente punto di convergenza che dovrebbe spingere a unire le forze per contrastare con decisione il fenomeno. Per esempio, sostiene Mancuso, con giganteschi progetti di riforestazione (milioni di alberi) come ha fatto, dando al mondo un esempio virtuoso, la città di Seul. Ci saranno però politici abbastanza lungimiranti da capire che quella è la strada per difendere nello stesso tempo il pianeta e la democrazia? Una risposta potrebbe arrivare dal fatto che nel 2024 andranno al voto più di 4 miliardi di persone, oltre metà della popolazione mondiale. Elezioni vere e finte, libere e programmate, che comunque un segno potrebbero darlo. Di quale natura sarà lo sapremo solo a cose fatte.

“Questione morale addio: la disonestà è una risorsa”, intervista di Antonello Caporale al professor Roberto Esposito – docente di “Filosofia teoretica” presso la “Scuola Normale” di Pisa - pubblicata su “il Fatto Quotidiano” del 6 di maggio 2024: Professor Esposito, tutto d’un tratto la casta è come sparita. La questione morale non sembra più principio costituente della vita politica. L’etica pubblica ridotta a un dettaglio, quasi un tema d’affezione per pochi inguaribili nostalgici. - Può apparire paradossale: da un lato la “casta” – il ceto politico professionista, nato e cresciuto all’interno dei partiti – si è effettivamente assottigliato, spesso sostituito da un personale politico improvvisato e sprovveduto. Ma è rimasto, se non aumentato, il malcostume politico al quale il termine “casta” alludeva -.

Si invoca il garantismo, inteso però come perenne lasciapassare. Chi si oppone, come questo giornale, è definito al meglio come giustizialista, o peggio come manettaro. - Il garantismo, nel suo significato autentico, è una cosa seria. Ma poi è diventato un alibi per difendere un ceto politico spesso disonesto e corrotto. Oggi la disonestà è considerata un’opportunità, quasi una risorsa, per chi amministra la cosa pubblica. Per questo non è neanche avvertita come reato da chi l’esercita, ma come un dato naturale, connesso alla gestione del potere -.

Il ministro per le Politiche agricole aumenta di 83 (ottantatré!) membri il suo staff. Silenzio. La ministra Santanchè è coinvolta in inchieste giudiziarie di primo livello. Illesa. Sgarbi, dimissionato a forza da sottosegretario, viene premiato con la candidatura in Europa nel partito della premier. - Che tutto ciò appaia normale, è un effetto del rovesciamento ottico in base al quale l’esigenza di onestà, per coloro che esercitano il potere, pare meno vincolante, rispetto a coloro che quel potere lo subiscono. Quando dovrebbe essere il contrario. Un illecito da parte del ceto politico è ben più grave perché, oltre gli interessi della collettività, colpisce il patto costitutivo su cui si regge la comunità -.

Questa rilassatezza morale è un lascito dell’età berlusconiana o piuttosto la matrice dell’Italietta di sempre? - In una prospettiva di lungo periodo, c’è la storia di un Paese che non ha conosciuto né Riforma né Rivoluzione. Ma l’ultimo trentennio ha segnato un passaggio negativo nella coscienza civile dell’Italia repubblicana. Paradossalmente è accaduto dopo Tangentopoli. Ciò nasce dal fatto che la distruzione dei partiti ha avuto effetti ambivalenti. La mancanza di partiti centralizzati ha prodotto una diffusione di poteri locali incontrollati ancora più spregiudicati -.

Fino a quando è stato all’opposizione il partito della premier interpretava il bisogno della pulizia morale. Giunto al governo lascia intendere l’opposto. - Il partito di Almirante appariva intransigente sul piano della pubblica moralità. Del resto la sua lontananza dal governo costituiva una sorta di garanzia rispetto a possibili tentazioni. La stessa premier ha dichiarato che il suo impegno politico è nato dallo sdegno per la morte di Borsellino, egli stesso uomo di destra. Poi, una volta al governo, ha ritenuto che circondarsi di un personale politico fedele fosse più importante che pretendere un adeguato costume morale alla cerchia dei collaboratori e degli alleati più stretti. Un grave errore, che finirà prima o poi per pagare -.

Il centrodestra ogni volta che è chiamato a rispondere di questo tema invoca il vizio compensativo. Dice sottovoce o accusa a pieni polmoni: anche la sinistra ruba, è corrotta o semplicemente coinvolta. E così finiscono la discussione e la partita. - Effettivamente anche a sinistra la questione morale è tutt’altro che chiusa. Ma ciò non giustifica l’atteggiamento della destra. Si dovrebbe competere al rialzo -.

C’era una volta la società civile. Almeno lei, professore, ha capito dov’è finita? - Non illudiamoci. La società civile non è mai stata tanto diversa da quella politica, che di fatto da essa proviene. E poi un’ampia fetta di ‘società civile’ considera l’attuale crisi etico-politica irreversibile, almeno per ora. Nulla come la riforma morale degli Italiani sarebbe necessaria. Ma non pare sia alle porte -.

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