"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi

"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi
"Il bruco" (2017). Nikon Coolpix P900. Foto macro. Stato larvale della falena diurna "Macroglossum stellatarum" volgarmente detta "sfinge colibrì".

mercoledì 27 dicembre 2023

Piccolegrandistorie. 62 Tomaso Montanari: “A Betlemme si piange”.

Sopra. "Ingresso di Maria e Giuseppe a Betlemme", affresco di anonimo risalente al periodo 750-850 d.C. custodito nella Chiesa di Santa Maria Foris Portas a Castelseprio (Varese). 

«(…). Forse quell'artista viaggiatore - un gigantesco artista, e chissà come si chiamava... - avrà pensato a se stesso dipingendo il viaggio di Maria e Giuseppe a Betlemme. Stanno varcando proprio una porta, una porta dai tratti tipici dell'architettura orientale di quel periodo: magari l'artista pensava alle mura della sua città, così lontana dalla campagna lombarda. Maria, incinta e ormai vicinissima al tempo del parto, cavalca un'asina, e Giuseppe cammina a fatica, appoggiandosi a un bastone. Maria lo guarda con amore, con sollecitudine e cura: quasi si sentisse in colpa di dover approfittare lei, tanto più giovane, dell'unica cavalcatura disponibile. Impossibile oggi non pensare che le porte di Betlemme (città palestinese in Cisgiordania) quest'anno saranno chiuse, e che nella Basilica della Natività non ci sarà liturgia la notte di Natale. La segregazione, il terrore, la guerra: su due popoli devastati dai loro governi e immersi nel sangue l'uno dell'altro non vedranno luce, in quella notte santa. Anche noi dovremmo avere la decenza di non festeggiare: cosa abbiamo da festeggiare, se a Betlemme si piange? Dovremmo, semmai, sperare e camminare nelle vie della pace: lo sguardo dolcissimo e solidale di Maria a Giuseppe che le arranca dietro è lo sguardo che sentiamo su di noi in questo Natale. Uno sguardo di «fede e speranza nel mondo» (come ha scritto Hannah Arendt, ebrea e antisionista): nonostante tutto». (Tratto da “A Betlemme si piange” di Tomaso Montanari pubblicato sul settimanale “il Venerdì di Repubblica” del 22 di dicembre 2023).

RaccontodiNatale”. “Miracolo sulla nostra strada”, racconto di David Almond pubblicato sul settimanale “Robinson” del quotidiano “la Repubblica” del 24 di dicembre 2023: La prima volta che lo vidi era domenica. Servivo all'altare, alla messa della sera. Lui venne alla balaustra ma non aveva idea di come si riceve l'ostia. S'inginocchiò e alzò lo sguardo su Padre O'Mahoney con la bocca serrata. Anche il prete lo guardò, in quel suo modo particolare. «Apri la bocca» bisbigliai. «Metti fuori la lingua». Il prete mi fulminò con un'occhiata. Ma il bambino fece come gli avevo detto. Il prete esitò, poi gli posò l'ostia sulla lingua. «Il Corpo di Cristo» mormorò. Io suggerii sottovoce la risposta, ma il ragazzino non parlò. Tornati in sagrestia, il prete mi diede un'altra occhiataccia. «Chi sei, tu» disse, «per dare consigli simili?».

«Mi scusi, Padre» bisbigliai.

«Impara a stare al tuo posto. Il tuo compito è dare una mano perché su quell'altare si compia il miracolo, niente di più».

«Sì, Padre».

«Potrebbe essere un pagano, per quel che ci è dato sapere. Oppure un grande peccatore. Oppure...».

Chiuse gli occhi, immaginando altri impedimenti a ricevere la comunione. Sospirò e mi benedì. «Verrò a trovare tuo padre» disse.

Io mi tirai via la tonaca e la cotta e m'incamminai al buio verso casa. Ero a metà strada quando mi sentii toccare sulla schiena. Era il bambino. Stavamo sotto un lampione molto fioco di Holly Hill. Lui era magro, portava un pullover troppo leggero e bucato. Aveva occhi enormi e luccicanti. «G-grazie» disse. Si fece avanti e mi mise qualcosa in mano. «Me l'ha detto mia mmamma» spiegò.

«Questo regalalo a lui. Per Natale. L'ho f-fatto io».

Poi sparì dal cono di luce. Sollevai la cosa. Un qualche animale, forse un cavallo. Proseguii, oltre le case con le file di luci colorate appese e gli angeli alla finestra, e tornai dalla mia, di mamma. Disse che il cavallo era bellissimo, intagliato benissimo. Sembrava lì lì per spiccare un balzo. Le dissi che il bambino non l'avevo mai visto prima. Che non sapeva fare la comunione. E sembrava molto povero. Lei alzò le spalle. «Hanno visto passare dei furfanti» commentò. Vai a trovare tuo papà. Oggi è tornato il dottore».

«Ah sì?».

«Sì. È tutto a posto, ragazzo».

Lo sentii tossire. Restammo in attesa. «Portagli su il tè» fece lei. Sul comodino e appiccicati al muro c'erano molti biglietti. Auguri di Natale, auguri di pronta guarigione. Lo baciai sulla guancia e lui si sforzò di sorridere mentre gli avvicinavo la tazza alle labbra. Gli mostrai il cavallo. Me lo tolse di mano, lo tenne vicino agli occhi.

«Mi pare speciale» disse.

«Lo ha fatto un bambino». Lui lo strinse fra le dita.

«Miracoloso» disse. «Dev'essere un bambino davvero speciale, allora».

Fece una smorfia di dolore e si riappoggiò al cuscino.

«Ok, ragazzo» sussurrò. «Ora puoi andare».

C'era soltanto una scuola cattolica nella nostra cittadina, la St Michael's. Il bambino non ci veniva. Probabile che ci fosse già passato, come facevano i furfanti. Mettemmo in scena un dramma natalizio. Io non partecipai. Preparammo delle lanterne e dei biglietti di auguri disegnati a pastello e cantammo canti di Natale. «Povero me, cosa Gli posso offrire? Se fossi un pastore, regalerei un agnello».

La signora Miller, la nostra maestra, era molto buona. Mi diede il permesso di restare in classe durante l'intervallo e l'ora di pranzo mentre gli altri scorrazzavano qua e là o stavano in un angolo del cortile a tremare di freddo. Leggevo dei libri, e scrivevo un racconto su un bambino che intagliava un uccello e poi gli dava la vita tenendolo fra le mani. Il bambino lo chiamai Oliver. Ollie. Ogni giorno tornavo a casa a piedi coi miei amici, Dominic e Karl. Dominic stava già provando a fumare. «Piantala» gli dissi. Lui inalò ancora e tossì e rise e disse che il fumo era bello da vedere, quando lo espirava nell'aria pungente. Nessuno di noi era molto bravo a parlare. Una volta Dominic aveva osato domandare: «Per quanto potrebbe durare, Chris?». Non sapevo rispondere e lasciammo stare, però rimanemmo insieme, Karl sapeva raccontare le barzellette e ci faceva ridere. «Cosa cantano gli angeli a Natale?» «No-Hell, No-Hell». Ogni giorno ci separavamo in piazza e andavamo ciascuno per la sua strada. Ultimo giorno del trimestre. Il dramma natalizio era andato in scena. Tornavo a casa superando i campi di Swards Road e lungo la stretta Pilgrim's Way, quando li vidi nel vicolo. Avevano una lampada a petrolio accesa. C'era una specie di giaciglio, con un mucchietto di coperte. Avanzai verso di loro e vidi ancora come luccicavano gli occhi del bambino alla luce della lanterna. Aveva nelle mani un coltello e l'abbozzo di un animaletto di legno. La donna era piccola quasi come lui. Mi guardò. Tirò su una bottiglia di latte, un filone di pane spezzato. «Le vendiamo per comprarci da mangiare» disse. «Le sue bestioline. Sono magiche, vero?»

«Io lui l'ho già conosciuto» dissi. «In chiesa».

«Ho visto. Ero lì anch'io».

«Abitate qui?». Lei rise. «Finché non ci spostiamo un'altra volta, come tutti i furfanti».

«Io mi chiamo Christopher» dissi. «È un nome natalizio».

Lei rise e canticchiò con voce stridula: «Ding dong merrìly».

«Il cavallino l'ho regalato a mio padre» dissi.

«È molto malato» aggiunsi. Mi sembrò che non ci fosse altro da dire. Li lasciai lì, e ripresi il cammino. A casa, Padre O'Mahoney stava accanto alla stufa con un bicchiere di sherry. «Finalmente!» esclamò. «È tornato il giramondo! Ho assistito allo splendido spettacolo. Ma tu non c'eri».

«No, Padre».

«Troppo timido, forse?» domandò. «O non ti hanno voluto?»

Non sapevo come rispondergli. Mi sentii le lacrime agli occhi. «Il Padre è venuto a trovare tuo papà» disse mamma.

«Un gran brav'uomo» disse il prete. «Ha vissuto bene. E così vivrai anche tu, Cristopher».

«Sì, Padre».

Mamma mi diede una fetta del dolce di Natale. «Lo so che è un po' presto» disse. «Ma ho pensato di tagliarlo per il prete». Lui rise. «Ed è una gran brava donna anche tua madre, vero?».

Era squisito. Chiusi gli occhi per gustarmelo, per sentire quanto era dolce e morbido. Avrei voluto assaporarlo in eterno. Avrei voluto aprire gli occhi e scoprire che il prete non c'era più. Se ne stava andando. Mi alzai in piedi rispettosamente e lui mi diede la mano.

«La vita è un grande mistero, figliolo» disse a bassa voce. «Non ci è dato conoscere tutte le risposte». «No, Padre».

«Devi ricordartene. Noi tutti veniamo messi alla prova. Dobbiamo pregare. Non c'è molto altro da fa-

re».

«Sì, Padre. Buonasera, Padre».

Lui ci benedì entrambi, e restammo sulla soglia a vederlo scomparire nell'oscurità.

«Possiamo invitare qualcuno?» domandai.

«Cosa?».

«Invitare qualcuno. A Natale?».

«A Natale? Qualcuno chi?».

«È una follia, Christopher» disse lei mentre stavamo seduti insieme vicino al fuoco, e io parlavo del bambino, della donna, del vicolo, del freddo, del buio.

«Lo so, mamma».

«Con tutto quello che sta succedendo?».

«Lo so, mamma».

«Com'è che ti è venuto questo desiderio?».

«Non so, mamma. Sono tanto poveri, mamma. Hanno tanto freddo».

Lei mi guardò intensamente. «Oh, Christopher» mormorò. «Che ragazzo sei. Che periodo stiamo passando».

Restammo seduti in silenzio per un po'. Io pensavo al mio racconto, all'uccello intagliato che prende vita fra le mani di Ollie e vola via. Fuori, un ubriaco cantava lontano, in una mangiatoia.

«Ci penserò su» bisbigliò lei. «Ne parlerò con tuo papà».

Nevicava, quando tornai al vicolo. Non sapevo se fossero ancora lì. Una parte di me sperava di no.

Non parvero sorpresi. Diedi a tutti e due una fetta di torta.

«Vi andrebbe di venire da noi» dissi, «per Natale?». Il ragazzo mi fissò coi suoi occhi luccicanti.

«Se vi fa piacere» rispose la donna.

«Verrò a prendervi al mattino».

Dovevo servire all'altare. La chiesa era piena. C'era odore di profumo e dopobarba. I bambini si erano portati i giocattoli nuovi. Io indossavo la mia nuova camicia rossa sotto la tunica. Durante la predica, il sacerdote raccontò l'antica storia dei pastori, dei re e degli angeli. Disse che ogni cosa mutò e si trasformò, in quella prima mattina di Natale. Niente sarebbe più stato come prima. Mi inginocchiai e cantai il responsorio e suonai il campanello e aiutai il miracolo a compiersi e restai col prete vicino alla balaustra mentre posava l'ostia su un centinaio di lingue. Cantammo tutti Un tempo nella città di Re Davide. In sacrestia il prete bisbigliò una preghiera e si augurò che in questo giorno noi tutti trovassimo un po' di felicità. «Non chiudere il tuo cuore, Christopher» mi disse. «Le vie del Signore sono imperscrutabili».

Tornai a piedi insieme ai miei amici.

«Che nome si dà a un pupazzo di neve vecchio?» disse Karl.

«Pozzanghera» borbottai.

Continuammo ognuno per la sua strada. Io andai a prendere la donna e il bambino nel vicolo e li portai a casa con me. Si erano lavati la faccia e pettinati i capelli, chissà come. Lei portava dei pantaloni azzurri e una felpa verde. Lui si era messo un pullover blu senza buchi e teneva in mano un sacchetto. Per terra c'era ghiaccio, e ricominciò a cadere la neve. Si raccoglieva in mucchietti al bordo del marciapiede. «Eccovi qui!» disse mamma mentre varcavamo la soglia. La casa era calda, la stufa era accesa; gli odori delle cose che cuocevano in forno e ribollivano in pentola erano meravigliosi.

«Buon Natale, signora» disse la donna. «Buon Natale, cari» disse mia mamma. «Christopher, offri da bere ai nostri ospiti».

Versai uno sherry alla donna. Al ragazzo diedi una limonata. Sistemai davanti a loro una ciotola di patatine. «Io mi chiamo Leonora» disse lei.

«E io Alison» disse mamma. Consegnammo loro i regali, uno dei miei libri di poesia per il ragazzo, una boccettina di acqua di rose per Leonora. Gli mostrai il mio pallone e le mie scarpe da calcio nuove.

«Lo avevamo chiamato Otto» disse Leonora, «come suo padre, ma non ce la facevo a sopportarlo». Accarezzò i capelli del bambino.

«Era un bruto. Così per un po' non lo abbiamo chiamato in nessun modo».

«Posso chiamarlo Oliver?» chiesi d'istinto. Mamma restò a bocca aperta.

«Se ti fa piacere, Christopher» rispose Leonora. «Almeno per oggi».

Mi accoccolai davanti a lui. «Mi piacciono molto i tuoi animali» dissi. «G-grazie».

Ne tirò fuori un altro dal sacchetto. Un cane. Io lo presi in mano, lo serrai nel palmo. Sentii la vita che gli brillava dentro. Poi un altro ancora, una tigre. Anche lei brillava. Sentii quelle bestiole sulla pelle, nelle ossa, nel sangue. Sopra un tavolino, come ogni anno, avevamo preparato una piccola stalla. Ollie ci mise dentro un agnellino, di fianco alla mangiatoia. Risistemammo insieme le figurine, giocando come i bambini che eravamo, con naturalezza. «Siamo pagani, sa» disse Leonora.

«Perché siete venuti in chiesa?» chiese mamma. «Per la luce» rispose lei.

«E perché siete venuti all'altare?» «Per il pane».

Di sopra, papà stava tossendo. Mamma sali da lui, poi tornò giù. «Mi spiace per questa disgrazia, signora» disse Leonora. «Dev'essere un uomo buono».

«Lo è. Vi manda i suoi auguri e vi dà il benvenuto, però non può venire a salutarvi».

Oliver alzò lo sguardo verso di lui. Cacciò la mano nel sacchetto e frugò dentro. Negli occhi di mamma la desolazione dell'inverno si fece ancora più cupa, però lei sorrise di nuovo, e domandò a Leonora e a Oliver se il tacchino gli piaceva. Il nostro lo mangiammo di sotto, seduti a tavola. Mamma continuava a portargli da mangiare, poi tornava giù. Disse che non aveva toccato quasi niente. C'erano le candele, e anche i petardi. Io e Oliver ne spezzammo uno, e vennero fuori un ragno di plastica e un indovinello. «Perché gli alberi di Natale non sanno cucire? Perché perdono gli aghi». Fuori, la luce svaniva molto in fretta. Mamma diede fuoco al dolce col brandy. Lo servì col cucchiaio nelle ciotole, ci versò la salsa bianca al liquore ed era così squisito che tutti fecero un sospiro. Oliver, che sedeva spalla a spalla con me, mi guardò intensamente negli occhi. «E-buonissimo» mormorò.

Mamma portò su il dolce a papà, tornò di sotto. «P-posso andare in bagno?» chiese Oliver.

«Certo, tesoro» disse mamma. «In cima alle scale. Non aver paura».

Lo guardai andare. Nella tasca, tenni forte il cane e la tigre luccicanti. Sentii le parole che mi martellavano dentro. II Corpo di Cristo. Amen. Lui restò via un bel po'.

«V-vuole che andiamo su» disse quando fu tornato. Salimmo tutti le scale e ci raccogliemmo attorno al letto. Il dolce di Natale era mangiato a metà. Il cavallo era sul comodino.

«È venuto un angelo» disse papà. Nella mano teneva un uccello. Si è sollevato e ha volato leggero per la stanza prima di posarsi di nuovo sul letto, delicatamente. Nessuno di noi disse nulla, poi Oliver si mise a cantare, con dolcezza e con bontà, e così piano che lo si sentiva a stento: «Nel grigio del pieno inverno, / Gemeva un gelido vento. / Dura come il ferro era la terra, / Come pietra l'acqua...».

«Adesso potete lasciarmi solo» disse papà, e scendemmo tutti.

Io e Oliver giocammo col presepio. Mamma e Leonora bevevano lo sherry. Mamma accese delle altre candele e mise altro carbone nella stufa. Fuori era buio.

Dopo un certo tempo lui venne giù, in jeans e camicia a quadri, e si sedette vicino alla stufa. Bevve anche lui lo sherry. E scoppiò a ridere quando inciampai e gli caddi addosso, e mi tenne stretto.

«Ciao, Christopher mio» sussurrò.

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