"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi

"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi
"Il bruco" (2017). Nikon Coolpix P900. Foto macro. Stato larvale della falena diurna "Macroglossum stellatarum" volgarmente detta "sfinge colibrì".

sabato 23 dicembre 2023

Lamemoriadeigiornipassati. 49 «Lesley Stahl a Madeleine Albright: “Le sanzioni americane hanno causato la morte di 500.000 bambini iracheni, più della bomba atomica. Ne è valsa la pena?”. Albright, segretaria di Stato americano: “Sì, ne è valsa la pena”».


Ha scritto il professor Alessandro Orsini in “Scontri. Non è l’Islam che ha l’obiettivo di invadere l’Occidente: è il contrario” pubblicato su “il Fatto Quotidiano” del 28 di novembre 2023: Nessun popolo può crescere moralmente senza prendere coscienza dei propri pregiudizi. (…). Sto parlando della tesi secondo cui l’Islam odia l’Occidente e vorrebbe distruggerlo per introdurre la sharia nelle nostre democrazie. (…). Una documentazione storica esorbitante mostra che la tesi dell’odio contro l’Occidente è il frutto di un capovolgimento paranoico della realtà storica. Gli studi storici mostrano che il progetto di sostituire i valori dell’Islam con i valori dell’Occidente è un’idea dell’Europa e degli Stati Uniti. Le guerre illegali della Nato in Iraq del 2003 e in Libia del 2011 sono state condotte con lo scopo dichiarato di eliminare la cultura islamica in quei Paesi e sostituirla con la cultura occidentale e il sistema politico europeo. Lo slogan è stato: “Dobbiamo trasformare l’Iraq e la Libia in una democrazia occidentale”. Di contro, gli studi storici non mostrano che i Paesi islamici abbiano mosso guerra ai Paesi europei per sostituire i loro regimi laici con i regimi islamici. L’Iran non ha invaso la Francia per uccidere Macron o l’Italia per sostituire Giorgia Meloni con un ayatollah. Il fenomeno registrato negli ultimi secoli dagli storici non è l’islamizzazione dell’Occidente, bensì l’occidentalizzazione dell’Islam. È l’Islam che assume gli stili di vita occidentali sotto la spinta delle guerre dell’Occidente e del suo strapotere politico-economico. Gli attacchi che l’Occidente ha subito per mano di al Qaeda e dell’Isis non sono mai stati un tentativo di imporre i valori dell’Islam all’Occidente, bensì un tentativo di difendere l’Islam dalle guerre occidentali. Al Qaeda e l’Isis in Iraq non esistevano sotto Saddam; sono nati come reazione nazionalista all’invasione americana. I militanti dell’Isis hanno realizzato le stragi in Europa per indurre i governi europei a cessare i bombardamenti contro le postazioni dell’Isis in Siria. Tutta la documentazione sul terrorismo mostra che è falso che la strage del Bataclan sia stata realizzata per porre fine alle libertà dell’Occidente. Gli attentati dell’Isis e di al Qaeda sono stati concepiti in funzione difensiva, cioè per arrestare l’occidentalizzazione dell’Islam e non per promuovere l’islamizzazione dell’Europa. I musulmani non odiano l’Occidente; odiano le bombe che l’Occidente sgancia su di loro. Hamas non ha concepito la strage del 7 ottobre per permettere alla Palestina di prendere il sopravvento sull’Occidente, ma per porre fine al sopravvento dell’Occidente sulla Palestina, dove una minoranza occidentale domina una maggioranza musulmana ridotta in condizioni inumane. Viviamo nella menzogna e nel sonno della ragione. La tesi dell’odio dell’Islam contro l’Occidente è stata elaborata per nascondere l’odio dell’Occidente contro l’Islam e giustificare il massacro dei bambini musulmani in Iraq e a Gaza. Nel 1996, Lesley Stahl chiese a Madeleine Albright: “Le sanzioni americane hanno causato la morte di 500.000 bambini iracheni, più della bomba atomica. Ne è valsa la pena?”. Albright, segretaria di Stato americano nel 1997, rispose: “Sì, ne è valsa la pena”. Se la Casa Bianca ritiene lecito causare la morte di mezzo milione di bimbi iracheni, perché dovrebbe trovare illecito contribuire all’uccisione di un milione di bimbi palestinesi?

“Quando i barbari erano all’Ovest”, testo di Ugo Cardinale pubblicato su “il Fatto Quotidiano” del 30 di novembre ultimo: (…). La storia millenaria del mondo che noi ci rappresentiamo è stata segnata fin dall’origine dallo scontro di civiltà tra Greci e barbari che ha visto l’Occidente rivendicare la sua superiorità sull’Oriente. Una superiorità attribuita alla costituzione politica, all’ordine, all’intelligenza, contro l’autocrazia, il disordine e il caos informe dell’‘altro’. La storia dello scontro ideologico tra due sistemi di valori è cominciata e si è snodata sulle rive dell’Ellesponto dalla guerra di Troia alle guerre persiane, rappresentate per la prima volta nella tragedia I Persiani di Eschilo. Ed è continuata come perpetua inimicizia nei secoli fino al trionfo di Alessandro e ancora dopo nello scontro che perdura tuttora tra mondo ebraico-cristiano e mondo islamico. Ma la sconfitta di Serse, presentata come vittoria della democrazia contro l’autocrazia, rivelava una lettura pregiudiziale dell’altro. Gli imperatori persiani, tra cui Ciro il grande, rappresentato anche nella Bibbia come liberatore degli Ebrei e tollerante nei confronti dei popoli vinti, e il popolo persiano non potevano essere solo autocrati dominatori su una massa amorfa di schiavi. Le fonti restituite, comprese le iscrizioni, l’arte e le recenti scoperte archeologiche in Iran dello studioso LLoyd LLewellyn-Jones potranno aiutare la ricerca della verità e dar corpo a un’autentica “versione persiana” di questo straordinario primo impero dell’antichità. Allargando lo sguardo alla vastità dell’Oriente, le coordinate si perdono e la cultura greca, presentata nel corso dell’Ottocento come “un miracolo”, non appare più come un unicum. Certamente la filosofia greca diede un contributo importante allo sviluppo del Logos nella storia occidentale, ma che cosa la distingue dalla saggezza orientale? Gli stessi filosofi greci si riconoscevano debitori di una civiltà millenaria più antica. Si può parlare allora di “comune lascito dell’“età assiale” o di “miracolo greco”? Di età assiale ha parlato per primo nel 1949 Karl Jaspers e da qualche decennio se ne discute: un arco di tempo che va dall’800 al 200 a.C., in cui sono sorte contemporaneamente diverse tradizioni religiose e filosofiche: in Cina con Confucio, in India con Buddha, in Iran con Zaratustra, nel contesto ebraico con Geremia, Isaia ed Elia, per non parlare dei greci. Perciò in questo quadro sfaccettato anche la storia non appare diretta linearmente, ma sembra ruotare intorno al medesimo asse. Accanto alla discussione sulla filosofia greca si possono quindi considerare aspetti di questa saggezza orientale, entrata tangenzialmente in Occidente, come gli editti del principe indiano Ashoka, scritti in pracrito, aramaico e greco, ritrovati incisi su pilastri, massi e caverne in Afghanistan, Bangladesh, India, Nepal e Pakistan, precetti ispirati al buddismo. O il manuale sull’Arte della guerra o meglio del conflitto di Sunzi, un classico di strategia militare, la più importante opera dell’antichità cinese, che è anche uno dei più raffinati e influenti manuali di strategia politica e sociale, di attualità sconcertante. Ma per lo più quel mondo del “sole che sorge” restava avvolto nella leggenda, alimentando il mito o il pregiudizio dell’autoctonia della città simbolo della Grecia: Atene; un modo per autocelebrarsi e rafforzare la contrapposizione tra se stessi e i barbaroi. E la barbarie era soprattutto rappresentata nell’ethos tragico delle donne, che si manifesta in alcune tragedie di Eschilo e di Euripide. Ma nella rappresentazione dell’altro come barbaro, forma onomatopeica che mima la balbuzie, c’è una certa arroganza che trascura millenni di civiltà orientale, come quella indiana e cinese, coltivata senza ambizioni di espansione militare. Un mondo che resterà lontano e si aprirà lentamente allo sguardo dell’Occidente soprattutto attraverso le vie del commercio di un prodotto raffinatissimo e prezioso come la seta, veicolo di incontri di culture. Un reale incontro tra culture fu invece il risultato del sogno ambizioso di Alessandro Magno, il sogno di unire Oriente e Occidente, risolto rapidamente col taglio del nodo di Gordio, ma diventato realtà duratura soprattutto con la nascita della cultura ellenistica in cui la lingua greca, divenuta koiné, veicolò le varie culture del vicino Oriente. La nuova città Alessandria in Egitto e la sua Biblioteca furono al centro di incontri, ma anche di scontri tra culture e religioni dell’Oriente. Fu in quei luoghi che iniziò la traduzione in greco dell’Antico Testamento scritto in ebraico, che divenne nota come “Bibbia dei Settanta”; ma Alessandria fu anche teatro del primo pogrom della storia, testimoniato con parole toccanti dall’ebreo Filone. E in Alessandria si consumò il femminicidio di Ipazia, vittima del fanatismo e dell’invidia, di cui ha ricostruito “la vera storia” Silvia Ronchey. Ma le categorie di Oriente e Occidente sono diventate sempre più vaghe e ambivalenti da quando una religione d’Oriente come quella cristiana è diventata valore identitario in Occidente. Scontro o incontro? “Che cos’hanno in comune Atene e Gerusalemme?”: (…). La religione cristiana, assimilando anche la cultura greco-romana, si impose in Occidente con Costantino che spostò la capitale dell’Impero romano a Costantinopoli, su quelle rive dell’Ellesponto che costituivano l’avamposto dell’Oriente. E lì, dopo Teodosio e la divisione dell’impero di Roma, si affermò quell’Impero romano che sarebbe sopravvissuto mille anni di più dell’Impero romano d’occidente. E che avrebbe mantenuto quella raffinata cultura greco-romana, che in Occidente si era perduta e trasformata nei regni romano-germanici fino alla nascita del Sacro romano impero carolingio. Maometto e Carlo Magno era il titolo del libro di Pirenne dedicato alla storia del primo incontro/scontro tra Islam e Impero carolingio. Quell’incontro ebbe momenti di pacifica convivenza, produttiva di risultati culturali importanti, come il ritorno in Occidente del pensiero di Aristotele mediato dalla cultura araba, ma col tempo ripropose il cliché dello scontro di civiltà iniziato con le Crociate. Uno scontro che riuscì anche a rimescolare le carte nei rapporti tra Oriente e Occidente, come quando la quarta crociata, promossa dalla piccola nobiltà franca e da Venezia, fece apparire i crociati come veri barbari agli occhi della coltissima principessa bizantina Anna Comnena. Al punto che si poté dire in seguito, a proposito della successiva caduta di Costantinopoli a opera dei Turchi ottomani: “Meglio il turbante turco che la tiara latina”. Un vero capovolgimento dell’immagine tradizionale dell’Oriente e dell’Occidente, due categorie ambigue e ambivalenti che riflettono le faglie dell’Europa, (…). Ma, al di là delle faglie che hanno prodotto profonde fratture nell’Occidente, è possibile un futuro multipolare di “convivenza tra identità diverse”, come auspica Daniele Segre? O “nessun nuovo ordine oggi è possibile”, come conclude pessimisticamente Lucio Caracciolo?

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