“Alberi/Sete”. 2 “Più lontano dell’ultima volta”, testo di Davide Longo pubblicato sullo stesso numero del periodico “Green&Blue”: Lo segue da due giorni. L’ha chiamato Casper, perché non sa che faccia abbia e perché la prima notte ha sognato suo nonno. L'ultima cosa che aveva fatto con lui era stato vedere al cinema il film Casper. Il nonno si era lamentato perché il Casper degli anni '40, quello dei fumetti, era furbo mentre quello del film un babbeo. Due giorni dopo era morto per un colpo di calore nel parcheggio dove si era perso. Casper cammina di notte, fino a quando il cielo schiara, poi sosta al riparo di una roccia o cambia versante per portarsi all'ombra. Nelle ore più calde non si muove, ma nemmeno si nasconde o nasconde cosa porta con se. Lo può vedere con il binocolo mentre al crepuscolo accende il fuoco per bollire quanto gli servirà di notte. Sembrerebbe incauto e disarmato, come il Casper del film, ma potrebbe essere sveglio come quello dei fumetti: una sera, infatti, hanno sentito della musica provenire da una casa cantoniera e Casper, anche se non aveva la cera per tapparsi le orecchie, ha aggirato quelle sirene. Ha un turbante che gli copre la testa e la faccia. Non si può capire quanti anni ha, cosa guarda e cosa pensa. Per questo lo segue da giorni, cercando di intuire dov'è diretto. Se è diretto da qualche parte.
Oggi, quando il sole è sorto, Casper " non si è fermato. Segno che una meta ce l'ha e spera di arrivarci prima che la terra bruci e la sete diventi insopportabile. Infatti dopo un'ora la vede. E una casa a mezza montagna in cemento e ferro. Quando è stata costruita si poteva dire che deturpasse il bosco, ma oggi gli alberi sono spogli e il paesaggio si è adeguato a lei. La casa è a meno di un chilometro. Casper potrebbe arrivarci in quindici minuti, anche con il suo passo lento, il sacco pesante sulle spalle. Invece si ferma e al calare della luce accende un fuoco. Dalla casa qualcuno risponde: il comignolo fuma. Dentro c'è qualcuno che aspetta. Casper comincia a spegnere il falò con la terra. A parte la casa cantoniera, le sue mosse finora sono state stupide e casuali, da Casper del film. Ma potrebbe essere un tranello, avere un piano, un'arma da fuoco, mentre lui ha soltanto il coltello. Si avvicina cauto. Se vedesse una pistola potrebbe fingersi un viandante o fare marcia indietro. Casper però continua a buttare terra sul fuoco, dandogli le spalle. Non smette di guardare la casa nemmeno quando gli passa il coltello sotto il mento da destra a sinistra, con una pressione sufficiente ad aprire. Non una parola, un gemito. Cade in avanti, la testa nel piccolo cerchio di cenere tiepida. Potrebbe voltarlo a questo punto, vedere che faccia ha questo Casper del film, ma importa poco. Sa che un giorno troverà un Casper dei fumetti e allora la testa nella cenere sarà la sua. Deve accadere e accadrà, ma non oggi. Apre il sacco dove c'è la tanica da cinque litri piena per tre quarti. Svita il tappo e annusa. Non sente alcun odore, il che è un bene. La notte dopo entra in una casa isolata appena più decente di quella dove qualcuno attendeva Casper. - Sei tu, papà? - chiede la bambina, anche se l'ha già riconosciuto dall'odore. Un tempo si sarebbe detto cattivo odore ma, da quando non si lavano, non esistono più profumo e puzza, solo odori. Adesso capirebbero i cani, se non li avessero mangiati tutti. - Stai bene? - chiede lui. La bambina è seduta sul vecchio divano. - Sì - risponde. Lui tira le tende e accende la lampada. Ha imparato a muoversi al buio come lei, ma quello che deve fare è troppo delicato per lasciarlo al tatto. Usa la stufa che la bambina aveva acceso. Dalla tanica versa l'acqua nella pentola e la copre. Le tiene la mano nel buio fino a che non sentono bollire. Bevono. Lei a piccoli sorsi perché scotta. Lui in fretta, perché non beve da ventisei ore. - Avevo paura - dice la bambina - Sei dovuto andare così lontano per trovare una sorgente? - Sì - dice lui - più lontano dell'ultima volta.
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