Sopra. "Etna", elaborazione da una foto di Francesco Quagliozzi.
“Acqua”. “Un incanto che scompare”
di Matteo Righetto pubblicato sullo stesso numero del periodico “Green&Blue”:
Un'antica leggenda dolomitica narra di un'immensa distesa di prati posti proprio dove
ora sorge la Marmolada. Come si sa, un tempo si seguiva il ritmo delle stagioni e così tutte le estati gli abitanti della Val
di Fassa erano impegnati nello sfalcio
dei prati in quota. Ognuno aveva dei compiti precisi. Chi falciava, chi si
caricava il fieno sulle spalle e chi lo ammassava nei piccoli "tabià da
mont", i fienili di alta montagna. L'estate scorreva veloce e il cinque
agosto, festa della Madonna della Neve, tutta la gente cessò la fienagione,
scese dall'alpeggio e si recò alla processione. Tutti tranne una vecchia
contadina la quale, visto il bel tempo e temendo che potesse presto guastarsi,
pensò che per una volta sarebbe stato meglio continuare a falciare i prati
anziché recarsi alla funzione religiosa. Giù a valle la comunità disapprovò la
sua scelta egoistica, ma lei se ne stette lassù a fare fieno ripetendo: «Madona de la Nef de cà, Madona de la Nef de la, e mi ei el fen ite tabià!».
Madonna della neve di qua, Madonna della
neve di là, e io intanto ho il fieno nel tabià! Fu un triste presagio per l'intera comunità così devota, e infatti il
tempo cambiò rapidamente. L'aria si fece molto fredda, il cielo si ricoprì di
nuvole e, poiché nessun fiocco di neve cade mai nel posto sbagliato, presto
nevicò così tanto che un enorme e pesante manto bianco ricoprì l'intera montagna.
In pochi istanti la vecchia finì sepolta sotto una pesante coltre che non si
sciolse mai più dando così origine al ghiacciaio perenne della Marmolada, che nelle tradizioni ladine da quel giorno
rappresenta un'eterna riserva d'acqua a garanzia di prosperità, ricchezza e
speranza per le generazioni future. Una leggenda, questa, che mi fa sempre
tornare alla mente Scott Momaday, nativo americano premio Pulitzer 1969 il quale nel suo memoir "Custode della terra" scrisse:
«Le acque parlano del tempo. Da sempre i fiumi scorrono sulla terra e placano
la sua sete. Senza acqua appassiremmo e moriremmo, e con noi tutto ciò che
conosciamo». Dalla spiritualità Kiowa e Navajo alle saghe ladine,
l'interpretazione che gli antichi davano ai ghiacciai e alla loro riserva
d'acqua sostanzialmente non cambia. Comuni sono la magia, l'incanto delle
tradizioni orali di un'etica della terra che si è fatta letteratura universale.
Non è forse questo un richiamo ancestrale a farsi custodi dell'eterna bellezza
che ci circonda? Non è una meravigliosa testimonianza di appartenenza al
paesaggio naturale e di unione indissolubile tra uomo e creato? Leggenda a
parte, purtroppo oggi il ghiacciaio della Marmolada non esiste praticamente più
e di conseguenza ha cessato di vivere anche quell'eterna prosperità evocata
dalla saggezza della letteratura orale degli antichi. L'aumento della temperatura
minima invernale sulla Marmolada è cresciuto di 2 gradi nel corso di
trentacinque anni di osservazioni scientifiche e ora il ghiacciaio è grande un
decimo rispetto a un secolo fa: si è ridotto di più del 70% in superficie e di
oltre il 90% in volume. Si tratta di un fenomeno in progressiva accelerazione,
sostengono i glaciologi, tanto che in meno di mezzo secolo la sola fronte
centrale è arretrata di più di seicento metri risalendo in quota di altri
trecento. Tra meno di vent'anni il maestoso manto bianco della Marmolada sarà
scomparso del tutto e con esso se ne andrà per sempre una buona parte
dell'identità ladina che da tempi immemori vive ai piedi di questa montagna
sacra. Perché purtroppo è proprio questo che ci si ostina a non comprendere. Che
le sue rocce siamo noi, la sua neve è la nostra anima. E il respiro della Terra
è il nostro respiro.
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