"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi

"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi
"Il bruco" (2017). Nikon Coolpix P900. Foto macro. Stato larvale della falena diurna "Macroglossum stellatarum" volgarmente detta "sfinge colibrì".

venerdì 8 dicembre 2023

Lamemoriadeigiornipassati. 47 Edward W. Said: «Erodoto era noto come il "padre delle menzogne": nelle sue opere abbelliva a tal punto la verità fino a nasconderla».


Dicembre2023aGaza”. “Israele-Palestina, la pace possibile” tratto dal volume di recente pubblicazione “La pace possibile” – “Il Saggiatore Editore”, pagg. 352, euro 24 – di Edward W. Said – di origini palestinesi, professore alla “Columbia University” di New York, deceduto a New York nell’anno 2003 -, profetico scritto apparso per la prima volta su “Al-Ahram” il 31 di gennaio e poi ancora il 6 di febbraio dell’anno 2002 e su “Al-Hayat” il 7 di marzo dell’anno 2002, ed oggi, 8 di dicembre 2023, riportato su “il Fatto Quotidiano”: La storia è senza pietà. Non ha leggi contro la sofferenza e la crudeltà, né un meccanismo di bilanciamento che restituisca a una popolazione che ha subìto tanti torti il posto che le spetta nel mondo. Per questo motivo le visioni cicliche della storia mi sono sempre parse viziate, come se un giro di ruota potesse trasformare il male attuale in bene futuro. Sono sciocchezze: quando la ruota della sofferenza gira ne deriva ulteriore sofferenza, non certo una via verso la salvezza. Ma l'aspetto più frustrante della storia è che tante cose non vengono colte dal linguaggio, sfuggono all'attenzione e alla memoria. Gli storici fanno ricorso a metafore e immagini poetiche per riempire i vuoti; per questo il primo grande storico, Erodoto, era noto come il "padre delle menzogne": nelle sue opere abbelliva a tal punto la verità fino a nasconderla, che la sua grandezza di scrittore dipende più dal vigore della sua immaginazione che dalla ricchezza di eventi narrati. (...). Mentre i media principali e il governo si fanno eco a vicenda sul Medio Oriente, è possibile accedere a opinioni alternative tramite Internet, il telefono, i canali satellitari e la stampa locale araba ed ebraica. Se consideriamo però le fonti di informazione più immediatamente accessibili all'americano medio - travolto da una tempesta di immagini e servizi che per quanto riguarda gli affari esteri sono quasi completamente ripuliti di tutto ciò che non rientra nella linea patriottica fissata dal governo - il quadro è tale da lasciare increduli. L'America combatte contro il male del terrorismo; l'America è buona e chi la critica è malvagio e antiamericano; ogni resistenza contro l'America, la sua politica, le sue armi e le sue idee rasenta di per sé il terrorismo. Altrettanto incredibile, secondo me, è sentire autorevoli esperti di politica estera americani che si lamentano di non riuscire a capire perché il mondo in generale (e gli arabi e i musulmani in particolare) non voglia accettare il messaggio americano, perché il resto del pianeta - l'Europa, l'Asia, l'Africa e l'America Latina- insista a criticare gli Stati Uniti. (...). Le parole non bastano per spiegare come un Segretario di Stato americano - che presumibilmente è al corrente di tutti i fatti - possa in tutta serietà accusare il leader palestinese Yasser Arafat di non fare abbastanza contro il terrorismo e di aver comprato cinquanta tonnellate di anni per difendere la sua popolazione, mentre a Israele viene fornito a titolo gratuito quanto di più moderno e letale l'arsenale americano è in grado di offrire (...). Nel frattempo Israele tiene Arafat rinchiuso nel suo quartier generale di Ramallah e il suo popolo vive in totale reclusione, i suoi leader vengono assassinati, gli innocenti soffrono la fame, i malati muoiono e l'intera esistenza è del tutto paralizzata: nonostante tutto ciò, i palestinesi sono accusati di terrorismo. La realtà dei 35 anni di occupazione militare esiste, ma è scivolata silenziosamente fuori dall'orizzonte dei media e del governo americani. (...). Ieri ho sentito un funzionario del ministero della Difesa (un termine che si fatica a mandare giù) israeliano che rispondeva alle domande di un cronista americano sulla distruzione di case a Rafah: erano case vuote, ha risposto senza esitazione, covi di terroristi utilizzati per uccidere cittadini israeliani; dobbiamo difendere i cittadini israeliani dal terrorismo palestinese. Il giornalista non ha nemmeno fatto cenno all' occupazione, né ha ricordato che i "cittadini" a cui si riferiva sono coloni. E le miriadi di poveri palestinesi senza tetto mostrate di sfuggita dai media statunitensi dopo che i bulldozer (di fabbricazione americana) avevano compiuto la loro opera di demolizione erano già completamente dimenticate. L'assenza di una risposta araba è un disonore e una vergogna che va oltre l'atteggiamento già avvilente tenuto negli ultimi cinquant'anni dai nostri governi. (...). I leader arabi hanno una tale paura di offendere gli Stati Uniti che sono disposti ad accettare non solo l'umiliazione dei palestinesi ma anche la propria? E in nome di che cosa? Solo per poter andare avanti con la corruzione, la mediocrità, l'oppressione. Che affare meschino hanno concluso, tra la promozione dei loro interessi ristretti e la tolleranza degli americani! Non stupisce che oggi sia difficile trovare un arabo nel cui animo il termine "regime" evochi altro che un disprezzo ironico, un'amarezza profonda e (a parte la cerchia dei consiglieri e degli adulatori) un senso rabbioso di alienazione. (...). Penso proprio che l'aggettivo, "malvagio" (shar) definisca con precisione il modo in cui viene trattata l'esperienza di sofferenza imposta da Israele a tutti i palestinesi in Cisgiordania e a Gaza. Il fatto che non la si possa descrivere o raccontare in modo adeguato, che gli arabi non facciano e non dicano nulla per appoggiare la lotta, che gli Stati Uniti siano così spaventosamente ostili, che gli europei siano sostanzialmente inerti (a parte la dichiarazione recente, che però non prevede conseguenze pratiche), tutto ciò ha spinto molti di noi alla disperazione, ne sono consapevole, risultato al quale peraltro mi-ravano i politici israeliani e i loro amici americani. Persone incuranti a cui non importa più niente, un'esistenza talmente infelice da rendere desiderabile la rinuncia alla vita stessa: ecco lo stato di disperazione auspicato da Sharon. È stato eletto per ottenere questo risultato, e se la sua politica fallirà perderà l'incarico; allora subentrerà Benjamin Netanyahu che tenterà di portare a termine lo stesso compito spaventoso e disumano (e in ultima analisi suicida). Di fronte a questa situazione, la passività e la rabbia impotente - e anche una sorta di amaro fatalismo - sono risposte sbagliate sul piano intellettuale e politico; ne sono sinceramente convinto. Gli esempi abbondano. I palestinesi non si sono lasciati intimidire e non hanno ceduto, segno di una grande forza di volontà e fermezza. Sotto questo punto di vista, tutte le misure di Israele verso la popolazione palestinese e le umiliazioni costanti che le ha inflitto si sono dimostrate inefficaci; come ha detto uno dei loro generali, cercare di porre fine alla resistenza assediando i palestinesi è come tentare di prosciugare il mare con il cucchiaio. Detto questo, credo anche che nella resistenza dobbiamo andare oltre la pura ostinazione diventando creativi, ovvero superando i metodi vecchi e logori che servono a sfidare gli israeliani, ma non a favorire gli interessi palestinesi. (...). È giusto prendere atto della dichiarazione europea a sostegno dell'Autorità palestinese, ma è più importante dire qualcosa sui riservisti israeliani che hanno rifiutato di prestare servizio in Cisgiordania e a Gaza. Finché non ci riconosceremo nella resistenza israeliana all'oppressione israeliana e non cercheremo di operare di concerto rimarremo bloccati al punto di partenza. (...). Perché non scegliere di dialogare con i gruppi israeliani che si sono opposti alle demolizioni di case, all'apartheid, agli omicidi o a qualche altra manifestazione brigantesca della prepotenza israeliana? L'occupazione non potrà mai essere sconfitta se palestinesi e israeliani non uniranno le forze in azioni specifiche e concrete. (...).

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