“Dicembre2023aGaza”. “Israele-Palestina, la pace possibile” tratto dal volume di
recente pubblicazione “La pace possibile” – “Il Saggiatore
Editore”, pagg. 352, euro 24 – di Edward W. Said – di origini palestinesi, professore
alla “Columbia University” di New York, deceduto a New York nell’anno 2003 -,
profetico scritto apparso per la prima volta su “Al-Ahram” il 31 di gennaio e
poi ancora il 6 di febbraio dell’anno 2002 e su “Al-Hayat” il 7 di marzo dell’anno
2002, ed oggi, 8 di dicembre 2023, riportato su “il Fatto Quotidiano”: La
storia è senza pietà. Non ha leggi contro la sofferenza e la crudeltà, né un
meccanismo di bilanciamento che restituisca a una popolazione che ha subìto
tanti torti il posto che le spetta nel mondo. Per questo motivo le visioni
cicliche della storia mi sono sempre parse viziate, come se un giro di ruota
potesse trasformare il male attuale in bene futuro. Sono sciocchezze: quando la
ruota della sofferenza gira ne deriva ulteriore sofferenza, non certo una via
verso la salvezza. Ma l'aspetto più frustrante della storia è che tante cose
non vengono colte dal linguaggio, sfuggono all'attenzione e alla memoria. Gli
storici fanno ricorso a metafore e immagini poetiche per riempire i vuoti; per
questo il primo grande storico, Erodoto, era noto come il "padre delle
menzogne": nelle sue opere abbelliva a tal punto la verità fino a
nasconderla, che la sua grandezza di scrittore dipende più dal vigore della sua
immaginazione che dalla ricchezza di eventi narrati. (...). Mentre i media
principali e il governo si fanno eco a vicenda sul Medio Oriente, è possibile
accedere a opinioni alternative tramite Internet, il telefono, i canali
satellitari e la stampa locale araba ed ebraica. Se consideriamo però le fonti
di informazione più immediatamente accessibili all'americano medio - travolto
da una tempesta di immagini e servizi che per quanto riguarda gli affari esteri
sono quasi completamente ripuliti di tutto ciò che non rientra nella linea
patriottica fissata dal governo - il quadro è tale da lasciare increduli.
L'America combatte contro il male del terrorismo; l'America è buona e chi la
critica è malvagio e antiamericano; ogni resistenza contro l'America, la sua
politica, le sue armi e le sue idee rasenta di per sé il terrorismo.
Altrettanto incredibile, secondo me, è sentire autorevoli esperti di politica
estera americani che si lamentano di non riuscire a capire perché il mondo in
generale (e gli arabi e i musulmani in particolare) non voglia accettare il
messaggio americano, perché il resto del pianeta - l'Europa, l'Asia, l'Africa e
l'America Latina- insista a criticare gli Stati Uniti. (...). Le parole non
bastano per spiegare come un Segretario di Stato americano - che
presumibilmente è al corrente di tutti i fatti - possa in tutta serietà
accusare il leader palestinese Yasser Arafat di non fare abbastanza contro il
terrorismo e di aver comprato cinquanta tonnellate di anni per difendere la sua
popolazione, mentre a Israele viene fornito a titolo gratuito quanto di più
moderno e letale l'arsenale americano è in grado di offrire (...). Nel
frattempo Israele tiene Arafat rinchiuso nel suo quartier generale di Ramallah
e il suo popolo vive in totale reclusione, i suoi leader vengono assassinati, gli
innocenti soffrono la fame, i malati muoiono e l'intera esistenza è del tutto
paralizzata: nonostante tutto ciò, i palestinesi sono accusati di terrorismo.
La realtà dei 35 anni di occupazione militare esiste, ma è scivolata
silenziosamente fuori dall'orizzonte dei media e del governo americani. (...).
Ieri ho sentito un funzionario del ministero della Difesa (un termine che si
fatica a mandare giù) israeliano che rispondeva alle domande di un cronista
americano sulla distruzione di case a Rafah: erano case vuote, ha risposto
senza esitazione, covi di terroristi utilizzati per uccidere cittadini
israeliani; dobbiamo difendere i cittadini israeliani dal terrorismo
palestinese. Il giornalista non ha nemmeno fatto cenno all' occupazione, né ha
ricordato che i "cittadini" a cui si riferiva sono coloni. E le
miriadi di poveri palestinesi senza tetto mostrate di sfuggita dai media
statunitensi dopo che i bulldozer (di fabbricazione americana) avevano compiuto
la loro opera di demolizione erano già completamente dimenticate. L'assenza di
una risposta araba è un disonore e una vergogna che va oltre l'atteggiamento
già avvilente tenuto negli ultimi cinquant'anni dai nostri governi. (...). I
leader arabi hanno una tale paura di offendere gli Stati Uniti che sono disposti
ad accettare non solo l'umiliazione dei palestinesi ma anche la propria? E in
nome di che cosa? Solo per poter andare avanti con la corruzione, la
mediocrità, l'oppressione. Che affare meschino hanno concluso, tra la
promozione dei loro interessi ristretti e la tolleranza degli americani! Non
stupisce che oggi sia difficile trovare un arabo nel cui animo il termine
"regime" evochi altro che un disprezzo ironico, un'amarezza profonda
e (a parte la cerchia dei consiglieri e degli adulatori) un senso rabbioso di
alienazione. (...). Penso proprio che l'aggettivo, "malvagio" (shar)
definisca con precisione il modo in cui viene trattata l'esperienza di
sofferenza imposta da Israele a tutti i palestinesi in Cisgiordania e a Gaza.
Il fatto che non la si possa descrivere o raccontare in modo adeguato, che gli
arabi non facciano e non dicano nulla per appoggiare la lotta, che gli Stati
Uniti siano così spaventosamente ostili, che gli europei siano sostanzialmente
inerti (a parte la dichiarazione recente, che però non prevede conseguenze
pratiche), tutto ciò ha spinto molti di noi alla disperazione, ne sono
consapevole, risultato al quale peraltro mi-ravano i politici israeliani e i
loro amici americani. Persone incuranti a cui non importa più niente,
un'esistenza talmente infelice da rendere desiderabile la rinuncia alla vita
stessa: ecco lo stato di disperazione auspicato da Sharon. È stato eletto per
ottenere questo risultato, e se la sua politica fallirà perderà l'incarico;
allora subentrerà Benjamin Netanyahu che tenterà di portare a termine lo stesso
compito spaventoso e disumano (e in ultima analisi suicida). Di fronte a questa
situazione, la passività e la rabbia impotente - e anche una sorta di amaro
fatalismo - sono risposte sbagliate sul piano intellettuale e politico; ne sono
sinceramente convinto. Gli esempi abbondano. I palestinesi non si sono lasciati
intimidire e non hanno ceduto, segno di una grande forza di volontà e fermezza.
Sotto questo punto di vista, tutte le misure di Israele verso la popolazione palestinese
e le umiliazioni costanti che le ha inflitto si sono dimostrate inefficaci;
come ha detto uno dei loro generali, cercare di porre fine alla resistenza
assediando i palestinesi è come tentare di prosciugare il mare con il
cucchiaio. Detto questo, credo anche che nella resistenza dobbiamo andare oltre
la pura ostinazione diventando creativi, ovvero superando i metodi vecchi e
logori che servono a sfidare gli israeliani, ma non a favorire gli interessi
palestinesi. (...). È giusto prendere atto della dichiarazione europea a
sostegno dell'Autorità palestinese, ma è più importante dire qualcosa sui
riservisti israeliani che hanno rifiutato di prestare servizio in Cisgiordania
e a Gaza. Finché non ci riconosceremo nella resistenza israeliana all'oppressione
israeliana e non cercheremo di operare di concerto rimarremo bloccati al punto
di partenza. (...). Perché non scegliere di dialogare con i gruppi israeliani
che si sono opposti alle demolizioni di case, all'apartheid, agli omicidi o a
qualche altra manifestazione brigantesca della prepotenza israeliana?
L'occupazione non potrà mai essere sconfitta se palestinesi e israeliani non
uniranno le forze in azioni specifiche e concrete. (...).
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