"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi

"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi
"Il bruco" (2017). Nikon Coolpix P900. Foto macro. Stato larvale della falena diurna "Macroglossum stellatarum" volgarmente detta "sfinge colibrì".

martedì 5 dicembre 2023

Memoriae. 100 Edgar Morin: «Il problema dell’avventura umana ci pone il quesito: che cos’è l’umano?».


“Che cos’è l’uomo?” di Enzo Bianchi, pubblicato sul quotidiano “la Repubblica” del 20 di novembre ultimo: Per la prima volta nella storia l’umanità è costretta a uscire dalla logica della guerra tra i popoli e del depauperamento incondizionato dell’ambiente. Sembra che possa iniziare un’inversione di tendenza con l’assunzione di consapevolezza che così non si può andare avanti, pena la distruzione dell’umanità e la desolazione della terra. Se negli ultimi decenni avevamo constatato in maniera crescente di procedere a grandi passi verso la barbarie (…), sembra ora emergere una reazione che non è ancora quell’“insurrezione delle coscienze” invocata da Pierre Rabhi, ma è un ribadire nuovamente il bisogno urgente di umanizzazione. Sono significativi, a questo proposito, i titoli di alcuni saggi filosofici e sociologici che chiedono di umanizzare la modernità, la politica, la società... Di fronte alle crisi globali che si sono abbattute su di noi, come affermare un umanesimo che sia un obiettivo perseguito dalle diverse umanità che sono parte di un tessuto della vita, della comunità globale? La domanda seria, urgente che dobbiamo porci non è su Dio ma sul mondo umano: “Che cos’è l’umano?”. Domanda in realtà antica, che significativamente ritroviamo all’inizio e alla fine del Salterio ebraico: “Che cos’è l’uomo?”. Dobbiamo rifarci queste domande soprattutto oggi, perché l’umano è schiacciato tra l’inumano e il post-umano. L’inumano lo conosciamo bene come possibilità di depredazione e negazione dell’umano stesso: quando l’uomo è ridotto a res, cosa, umiliato e ridotto al nulla, stravolto dall’odio e dalla violenza, misconosciuto nei migranti che invocano solo compassione, l’inumano regna e nega il volto alla persona. Certamente resta sempre un impegno il discernimento del disumano anche nella nostra vita quotidiana, nei rapporti personali tra familiari e conviventi, là dove viene a mancare la parola indirizzata, il rispetto che sa riconoscere l’altro, la mitezza che può assicurare la pazienza reciproca. Tuttavia oggi l’umano è sfidato anche dal post-umano, da quel nuovo stadio evolutivo dell’umanità nel quale l’intreccio tra biologia e tecnologia diventa sempre più onnipresente. Dovremmo nutrire molta trepidazione di fronte a queste nuove opportunità che potrebbero arrivare a negare il corpo per sostituirlo con strutture artificiali munite di elementi di intelligenza umana. All’homo sapiens succederà la macchina sapiens? E questo non è forse segno di un delirio di onnipotenza che vorrebbe essere capace di transumanesimo fino a negare la mortalità? Nutro una tale fiducia nell’umanità da non credere possibile tale deriva e resto convinto che ancora una volta l’homo sapiens saprà rispondere in modo vitale alla domanda che lui solo sa porsi: che cos’è l’uomo? Perché c’è nell’umanità un sigillo che può essere calpestato e negato, ma che è indistruttibile e giace come indistruttibile nel suo profondo: la fraternità. Questa ha la forza di emergere così come la terra dopo l’acqua, il fuoco, il vento, lascia spuntare l’erba e riprendere la vita.

Di seguito iltesto scritto da Edgar Morin per il volume di Mauro Ceruti - professore Ordinario presso l’Università IULM di Milano - “La danza della complessità” – (edito da “Mimesis”, pagg. 428, euro 26) e riportato sul quotidiano “la Repubblica” di oggi, martedì 5 di dicembre 2023, con il titolo “Per un nuovo umanesimo”: (…). L’Europa, focolaio di grandi civiltà e capace di integrare in essa etnie molto diverse, nella sua ambivalenza ha sperimentato due malattie specifiche: la purificazione unificatrice e la sacralizzazione delle frontiere. Dopo la catastrofe delle due Guerre mondiali che l’avevano portata sull’orlo dell’abisso, l’Unione Europea ha permesso l’integrazione polietnica delle piccole nazioni monoetniche e ha teso dunque a eliminare la malattia della purificazione. Inoltre ha prodotto una desacralizzazione delle frontiere. Tuttavia, in Europa oggi appare lo spettro di una nuova purificazione, contro migranti la cui condizione è gravemente minacciata, così come contro migranti impietosamente respinti. E così abbiamo levato la nostra voce contro l’idea di una «fortezza Europa»: tanto più che l’Europa è nata da migrazioni, dalla preistoria fino ai tempi storici; tanto più che il suo «avanzo miserabile» è emigrato nelle Americhe; e tanto più che sono le devastazioni dello sviluppo imposto all’Africa a spingere gli africani proletarizzati a venire in Europa. E abbiamo altresì stigmatizzato l’ultimo ostacolo all’Unione Europea, che viene dagli Stati europei stessi, i quali hanno accettato di abbandonare le loro sovranità economiche, ma resistono all’abbandono delle loro sovranità politiche assolute, allorché i problemi vitali e fondamentali che essi devono affrontare richiedono, per la loro stessa natura, la perdita di questo assolutismo. È in questo contesto che il pensiero complesso di Mauro Ceruti viene in soccorso. Egli mostra, infatti, che il problema essenziale, quello di comprendere il nostro tempo, è un problema matrioska che contiene in sé altri problemi, ciascuno dei quali contiene a sua volta altri problemi… Comprendere il nostro tempo significa infatti comprendere la mondializzazione che trascina l’avventura umana, divenuta planetariamente interdipendente, fatta di azioni e reazioni, in particolare politiche, economiche, demografiche, mitologiche, religiose; significa cercare di interrogare il divenire dell’umanità, che dai motori congiunti scienza/tecnica/economia è spinto verso un “uomo aumentato” ma per nulla migliorato, e verso una società governata da algoritmi, tendente a farsi guidare dall’intelligenza artificiale e, nello stesso tempo, a fare di noi delle macchine banali. Nel contempo, questi stessi motori scienza/tecnica/economia conducono a catastrofi a loro volta interdipendenti: degradazione della biosfera e riscaldamento climatico, che portano a immense migrazioni; moltiplicazione delle minacce mortali con l’incremento delle armi nucleari, delle armi chimiche e con la comparsa dell’arma informatica, capaci di disintegrare le società. Tutto ciò provoca angosce, ripiegamenti su se stessi, deliranti fanatismi. Così incombono, da un lato, l’inumanità del “migliore dei mondi” e, dall’altro, la barbarie di una situazione alla Mad Max, risultante da una mega-catastrofe planetaria. Il problema dell’avventura umana ci pone il quesito: che cos’è l’umano? Ma la natura della nostra propria identità, come Mauro ha continuamente osservato, non è per nulla insegnata nelle nostre scuole, e dunque non è riconosciuta dalle nostre menti. Tutti gli elementi utili per riconoscerla sono dispersi in innumerevoli scienze (comprese le scienze fisiche, poiché noi siamo anche macchine fisiche fatte di molecole a loro volta fatte di atomi) e anche nella letteratura, che nei suoi capolavori rivela le complessità umane. Il problema dell’identità umana include in sé il problema della Natura. Questo è presente in modo vitale non solo nell’ambiente, ma anche all’interno della stessa identità umana, la quale porta in sé il problema della natura a un tempo fisica e cosmica. L’umano non è infatti solo un elemento singolare nel cosmo, porta il cosmo al proprio interno. Non è soltanto un essere singolare nella vita, porta la vita dentro di sé. Così, di passo in passo, l’interrogazione si amplifica e si moltiplica. E così, fin dagli esordi della sua ricerca, Mauro ha mostrato quanto abbiamo bisogno di una conoscenza transdisciplinare, capace di estrarre, assimilare e integrare le conoscenze ancora separate, compartimentate, frammentate. E quanto abbiamo appunto bisogno di un pensiero complesso, cioè capace di legare, di articolare le conoscenze, e non soltanto di giustapporle. Tutta la sua opera è animata dalla preoccupazione di comprendere la complessità umana, cosa che richiede non di isolare l’umano, ma di situarlo nei suoi contesti cosmici, fisici, biologici, sociali, culturali e ormai anche nella comunità di destino planetario. La sua opera ha stimolato un ampio dibattito internazionale in molti domini di ricerca, quali la psicologia clinica, la pedagogia, le scienze cognitive, ma anche le scienze dell’organizzazione, l’architettura, l’antropologia, la sociologia… (…). Mauro Ceruti ha delineato un percorso filosofico che raccoglie la sfida della complessità posta dal nostro tempo; ha delineato una prospettiva antropologica dalla quale l’identità umana emerge come identità evolutiva e irriducibilmente multipla, attraverso l’intreccio di molteplici storie; ha mostrato come il nostro tempo renda ineludibile pensare insieme, e non in opposizione, identità e diversità; ha motivato l’urgenza di una riforma dell’educazione capace di valorizzare le diversità individuali e culturali, e volta nel contempo a integrare la frammentazione dei saperi. Con i suoi scritti pedagogici ha contribuito in maniera significativa alle tre riforme della conoscenza, del pensiero, dell’insegnamento e, soprattutto, ci ha stimolato a tracciare connessioni fra queste tre riforme. E affermando l’urgenza vitale di “educare all’era planetaria”, ha delineato una prospettiva che ci aiuta a orientarci in questa nostra età di mutamenti, prodotti dal vortice della globalizzazione. Una prospettiva che, per la sua originalità, disegna l’orizzonte per pensare la riforma della scuola nel tempo della complessità, in cui tutto è connesso. Il risultato è un’appassionata riflessione sulla condizione sempre più ambivalente dell’umanità contemporanea, di cui, con lucidità e capacità visionaria, ha saputo mettere in evidenza i rischi inediti, ma anche le grandi e altrettanto inedite opportunità. L’idea di fondo della sua filosofia è che l’umanità è costitutivamente incompiuta, anche come specie. E che costitutivamente incompiute e molteplici sono le sue manifestazioni, individuali e culturali. Perciò la sfida per il futuro, in pericolo, dell’umanità è elaborare la coscienza di una “comunità di destino” di tutti i popoli della Terra, nonché di tutta l’umanità con la Terra stessa. Mauro disegna l’orizzonte di un nuovo umanesimo planetario, che potrà nascere solo dall’incontro fra le diverse culture del pianeta, dalla capacità di pensare insieme unità e molteplicità, dalla capacità di connettere le diversità individuali e collettive della specie umana, senza appiattirle e dissolverle, perché solo valorizzando le diverse esperienze umane presenti e passate sarà possibile rigenerare un creativo processo di coevoluzione con il pianeta Terra, nostra unica patria vagante nell’immensità del cosmo. Probabile? No. Possibile? Forse. Nell’immagine della storia delineata da Mauro Ceruti, l’insieme delle possibilità evolutive non è statico e predeterminato: l’universo del possibile si rigenera ricorrentemente, in modo discontinuo e imprevedibile. La storia è anche storia naturale delle possibilità, nella quale nuovi universi di possibilità si producono in coincidenza con le svolte, le discontinuità dei processi evolutivi. Mauro pensa, come Blaise Pascal, che l’identità umana è auto-trascendenza: «l’homme passe infiniment l’homme”. Perciò (…) scrive «l’identità della specie umana contiene la possibilità, per quanto improbabile, della emergenza di una nuova umanità. La condizione umana nell’età globale ha in sé la possibilità di una vera universalizzazione del principio umanistico. E trasformare il dato di fatto dell’interdipendenza planetaria nel processo di costruzione di una “civiltà” della Terra, promuovendo un’evoluzione verso la convivenza e la pace, è il compito difficile e addirittura improbabile, ma allo stesso tempo creativo e ineludibile, che ci è posto dalla sfida della complessità, dalla sfida di far nascere l’umanità planetaria. (…).


 

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