“StorieperilNatale”. “La nascita di Gesù è la sfida della vita”, testo di Massimo Recalcati - psicoterapeuta di scuola Lacaniana - pubblicato sul quotidiano “la Repubblica” di ieri, 24 di dicembre 2023: Il Natale celebra la festa della nascita di Gesù, (…) che si fa uomo, che si inabissa nella vita infranta che è la nostra vita, la vita di tutti gli esseri umani. Il messaggio cristiano non è, infatti, quello di abbandonare questa vita per raggiungere un’altra vita, una vita che non conoscerebbe né nascita né morte, una vita senza tempo, perfettamente compiuta, eterna, sottratta all’inferno di questo mondo. Piuttosto è quello di continuare a nascere in questa vita, di nascere nuovamente, di non smettere mai di nascere. Si tratta di accogliere sino in fondo la sfida della vita, della sua insicurezza, della sua mancanza, del suo essere vita infranta. (…): sin dalla sua nascita l’essere umano incontra la sua vulnerabilità e la sua insufficienza. La vita cristiana non è vita assicurata, protetta, garantita, ma vita che fa esperienza dell’abbandono, della perdita, dello smarrimento. L’uomo di fede non si risparmia, non è soggiogato da una pulsione securitaria, non tende a fuggire dalle asperità della vita, ma si trova sempre gettato, come Paolo ha sottolineato con forza, nella “ristrettezza”, nella “persecuzione”, nella “fame”, nella “nudità”, nel “pericolo” (Rm, 8, 35). Nell’evento della nascita di Gesù il divino si abbassa e si svuota di ogni potere sovrannaturale per farsi uomo. È l’umiltà della stalla, della paglia, della mangiatoia, del fiato degli animali che riscalda il bambino venuto dal cielo. È lo sradicamento di una vita che non ha casa, alloggio, residenza, titoli, potere. Come se venisse qui ripresa radicalmente la divisione che attraversa la creatura umana descritta dalla Torah. (…). La vita si afferma nella sua nuda forza e, nello stesso tempo, nella sua altrettanto nuda inermità. È questo che ogni volta ci meraviglia nello spettacolo della nascita. Accade per un gattino, come per un fiore o per un bambino. Luce e polvere appaiono stretti insieme in un solo spasmo. Nascere ancora, continuare a nascere, non nonostante ma proprio perché la nostra vita è fatta di polvere ed è destinata a tornare nella polvere. Nell’evento della nascita la verità della vita si manifesta come volontà di vivere. Per questa ragione, Sartre riteneva, paradossalmente, che si deve scegliere di nascere per nascere davvero. A significare che l’evento della vita che nasce non può compiersi come un semplice evento della natura, ma esige un atto singolare di adesione alla vita. Se il (…) cristiano nasce come un qualunque essere umano, se la sua dimora non è più quella gloriosa del cielo, ma quella umilissima di una grotta sperduta di Betlemme, è per segnalare che l’evento della vita è in se stesso, ovunque accada, un evento gioioso. Se però riusciamo a non confondere la gioia con l’ideale della felicità, (…). Se infatti la rincorsa della felicità come vita armoniosa, stato d’essere che esclude la mancanza e la pena, la sofferenza e l’inquietudine, appare una vera e propria illusione religiosa poiché la vita umana è sempre vita infranta, la gioia è una possibilità che non ci è affatto preclusa. Per questa ragione Deleuze per definire la gioia una volta propose un esempio apparentemente controintuitivo. Immaginiamo un uomo moribondo, senza più speranza di guarigione, esausto nel suo letto d’ospedale. E immaginiamo che in un certo istante un raggio di luce lo raggiunga. Ecco, commenta il filosofo, che cosa è la gioia. La gioia non è nulla più di questo incontro con un raggio di luce inatteso. Quest’uomo non è, in quel momento, compresso dal dolore, dedito alla preghiera, impegnato a fare il bilancio della propria vita. Piuttosto può vivere pienamente la semplice gioia di un raggio di luce. In quel momento egli fa tutto quello che può. Nasce ancora anche se solo per un solo istante. Ecco una lezione che potremmo trarre dal mito cristiano della nascita di Gesù. La vita umana diviene vita colma di gioia non quando raggiunge un ideale (impossibile) di felicità, ma quando fa tutto quello che può. Non tanto con la forza della volontà, con l’irrobustimento della propria determinazione, con la disciplina dei propri comportamenti, ma nell’accogliere il mistero stesso della vita racchiuso nella nascita, nel vivere sino in fondo il nostro essere consegnati alla vita. L’uomo moribondo non può riacquistare la forza dei suoi vent’anni, non può liberarsi dalla malattia, ma può consegnarsi a quel raggio di luce che lo sorprende ancora. Ogni volta che qualcuno nasce alla vita è come se fossimo toccati da quella luce. Nell’evento di ogni nascita la vita mostra solo se stessa, non rinvia ad altro che alla sua forza e alla sua inermità. Ogni volta che qualcosa nasce la verità della vita si mostra al di là di ogni conoscenza erudita della verità. Non c’è infatti verità alcuna senza una vita che nasce.
"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi
lunedì 25 dicembre 2023
Lamemoriadeigiornipassati. 50 Massimo Recalcati: «Ogni volta che qualcosa nasce la verità della vita si mostra al di là di ogni conoscenza erudita della verità. Non c’è infatti verità alcuna senza una vita che nasce».
Le tradizioni sono una cosa bellissima: una
specie di scia naturale che ci accompagna lungo il tempo, oltrepassa le mode,
sopravvive alla morte delle persone. Fanno sentire protetti dall’evanescenza
della vita. C’è un solo modo per rendere ripugnanti e innaturali le pratiche
della tradizione: imporle per legge. Le tradizioni imposte per legge diventano
in un istante odiose. Non un dono, ma una soma che viene voglia di scrollarsi
di dosso, come il cavallo scosso che non vuole obbedire a chi lo frusta. La
proposta di legge (…) che intende, nella sostanza, imporre nella scuola
pubblica il Natale cristiano, presepe e albero di Natale, rendendo illecita ogni
possibile variazione o effrazione, non è solo un’offesa alla libertà di culto e
di insegnamento. È prima di tutto un’offesa alla tradizione. La trasforma in
propaganda, mette un cappello politico sopra la stalla di Betlemme, scempia il
Natale trasformandolo in una specie di Festa Patriottica da opporre alla peste
della globalizzazione. E riaccende l’idea, anticostituzionale, che possa
esistere una religione di Stato, e che compito della scuola sia imporla fino
dai primi anni di età. Le nostre scuole sono piene di bambini provenienti da
altre culture e altre religioni (compreso un numero imprecisato di bambini e
ragazzi di famiglie non religiose: ma questa è una categoria della quale non
importa nulla a nessuno, politicamente la più negletta). Ogni singola scuola,
anche nel nome dell’autonomia e della libertà di insegnamento, deve cercare di
far sentire tutti a casa, nella stessa casa. Non è facile, ma è obbligatorio
farlo, e scellerato non farlo. Più facile sciogliere ogni dubbio, ogni
dialettica, nell’acido dell’imposizione. (Tratto da “Betlemme tricolore” di Michele Serra,
pubblicato sul quotidiano “la Repubblica” del 21 di dicembre ultimo).
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