“Lo
spaventapasseri”, racconto (del 13 di agosto dell’anno 1941, sinora inedito)
di Italo Calvino – nato a Santiago de Las Vegas de
La Habana il 15 di ottobre dell’anno 1923 e morto a Siena il 19 di settembre dell’anno
1985 – riportato sul settimanale “Robinson” del quotidiano “la Repubblica” dell’8
di ottobre 2023 con il titolo “Un frac
nel campo di grano”: La luna era bassa, sul campo, si sarebbe
detto che salendo su una scala la si poteva toccare. Nel campo c'era un
pagliaio, un pero e uno spaventapasseri, messo lì a far la guardia al grano.
Era fatto di due pali sbilenchi, messi in croce: e l'uno dei bracci additava la
luna, quasi in un gesto di minaccia, l'altro, spezzato presso alla punta,
pendeva cionco come una mano umana. Una camicia lacera e un paio di brache
sdrucite e bisunte erano il suo vestimento; un cappellaccio di paglia sfondato
era infilato in cima al palo verticale e sull'incrocio era annodato un
fazzoletto di tela. Visto così lo spaventapasseri
sembrava l'attaccapanni di un crocefisso. L'aria era immobile. Sul pero non
tremava foglia. C'era un silenzio grande. Solo a tratti un cane latrava da un
cascinale lontano. Viene un uomo. È scalzo, porta il cilindro, la marsina, la
cravatta bianca, la gardenia all'occhiello. Ha l'aria stanca, sfiduciata. Vede
il pagliaio, s'avvicina, si scava un giaciglio, si getta sulla paglia. In un
fossato gracida una rana. L'uomo odora di fumo d'alcol di femmina di vizio. Non
ha sonno. Giace supino con la testa nella paglia, il cilindro calato sulla
fronte, e s'osserva i piedi. Si fruga in un taschino, ne trae una sigaretta,
cerca invano un fiammifero, rimane con la sigaretta spenta che gli pende da un
angolo della bocca. La luce della luna filtra attraverso la lacera camicia
dello spaventapasseri. L'uomo in cilindro s'avvicina allo spaventapasseri,
s'arrampica, lo sveste, getta giù gli indumenti. Lo spaventapasseri ignudo
sembrava ora avesse freddo e vergogna. L'uomo si spoglia dei suoi abiti,
indossa il cappellaccio di paglia, la camicia, le brache e s'annoda il fazzoletto
al collo. S'arrampica poi ancora sulla croce di legno, e, al posto dei
vestimenti sottratti, mette il cilindro, la camicia inamidata, la marsina con
la gardenia all'occhiello, i calzoni con la riga, la cravatta bianca. Scende,
rinfrancato alquanto, come l'uomo soddisfatto di se stesso. Spicca una pera
dall'albero, l'addenta, sputa un pezzo di torsolo verso lo spaventapasseri
vestito di nuovo. Poi, con le brache che gli arrivano al polpaccio e la camicia
che gli pende fuor dalle brache, s'allontana per i campi morsicando il frutto.
Lo sparato biancheggia, macabro, al lume fioco del plenilunio. Sembra un
fantasma ubriaco che sghignazzi alla luna. Passa un fraticello scalzo, tornando
dalla questua. Il fraticello è stanco e il convento è lontano. Vede il
pagliaio, s'adagia, trae dalla cesta un fiasco di vino e beve a lungo, a
garganella. Sazio, si stacca dal fiasco, sorridendo e strabuzzando, per la
soddisfazione, gli occhi lustri. S'accorge allora dello spaventapasseri in
marsina, accanto a lui. Si spaventa dapprima, poi ride, poi ancora sembra che
quella vista lo turbi. Invano cerca di resistere alla tentazione satanica: come
preso da una febbre strana denuda se stesso e lo spaventapasseri. Con le mani
tremanti per l'orgasmo pone di sghimbescio il cilindro sul suo capo tonduto,
s'infila lo sparato, la marsina, i calzoni con la riga. Sghignazzava e con
quegli abiti troppo grandi per lui sembrava una scimmia vestita da uomo. Sullo
spaventapasseri infila il suo saio, che ricade floscio come un sacco vuoto sul
lungo palo stecchito. Il fraticello in marsina si fruga allora nelle tasche,
con entusiasmo infantile. Trova una sigaretta, piglia un cerino dalla sua
cesta, l'accende e prende ad aspirare boccate come un fanciullo alla sua prima
fumata. Fa uscir il fumo dal naso, la gola gli pizzica, gli occhi gli
lagrimano. Scoppia in un ascesso di tosse. Allora afferra il mozzicone e lo
lancia contro il saio crocefisso. Si vede un punto incandescente descrivere una
parabola nell'aria, poi spegnersi. Il fraticello trova in una tasca della
marsina una ciocca di capelli biondi, legata con un nastro rosa. L'avvicina al
naso, avidamente e s'inebria del suo profumo. Poi col cilindro piantato di
sghimbescio sul capo tonduto, lo sparato incurvato sul petto a mo' di gobba, la
coda di rondine che lambisce la polvere, s'allontana, mani in tasca,
fischiando, verso la città. Lo spaventapasseri col saio pare un vecchio in
camicia da notte. Il giorno dopo era domenica, i contadini non vennero nei
campi, nessuno s'accorse che lo spaventapasseri aveva cambiato d'abito. L'uomo
vestito coi panni dello spauracchio tornò la notte dopo. Aveva cercato invano
di resistere alla tentazione, invano s'era detto d'aver gettato la marsina alle
ortiche, ma quando era scesa la notte, la nostalgia d'un'altra vita l'aveva
ripreso tanto forte da non poterla scacciare, e di corsa, per i campi, s'era
precipitato a rivestirsi dei suoi vecchi panni. Arriva davanti allo
spaventapasseri ansante, con una luce strana negli occhi, con un'espressione
quasi assetata nel volto. È più lacero, più sporco, puzza di cipolla. S'accorge
tutt'a un tratto che l'uomo di legno non indossa una marsina ma un saio da
frate, con la corda e il crocefisso. Sconvolto, fa per tornare sui suoi passi.
Una nuvola cancellava la luna. Nel cielo, chissadove, gridò un'upupa impazzita.
L'uomo s'arresta e, come in balia di un potere ipnotico, s'avvicina lentamente
allo spauracchio, si scopre il capo, si denuda, denuda lo scheletro di legno,
indossa il saio, riveste lo spauracchio delle vesti consunte. Man mano che
procede la sua espressione si fa più calma. I suoi occhi rispecchiano una più
intensa luce interiore, le sue labbra s'increspano a un sorriso. Poi si segna.
Sfila un rosario dalla cintura e sgranando preci, s'allontana dallo spaventapasseri.
Nemmeno un'ora dopo, arriva l'altro uomo. La marsina era sgualcita. L'uomo
odorava di fumo d'alcol di femmina di vizio. Avanza a capo basso, lentamente,
percotendosi il petto. Com'è sotto allo spauracchio alza lo sguardo, vede forma
non monastica ma agreste e si butta sull'erba, ginocchioni. Il cielo
impallidiva a oriente. L'uomo non più sgomento cambia ancora il suo vestimento
con quello del fantoccio. Il suo volto sorride all'ombra del cappellaccio di
paglia. Afferra una zolla di terra e la stringe nella mano. Una falce giace
appoggiata al pagliaio. L'uomo l'afferra, l'appoggia alla spalla, e parte. Da
un cascinale sperduto, un gallo lancia alto il suo saluto. Alla luce livida
dell'alba lo spaventapasseri infagottato nella marsina spiegazzata sembra una
bizzarra caricatura d'uomo. A giorno fatto una frotta di bimbi va a
saccheggiare il pero. Vedono lo spauracchio ed esilarati dal novo aspetto,
l'attorniano in un gaio girotondo. Donne, che reggono sul capo fasci d'erba, li
raggiungono e, prese dal terrore, richiamano i bimbi e gridano alla
stregoneria. Giungono uomini con falci. - Questa è opera di streghe, - dicono e
mandano gente al prete a che s'affretti con gli esorcismi. I messi corrono ma
sulla via s'incontrano con un fraticello scalzo che andava per la questua e lo
portano con loro. Come il frate vede lo spaventapasseri pare perdere anch'egli
la serenità. - Presto! - grida - un fucile! - La folla che s'aspettava preci,
benedizioni, scongiuri sembra turbata. - C'è il diavolo lì dentro, - dice il frate,
- bisogna ucciderlo. - Un vecchio trae da un pagliaio dove lo teneva nascosto
per difendersi dai passeri un vecchio schioppo ad avancarica. Ma le mani gli
tremano, chiede che venga qualcun altro a sparare. Ma nessuno degli uomini ne
ha il coraggio, tutti hanno paura che il diavolo si scagli poi contro di loro,
tutti temono il malocchio. - Sparate! - grida il frate con aria invasata. - Ne
va, della salvezza di un'anima! - Di due anime! - grida una voce e dalla folla
sbuca uno sconosciuto vestito di una camicia lacera, d'un paio di brache
sdrucite, con in testa un cappellaccio di paglia sfondato. Afferra lo schioppo,
punta e spara. Una scarica di pallini investe lo spauracchio. Del candido
sparato inamidato rimane uno straccio sforacchiato e abbruciaticcio. L'uomo
resta col fucile fumante in mano, sorridendo. Il frate si fa il segno della
croce. E i due uomini si gettano l'uno nelle braccia dell'altro.
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