"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi

"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi
"Il bruco" (2017). Nikon Coolpix P900. Foto macro. Stato larvale della falena diurna "Macroglossum stellatarum" volgarmente detta "sfinge colibrì".

martedì 10 ottobre 2023

Memoriae. 80 Benjamin Netanyahu: «“Abbiamo dei vicini che sono nostri acerrimi nemici… Io mando loro messaggi in continuazione, li inganno, li destabilizzo e li colpisco in testa… È impossibile raggiungere un accordo con loro… ma noi controlliamo l’altezza delle fiamme”».


Ha scritto Marco Travaglio in “Dagli amici li guardi Iddio” pubblicato su “il Fatto Quotidiano” di oggi, martedì 10 di ottobre 2023: (…). …i fatti dicono che Israele ha tutto il diritto di esistere nei confini tracciati dall’Onu nel 1948; ha tutto il diritto di difendersi dalle aggressioni; merita tutta la solidarietà per le stragi e i sequestri di innocenti subiti nell’attacco terroristico di sabato. Ma oggi, trent’anni dopo gli accordi di Oslo fra Rabin e Arafat, non regge più la giustificazione dei territori occupati in attesa di restituirli in cambio del riconoscimento dai Paesi arabi, come Begin fece con Sadat a Camp David nel 1978. Anche perché, diversamente da allora, nessun vicino di Israele può (anche se volesse) distruggerlo. E della causa palestinese i Paesi arabi si sono sempre bellamente infischiati. Persino un falco e un eroe di guerra come Ariel Sharon si era rassegnato all’idea dei due Stati, ritirandosi da Gaza e iniziando a farlo dalla Cisgiordania, e poi mollando la destra del Likud col fido Olmert per fondare il partito centrista Kadima. Non per bontà, filantropia o irenismo, ma per pragmatismo: non puoi convivere a lungo con milioni di palestinesi che ti odiano in casa tua o alla tua porta, reprimendoli dalla culla alla tomba e violando le risoluzioni Onu. I dati demografici sono impietosi: Israele ha 10 milioni di abitanti, di cui 7,5 ebrei, 2 palestinesi e il resto di altre etnie (tutti cittadini con diritto di voto); in Cisgiordania i palestinesi sono 3,5 milioni e a Gaza altri 2. Ebrei e palestinesi ormai si equivalgono e, siccome i primi fanno molti più figli dei secondi, il sorpasso è vicino. Annettere la Cisgiordania significherebbe consegnare in pochi anni parlamento e governo ai rappresentanti degli arabi: la fine dello Stato ebraico. Sharon e Olmert l’avevano capito vent’anni fa. Netanyahu neppure oggi. E non potendo risolvere il problema annettendo i territori o deportandone gli abitanti, l’ha rimosso. Tutto tattica e niente strategia, ha ripreso le colonizzazioni, mandando in partibus infidelium centinaia di esaltati, che poi necessitano di sforzi immani di sicurezza per proteggerli dalle rappresaglie dei palestinesi espropriati in Giudea e Samaria. Infatti è lì a Nord che stazionano ben 26 battaglioni dell’esercito, lasciando senza bussola i servizi segreti (un tempo i migliori del mondo) e sguarnito il fronte Sud: quello di Gaza, presidiato da due compagnie di reclute e dalla polizia locale, subito uccise o catturate da Hamas. I veri nemici di Bibi erano ben altri che Hamas, usata con cinismo e finta furbizia contro Abu Mazen e gli altri leader “moderati” dell’Autorità palestinese che cogestisce con Israele la Cisgiordania. Una miopia folle e scollegata dalla realtà che il premier aveva persino rivendicato dinanzi alla polizia che lo interrogava in uno dei suoi tre processi per corruzione: “Abbiamo dei vicini che sono nostri acerrimi nemici… Io mando loro messaggi in continuazione, li inganno, li destabilizzo e li colpisco in testa… È impossibile raggiungere un accordo con loro… ma noi controlliamo l’altezza delle fiamme”. Sabato le fiamme, com’era ovvio dopo 56 anni di occupazione, non hanno bruciato solo Netanyahu, ma centinaia di vite innocenti. E ora bruceranno quelle di tanti riservisti che finora manifestavano contro la sua guerra privata ai giudici e la sua milizia privata voluta dal truce ministro Ben Gvir, e ora partono per il fronte della vera guerra. Intanto Bibi, prima dell’ultimo capolinea, dovrà trattare anche ufficialmente con Hamas per riavere gli ostaggi. Questi purtroppo sono i fatti, (…). L’ironia della storia è che chi negava la “complessità” della questione russo-ucraina ora la riscopre per quella israelo-palestinese. (…). Dopo decenni di conflitti latenti o guerreggiati, chi vuole fermare la guerra mondiale a rate deve porsi il problema della sicurezza di tutti, non di qualcuno a scapito degli altri. E la sicurezza non si ottiene scomunicando, bombardando e bulleggiando, ma ragionando, parlando e trattando compromessi.

“Non facciamoci travolgere dall’odio. Cerchiamo le cause”, intervista di Stefania Di Lellis allo scrittore israeliano Assaf Gavron pubblicata sul quotidiano “la Repubblica” di oggi: (…). “Non ho la palla di vetro”, (…). Non ho certezze, ma ho una speranza: che quello che sta accadendo sia un punto di svolta, che faccia capire a un numero più alto di persone che così non si può andare avanti. Che è stata la politica verso i palestinesi basata solo sull’umiliazione a portarci a tutto questo”.

Ma non crede che le immagini degli ostaggi israeliani umiliati, i corpi riversi nelle strade possano portare esattamente nella direzione opposta? È guerra… “Io sto parlando di quello che avviene nella mente delle persone. Lo so che quello che sta accadendo ha aumentato l’odio e il razzismo. Ma confido che in molti di noi tutta questa violenza possa accendere il desiderio di capire cosa ci abbia portati a questo punto”.

La razionalità è difficile da salvare in situazioni sconvolgenti… “Purtroppo la nostra storia è piena di continui eventi ‘mai avvenuti prima’. So che le implicazioni di questo attacco saranno molto serie. Ma credo che poi ne tireremo fuori anche delle conclusioni politiche”

Intende verso il governo e il premier Netanyahu? “Alla fine questo governo non potrà sopravvivere. Il capo dell’Esercito non potrà sopravvivere. I vertici del potere politico e militare del paese dovranno pagare per questo fiasco. Ma c’è da fare anche un ragionamento più ampio”.

E cioè? “Quella con i palestinesi è una lotta secolare. Dovremmo aver capito che non si risolve con la forza. E invece ci siamo intestarditi a volere che accettassero quello che decidiamo noi. E ultimamente questa linea si è accentuata in modo violento. L’attuale governo ha picchiato ancora più duro sui palestinesi, ha incoraggiato gli insediamenti. Come potevano pensare che prima o poi non avremmo pagato un prezzo?”.

In questo momento Israele è concentrata sulla difesa... “Sì lo so, in questo momento siamo vittime. E quello che sta accadendo farà aumentare odio e razzismo, glielo ho già detto. Ma ci sarà più gente che capirà che così non possiamo proseguire”.

È convinto che siano state le politiche del governo Netanyahu a innescare questa esplosione? “Assolutamente sì. Non solo. Ha anche reso il paese non pronto ad affrontare una emergenza come questa. Lo vediamo da mesi. Abbiamo assistito all’indebolimento dell’esercito, all’indebolimento della polizia. Tutto per punire gli ufficiali che osavano criticare l'esecutivo e la riforma della Giustizia. I soldati sono stati trascurati. L’economia è stata lasciata andare. La democrazia è stata ferita. Il governo coscientemente ha reso Israele più vulnerabile. Hamas lo ha visto. E’ stato un invito per Hamas”.

È sorpreso dal fallimento dell’intelligence? “Tutto è scioccante in questo momento. Il completo fallimento di Israele, il completo successo di Hamas. Ma dobbiamo chiederci il perché”.

Lei come si risponde? “Siamo stati danneggiati dal nostro sentirci superiori. Quelli che chiamiamo con disprezzo solo ‘terroristi’ disorganizzati, quelli che guardiamo dall’alto in basso, ci hanno umiliati”.

Eppure l’intelligence e l’esercito di Israele sono celebrati nel mondo come modello di efficienza… “L’esercito di Israele non è da anni quello che alcune persone nel mondo pensano. Posso stilare un elenco di fallimenti? Il Libano, la Cisgiordania, la reazione all’Intifada…Guardi, nella nostra Difesa ci sono eccellenti persone, ma i risultati non sono un granché. Non è il Supersercito di cui si parla”.

Israele ora è in guerra e cerca l’unità politica per affrontare l’emergenza. “Ok, ora c’è l’unità nazionale. Ma le domande importanti verranno poste. I due campi non sono uniti, sono distanti. Oggi ci vogliamo tutti difendere, ma le questioni andranno affrontate. E poi: possiamo ricordare che nel governo ci sono ministri che non hanno i figli al fronte? (gli esponenti dei partiti ultraortodossi esentati dal servizio militare, ndr). Vedrà, queste persone pagheranno un prezzo”.

Il coinvolgimento dell’Iran rende però la partita più ampia del campo di Israele… “Non sono un analista. Vorrei però evitare di considerare i palestinesi soltanto delle statuine sulla scacchiera geopolitica delle grandi potenze. Sicuramente so che il negoziato tra Arabia Saudita e Israele ha a che fare con quello che sta accadendo ora. I palestinesi sanno di non contare nulla per i sauditi. Hanno definitivamente capito di non poter sperare che da quel dialogo possa arrivare qualcosa di buono per loro”.

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