«(…). Ogni essere umano ha bisogno di una
patria, non quella che intendono certi rozzi patrioti sempre pronti a fare a pugni,
e neppure una qualche religione, insipido assaggio di una patria ultraterrena. No:
una patria che racchiuda in sé il suolo, il lavoro, gli amici, la ricreazione,
l’ambito spirituale della propria attività, facendone un tutto naturale, ben
ordinato, un vero cosmo personale. La migliore definizione di patria è:
biblioteca». (Da «Auto da fe’»
di Elias Canetti).
“Pensieri di
pace durante un’incursione aerea”, racconto di Virginia Woolf scritto
nell’agosto dell’anno 1940: I tedeschi erano su questa casa la notte
scorsa e quella prima. Eccoli di nuovo. È una strana esperienza stare sdraiati
al buio e sentire il ronzio di un calabrone che in qualsiasi momento può
pungerti a morte. È un rumore che interrompe il pensiero freddo e coerente
della pace. Eppure è un rumore che assai più delle preghiere e degli inni
dovrebbe costringerci a pensare alla pace. A meno di non riuscire a pensare
alla pace, ognuno di noi, ognuna di noi – non questo corpo qui, in questo
letto, bensì milioni di corpi non ancora nati – rimarremo al buio ad ascoltare
questo rantolo di morte sulla testa. Cerchiamo di pensare che cosa si può fare
per creare il solo rifugio antiaereo efficace, mentre in collina i cannoni
sparano e i fari tastano le nuvole, e qua e là, a volte vicino, a volte
lontano, cade una bomba. Su in cielo dei giovani uomini inglesi e dei giovani
uomini tedeschi si combattono. Sono uomini i difensori, sono uomini gli
attaccanti. Alla donna inglese non vengono consegnate le armi, né per
combattere il nemico, né per difendersi. Lei deve giacere al buio disarmata,
stanotte. Eppure se crede che il combattimento in cielo è una battaglia tra gli
inglesi per proteggere la libertà, e i tedeschi per distruggere la libertà,
anche lei deve lottare, per quanto può, dalla parte degli inglesi. Ma come può
lottare per la libertà senza armi da fuoco? Fabbricando armi, oppure vestiti o
cibo. Ma c’è un altro modo di combattere per la libertà – senza armi; possiamo
combattere con la mente. Possiamo ‘fabbricare’ idee, che aiuteranno il giovane
uomo inglese che combatte su in cielo a sconfiggere il nemico. Ma perché le
idee siano efficaci, dobbiamo essere in grado di spararle. Dobbiamo metterle in
atto. Così il calabrone in cielo risveglia un altro calabrone nella mente. Ce
n’era uno questa mattina, che ronzava nel Times; era una donna che diceva: «Le
donne non hanno voce nelle questioni politiche.». Non c’è nessuna donna nel
Gabinetto; né in nessun posto di responsabilità. Tutti quelli che producono le
idee, e sono in grado di attuarle, sono uomini maschi. Ecco un pensiero che affossa
il pensiero, e incoraggia l’irresponsabilità. Perché allora non sprofondare la
testa nel cuscino, turarsi le orecchie e abbandonare la futile attività di
produrre idee? Ci sono altri tavoli, oltre ai tavoli dei militari e ai tavoli
delle conferenze. Eppure, rinunciando al pensiero privato, al pensiero del
tavolo da tè – perché ci sembra inutile – non priviamo il giovane inglese di
un’arma che potrebbe essergli utile? Non stiamo esagerando la nostra
incapacità, solo perché la nostra capacità ci espone magari all’insulto, al
disprezzo? “Non cesserò di combattere con la mente” scriveva Blake. Combattere
con la mente significa pensare contro la corrente, e non a favore. La corrente
scorre veloce e violenta. Straripa a parole dagli altoparlanti e dai politici.
Ogni giorno ci dicono che siamo un popolo libero, che combatte per difendere la
libertà. Questa è la corrente che ha trasportato il giovane aviatore fino in
cielo, e lo tiene lì, tra le nuvole. Quaggiù, protetti da un tetto, con una
maschera antigas a portata di mano, è nostro compito bucare i palloni gonfiati
d’aria e smascherare i germi di verità. Non è vero che siamo liberi. Siamo
tutti e due prigionieri stasera: lui imprigionato nella sua macchina con
un’arma a portata di mano, noi sdraiate nel buio con una maschera antigas a
portata di mano. Se fossimo liberi saremmo all’aperto, a ballare, o a teatro, o
seduti alla finestra a parlare. Che cosa ce lo impedisce? “Hitler!” esclamano
unanimi gli altoparlanti. Chi è Hitler? Che cos’è Hitler? Aggressione,
tirannia, amore forsennato del potere, rispondono. Distruggetelo, e sarete
liberi. Sulla mia testa ora il rimbombo degli aerei è come la sega sul ramo di
un albero. Va in tondo, e sega il ramo proprio sopra la mia casa. E nel
cervello un altro rimbombo comincia. «Le donne capaci» – così diceva Lady Astor
nel Times di stamani – «vengono frenate, ostacolate, sottomesse per via
dell’inconscio hitlerismo nel cuore degli uomini.». È vero, noi siamo
ostacolate. E questa sera siamo tutti egualmente prigionieri: gli uomini
inglesi negli aerei, le donne inglesi nei letti. Ma se lui smette di pensare,
può essere ucciso; e lo stesso vale per noi. E allora pensiamo per lui. Cerchiamo di portare alla coscienza l’inconscio hitlerismo che tutti ci
opprime: è il desiderio di aggressione; il desiderio di dominare e di
schiavizzare. Perfino nel buio delle tenebre lo si può vedere chiaramente.
Vediamo vetrine di negozi che brillano, e donne che guardano, donne truccate,
donne vestite di tutto punto – donne con le labbra rosse, le unghie rosse. Sono
schiave che cercano di fare schiavi. Se potessimo liberarci dalla schiavitù,
libereremmo anche gli uomini dalla tirannia. Gli Hitler sono generati dagli
schiavi. Cade una bomba. I vetri della finestra tremano. I cannoni antiaerei entrano
in azione. Là, in cima al colle, sotto una rete fatta di pezzi di stoffa verde
e marrone, che imitano i colori delle foglie d’autunno, si nascondono i
cannoni. Ora sparano tutti insieme. Il giornale radio delle nove ci dirà:
“Quarantaquattro aerei nemici sono stati abbattuti nella notte, dieci dal fuoco
antiaereo.” E una delle condizioni della pace, dicono gli altoparlanti,
dev’essere il disarmo. Non ci dovranno essere mai più armi, né esercito, né
marina, né forza aerea nell’avvenire. I giovani uomini non saranno più
addestrati a combattere con le armi. Il che sveglia un altro calabrone nelle
camere del cervello – un’altra citazione. «Combattere contro un nemico reale,
guadagnare onore immortale e la gloria uccidendo dei perfetti sconosciuti, e
tornare a casa con il petto coperto di medaglie e di decorazioni, quello era il
colmo della speranza… A questo era stata dedicata finora tutta la mia vita, la
mia educazione, la mia formazione, tutto…». Queste sono le parole di un giovane
uomo inglese che ha combattuto nell’ultima guerra. Davanti a queste parole, gli
attuali pensatori possono onestamente credere che scrivendo “disarmo” su un
pezzo di carta in una conferenza dei ministri avranno fatto tutto ciò che si
doveva fare? Otello non farà più il suo mestiere, ma sarà sempre Otello. Il
giovane aviatore su in cielo non è guidato solo dalle voci degli altoparlanti;
è guidato da voci che ha dentro di sé – antichi istinti, istinti incoraggiati e
nutriti dall’educazione e dalla tradizione. Lo dobbiamo biasimare per questo?
Si potrebbe forse sopprimere l’istinto materno, al comando di un gruppo di
politici seduti intorno a un tavolo? Facciamo conto che fra le condizioni di
pace ci fosse questa, imperativa: “Fare figli sarà ristretto a una piccolissima
classe di donne accuratamente selezionate” – lo accetteremmo? O non dovremmo
dire: “L’istinto materno è la gloria della donna. A questo è stata dedicata
finora la mia vita, la mia educazione, la mia preparazione, tutto…”. Ma se
fosse necessario, per il benessere dell’umanità, per la pace nel mondo, che la
maternità venisse controllata, e l’istinto materno messo a tacere, le donne ci
proverebbero. Gli uomini le aiuterebbero. Le onorerebbero per il loro rifiuto
di fare figli. Offrirebbero altre possibilità alla loro potenza creativa. Anche
questo deve far parte della nostra lotta per la libertà. Dobbiamo aiutare i
giovani uomini inglesi a strapparsi dal cuore l’amore delle medaglie e delle
decorazioni. Dobbiamo creare attività più onorevoli per chi cerca di dominare
in sé stesso l’istinto al combattimento, l’inconscio hitlerismo. Dobbiamo
compensare l’uomo per la perdita delle armi. Il rumore di sega sulle nostre
teste aumenta. Tutti i riflettori puntano in alto. Verso un punto che sta
esattamente sopra questo tetto. In qualunque momento può cadere una bomba in
questa stanza. Uno, due, tre, quattro, cinque, sei… passano i secondi. La bomba
non cade. Ma durante i secondi di attesa, il pensiero si blocca. Anche il
sentire si blocca, tranne la sensazione opaca della paura. Un chiodo crocefigge
l’essere tutto contro un’asse di legno duro. L’emozione della paura e dell’odio
è sterile, non fertile. Non appena la paura passa, la mente si riprende e
d’istinto rivive, e cerca di creare. Siccome la stanza è al buio, può creare
soltanto grazie alla memoria. Si protende verso il ricordo di altri agosti – a
Bayreuth, a sentire Wagner; a Roma, a passeggiare per la campagna romana; a
Londra. Riaffiorano le voci degli amici. Frammenti di poesia. Ognuno di questi
pensieri, anche nella memoria, è assai più positivo, rinfrescante, consolatore
e creativo di quell’opaco spavento, fatto di paura e di odio. Perciò, se
vogliamo compensare quel giovane uomo della perdita della gloria e delle armi,
gli dobbiamo aprire l’accesso ai sentimenti creativi. Dobbiamo fare felicità.
Dobbiamo liberarlo dalla macchina. Dobbiamo tirarlo fuori dalla sua prigione,
all’aperto. Ma a che cosa serve liberare il giovane inglese, se il giovane
tedesco e il giovane italiano rimangono schiavi? I riflettori accesi sulla pianura
hanno finalmente scovato l’aereo. Dalla finestra si vede un piccolo insetto
argentato che si gira e rigira alla luce. I cannoni sparano, e sparano. Poi
smettono. Probabilmente l’incursore è stato colpito dietro il colle. L’altro
giorno, uno dei piloti è atterrato sano e salvo in un campo qui vicino. In un
buon inglese, ha detto a chi l’ha catturato: “Come sono contento che il
combattimento è finito!” Al che un uomo inglese gli ha dato una sigaretta, e
una donna inglese gli ha offerto una tazza di tè. Questo starebbe a dimostrare
che se si riesce a liberare l’uomo dalla macchina, il seme non cade in un suolo
completamente sterile. Il seme può essere ancora fertile. Finalmente tutti i
cannoni hanno smesso di sparare. I riflettori si sono tutti spenti. Il buio
naturale della notte d’estate ritorna. Si sentono nuovamente gli innocenti
rumori della campagna. Una mela cade per terra. Un gufo bubbola, volando da un
albero all’altro. E mi viene in mente una frase quasi dimenticata di un vecchio
scrittore inglese: «Si svegliano i cacciatori in America…». Mandiamo dunque
queste note frammentarie ai cacciatori che si sono appena alzati in America, a
uomini e donne, il cui sonno non è stato ancora interrotto dal rumore della
mitragliatrice, nella fede e nella speranza che ci pensino, e generosamente e
caritatevolmente le trasformino in qualcosa di utile. E ora, in questa buia
metà del mondo, andiamo a dormire.
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