"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi

"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi
"Il bruco" (2017). Nikon Coolpix P900. Foto macro. Stato larvale della falena diurna "Macroglossum stellatarum" volgarmente detta "sfinge colibrì".

sabato 28 ottobre 2023

Lamemoriadeigiornipassati. 45 Vincenzo Consolo: «Riparte la resistenza alla menzogna imperante. Abbiamo un dovere etico, quello di intervenire, puntualizzare, sottolineare, riflettere, non dimenticare, ricordare».


Lamemoria1”. “Oltre il ponte” (1959) di Italo Calvino.

O ragazza dalle guance di pesca

o ragazza dalle guance d'aurora

io spero che a narrarti riesca

la mia vita all'età che tu hai ora.

Coprifuoco, la truppa tedesca

la città dominava, siam pronti:

chi non vuole chinare la testa

con noi prenda la strada dei monti.

Avevamo vent'anni e oltre il ponte

oltre il ponte ch'è in mano nemica

vedevam l'altra riva, la vita

tutto il bene del mondo oltre il ponte.

Tutto il male avevamo di fronte

tutto il bene avevamo nel cuore

a vent'anni la vita è oltre il ponte

oltre il fuoco comincia l'amore.

Silenziosa sugli aghi di pino

su spinosi ricci di castagna

una squadra nel buio mattino

discendeva l'oscura montagna.

La speranza era nostra compagna

a assaltar caposaldi nemici

conquistandoci l'armi in battaglia

scalzi e laceri eppure felici.

Avevamo vent'anni...

Non è detto che fossimo santi

l'eroismo non è sovrumano

corri, abbassati, dai corri avanti!

ogni passo che fai non è vano.

Vedevamo a portata di mano

oltre il tronco il cespuglio il canneto

l'avvenire di un giorno più umano

e più giusto più libero e lieto.

Avevamo vent'anni...

Ormai tutti han famiglia hanno figli

che non sanno la storia di ieri

io son solo e passeggio fra i tigli

con te cara che allora non c'eri.

E vorrei che quei nostri pensieri

quelle nostre speranze di allora

rivivessero in quel che tu speri

o ragazza color dell'aurora.

Avevamo vent'anni...

Lamemoria2”. “Senza memoria. Ostaggi di un eterno presente”, testo di Vincenzo Consolo (febbraio 2009, pubblicato dal “Centro studi Pio La Torre”) riportato sul settimanale “L’Espresso” del 20 di ottobre ultimo: Viviamo in un tempo in cui si è deciso di farci vivere in un eterno presente. Un presente dilatato. Bombardati dalla pubblicità. Omneros, come dicevano gli antichi: ostaggi. Da questa radice però, quella degli uomini ostaggio della memoria storica, riparte la resistenza alla menzogna imperante. Abbiamo un dovere etico, quello di intervenire, puntualizzare, sottolineare, riflettere, non dimenticare, ricordare. Una grave minaccia muove, paradossalmente, dai mass media. Dai mezzi di informazione, dalle centrali del pensiero unico. Banalizzano, nascondono, camuffano e, subito dopo, amplificano, fraintendono, diffondono, indottrinano. Sono rari gli esempi coraggiosi di controinformazione. Il compito di resistere è affidato agli strenui difensori della forza della parola». (...). «Ho deciso che tornerò definitivamente in Sicilia. Il prossimo anno farò ancora una volta le valigie e tornerò nella mia Isola. Dalla Sicilia ero partito nel lontano 1968. Non volevo accettare il paradigma della raccomandazione, degli onorevoli, del posto sicuro alla Regione. Sollecitato da due intellettuali, Vittorini e Calvino, che allora pubblicavano una rivista, "Il Menabò". L'invito rivolto ai giovani intellettuali italiani era quello di studiare la nuova realtà italiana, il processo di industrializzazione del nostro Paese, l'inurbamento delle masse meridionali. Sono arrivato a Milano perché volevo vedere quella grande trasformazione. Prima di partire mi sono consultato con due miei grandi amici, due scrittori: il primo era Leonardo Sciascia e l'altro era un poeta, un barone, Lucio Piccolo di Calanovella, cugino di Giuseppe Tornasi di Lampedusa, che ho frequentato per tanti anni. Viveva a Capo d'Orlando vicino al mio paese. È stato un grande maestro per me, era un uomo sapientissimo, conosceva tutta la letteratura e la poesia. Era stato scoperto da Montale, pubblicato da Mondadori. Quando decisi di andare via, Sciascia mi spinse a partire: "Qui non c'è più speranza, se io fossi più giovane e non avessi famiglia partirei anch'io", mi disse. Piccolo invece, che aveva una concezione romantica della letteratura, mi diceva: "Non parta, perché rimanendo lontani si ha più fascino. Se raggiunge i centri culturali, lì diventa uno come tanti altri". Raggiunsi Milano per andare a studiare all'Università Cattolica dove trovai molti studenti meridionali. Questi miei compagni di scuola divennero poi, con gli anni, classe dirigente italiana. Molti eminenti uomini politici, democristiani. C'erano i fratelli De Mita, Gerardo Bianco, i fratelli Prodi. Dopo la laurea decisi di tornare in Sicilia. Ho insegnato nelle scuole agrarie. L'insegnamento in scuole sperdute, in paesini di montagna, mi serviva per conoscere meglio il mondo contadino che io volevo raccontare. Negli anni in cui avevo deciso di fare lo scrittore, gli schemi, gli esempi, gli archetipi erano da una parte Carlo Levi con "Cristo si è fermato a Eboli" e con il libro siciliano "Le parole sono pietre", che parlano appunto dei due mondi contadini sotto il fascismo. Dall'altra parte i miti di Pavese, di Vittorini. Soprattutto il Vittorini di "Conversazione in Sicilia". Io volevo conoscere questo mondo, volevo rappresentarlo. Oggi la Milano dei miei sogni, delle mie aspettative è una città irriconoscibile, per dirla con Rushdie. Una città centrale della menzogna. Adesso però forse è giunto il momento del ritorno».

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