«Diplomazia. La sola “forza” allarga il conflitto e fomenta antisemitismo e terrorismo», testo di Elena Basile pubblicato sullo stesso numero de’ “il Fatto Quotidiano”: (…). L’Europa è senza strategia, segue ciecamente gli interessi americani in Medio Oriente come se la regione non fosse vicina a noi e la guerra non avesse conseguenze soprattutto per gli Stati europei. Verremo linciati, saremo accusati ingiustamente di antisemitismo come quando, avendo difeso il popolo ucraino e i soldati diciottenni dalle élite di Kiev e della Nato oltre che della Russia, venivamo accusati di filo-putinismo. A rischio di essere fraintesi o male interpretati, non saremo complici di un Occidente che sta smarrendo i valori umanistici, parte integrante della sua storia. Noi non saremo responsabili del massacro dei bambini. Piena solidarietà al popolo ebraico e alle vittime di Hamas. Uguale deve essere il nostro approccio alla strage di innocenti a Gaza. La tragedia ricorrente di Israele e Palestina deve avere fine. I paralleli storici fra le repressioni indiscriminate a Gaza per eliminare Hamas e i bombardamenti alleati su Dresda per sconfiggere il nazismo sono gratuiti. Hamas è un’organizzazione terroristica che non ha una forza paragonabile a quella della Germania nazista e dei suoi alleati. Si spera che le portaerei Usa a difesa di Israele siano di carattere simbolico, in quanto Tel Aviv è forte militarmente, molto più di Hamas. La difesa dal terrorismo dovrebbe concretizzarsi in una strategia complessa che unisca la forza alla diplomazia. La repressione spietata sembra avere come target la popolazione civile potrebbe provocare una recrudescenza dell’antisemitismo in Europa, soprattutto in Stati a forte componente immigratoria araba. (…). L’odio dei popoli di fronte a politiche ingiuste, di due pesi e due misure non si placa. Possiamo tentare di convincerli che siamo una civiltà superiore e le guerre le facciamo per il bene della democrazia: non credo ci ascolteranno. Più probabile che porteranno nel cuore la voglia di vendicare i genitori, i fratelli, gli amici periti nel sangue e meno fortunati di loro. Il terzo rischio, oltre alla recrudescenza dell’antisemitismo e dello scontro sociale e al ritorno del terrorismo, è l’allargamento del conflitto. Se le atrocità e il numero di morti aumentano a Gaza, la situazione può divenire esplosiva in Cisgiordania. Hezbollah potrà passare dalle reazioni simboliche a una violenza esplicita che rischia di innescare un nuovo conflitto. Hezbollah, com’è noto, è sostenuto dall’Iran, legato non solo a Mosca ma anche alla Cina. L’Occidente avanza, utilizza doppi standard, si autoproclama difensore di una civiltà superiore che gli dà il diritto all’impunità e attende saggezza, contenimento e liberazione degli ostaggi dai regimi? È un’odiosa commedia sulla pelle delle vittime. (…).
"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi
lunedì 16 ottobre 2023
Memoriae. 84 Haggai Matar, giornalista israeliano: “Il terrore che gli israeliani stanno sentendo in questo momento, me compreso, è un frammento di ciò che i palestinesi hanno sentito”.
Ha scritto Tomaso Montanari in “Contro l’inconscio hitlerismo, l’antidoto sarà soltanto la pace”
pubblicato su “il Fatto Quotidiano” di oggi, lunedì 16 di ottobre 2023: Sotto
un bombardamento nazista, Virginia Woolf annotava (la traduzione è di Nadia
Fusini): “Il giovane aviatore su in cielo non è guidato solo dalle voci degli
altoparlanti e dei politici; è guidato da voci che ha dentro di sé, istinti
incoraggiati e nutriti dall’educazione e dalla tradizione. Dobbiamo aiutare i
giovani uomini inglesi a strapparsi dal cuore l’amore delle medaglie e delle
decorazioni. Dobbiamo creare attività più onorevoli per chi cerca di dominare
in sé stesso l’istinto al combattimento, l’inconscio hitlerismo. … Dobbiamo
fare felicità. Dobbiamo tirarlo fuori dalla sua prigione, all’aperto”. Parole
pericolose: capaci di mettere in dubbio la determinazione della scrittrice nel
combattere il nazismo. Eppure, parole altissime di chi diceva di non avere,
come donna, alcuna patria, se non il mondo intero. Di chi rifiutava la logica
stessa delle armi, dello schierarsi, dell’uccidere o morire. Non l’abbiamo
ascoltata, Virginia. E oggi, di fronte al disastro in cui precipitano, ora dopo
ora, i popoli di Israele e Palestina, siamo lontanissimi dal fare felicità,
anzi rinchiusi a doppia mandata nella prigione dell’appartenenza, del ‘noi e
loro’, della guerra. Dell’“inconscio hitlerismo”: cioè in una comune
aspirazione alla violenza e alla morte, non certo alla pace e alla vita. I
peggiori (che devono mostrarsi più estremisti del governo israeliano per far
dimenticare il loro fascismo) hanno rispolverato le parole di Oriana Fallaci:
“Sono sionista perché respiro, perché penso, perché vedo, perché so, in
conclusione sono sionista perché sono egoista, perché se muore Israele, nostro
migliore e coraggioso alleato, moriremo anche noi”. Tornano in mente le pagine
grondanti d’odio cieco e di paura che Fallaci scrisse dopo l’11 settembre: vi
si predicava la necessità di difendersi, con una guerra di vendetta, da una
“guerra che non mira alla conquista del nostro territorio, forse, ma che
certamente mira alla conquista delle nostre anime. Alla scomparsa della nostra
libertà e della nostra civiltà. All’annientamento del nostro modo di vivere e
di morire, del nostro modo di pregare o non pregare, del nostro modo di
mangiare e bere e vestirci e divertirci e informarci”. In gioco – si diceva
allora come oggi – c’era la libertà dell’Occidente: insidiata dai migranti (“Da
noi ci sono venuti di propria iniziativa, coi maledetti gommoni”), perché “le
moschee di Milano e di Torino e di Roma traboccano di mascalzoni che inneggiano
a Usama Bin Laden, di terroristi in attesa di far saltare in aria la Cupola di
San Pietro”. “La nostra identità culturale – scriveva Fallaci – non può
sopportare un’ondata migratoria composta da persone che in un modo o nell’altro
vogliono cambiare il nostro sistema di vita. I nostri valori. Da noi non c’è
posto per i muezzin, per i minareti, per i falsi astemi, per il loro fottuto
Medioevo, per il loro fottuto chador. E se ci fosse, non glielo darei”. Uno
scontro tra civiltà: anzi no, – sibilava la giornalista –: “A me dà fastidio
perfino parlare di due culture: metterle sullo stesso piano come se fossero due
realtà parallele, di uguale peso e di uguale misura”. Siamo sempre qua: al
razzismo della pelle bianca. Gli atroci crimini di guerra di Hamas sono
definiti opera di non-umani, di animali (sappiamo invece quanto banale sia il
male umano). Invece, i simmetrici crimini di guerra (che mentre scrivo si
avviano a diventare crimini contro l’umanità) di Israele, quelli no: sono
legittima difesa. Perché? Perché loro sono loro, e noi siamo noi. Il discorso
dei valori occidentali è una falsa moneta: quei valori siamo disposti a
calpestarli ogni momento, se possiamo farlo a nostro vantaggio. Allora, l’unica
posizione che non ceda a questo “inconscio hitlerismo” è il rifiuto di
schierarsi con uno dei due governi-apparati militari, schierandosi invece con
entrambi i popoli: con gli israeliani e i palestinesi, che vengono traditi e
abbandonati alla morte dai rispettivi vertici politico-militari. Con i feriti,
con le famiglie israeliane che hanno un figlio preso in ostaggio, con le
famiglie palestinesi che aspettano la rappresaglia che le cancellerà. Con chi
non ha mai deciso nulla, e ora perde tutto. Come ha scritto il giornalista
israeliano Haggai Matar, “il terrore che gli israeliani stanno sentendo in
questo momento, me compreso, è un frammento di ciò che i palestinesi hanno
sentito”. Schierarsi contro Hamas, sorretta da un orribile regime teocratico.
Schierarsi contro i vertici dello stato di Israele, che si dice democratico
mentre pratica una segregazione così crudele da spingere i suoi vicini a
scegliere tra una morte rapida e una lenta. “Non c’è una soluzione militare al
problema di Israele con Gaza, né alla resistenza che naturalmente emerge come
risposta all’apartheid violento” (ancora Matar): l’unica soluzione è la pace.
Per questo, come scrisse Tiziano Terzani rispondendo alla Fallaci, “in questi
tempi di guerra, non deve essere un crimine parlare di pace”.
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