“Lite continua nel paese comunista”, colloquio a più voci di Giuseppe Smorto pubblicato sul settimanale “il Venerdì di Repubblica” del 13 di ottobre 2023: Polistena (Reggio Calabria). Il sindaco abita in via Gagarin, vicino a uno dei tre istituti superiori. I ragazziescono dall'Itis su via Margherita Hack, l'Anfiteatro sta sul viale della Rivoluzione d'Ottobre. C'è una piazza dedicata al cubo di Rubik. Polistena ha diecimila abitanti e un governo «orgogliosamente comunista». Un caso unico. Michele Tripodi, membro della segreteria nazionale del Pci (il leader nazionale si chiama Mauro Alboresi), la guida. Ma questa storia inizia molto prima che il sindaco nascesse: quando c'erano due grandi partiti di massa, il Pci, non quello di Alboresi, quell'altro, e la Dc. E Polistena veniva definita "un pezzo di Emilia sotto l'Aspromonte". Se si va indietro nel tempo non c'è fiction, è solo vita vera quella di Girolamo Tripodi, il ribelle con cui questa storia rossa ha inizio. Suo padre torna dall'America con i soldi per comprare due ettari di terra. La maestra manda i carabinieri a casa: il primogenito deve avere almeno la licenza elementare, anche se è condannato a una vita da bracciante. Girolamo, per tutti Mommo, la mostrerà sempre con orgoglio, anche una volta diventato sindaco e parlamentare, poi questore anziano del Senato, quarta carica dello Stato, a metà degli anni 90. Ma prima, negli anni 50, Mommo è il sindacalista delle gelsominaie sulla Jonica (portano i bambini al lavoro per raggiungere i 4 chili giornalieri di fiore), delle raccoglitrici di olive sulla Tirrenica pagate un quarto degli uomini. È la Calabria dei film di De Seta, della povera gente con gli stracci e senza strade. A Roccaforte del Greco gli puntano la pistola dopo un comizio, i picciotti della 'ndrangheta al soldo degli agrari lo vogliono uccidere a Razzà. Diventato sindaco di Polistena, vara una serie di opere pubbliche: il Comune, l'Auditorium, l'ospedale, ilconsultorio, la metanizzazione, le case popolari. Porta anche la lirica in piazza. Come ricorda sempre il presidente reggino di Confindustria Domenico Vecchio, a Polistena per cinque anni i manovali dei cantieri arrivano scortati dai carabinieri e c'è il sindaco con loro. Nel 1978 Mommo Tripodi testimonia al primo grande processo contro le cosche, dove molti suoi colleghi in fascia tricolore ripetono che «la mafia non esiste!». Per lui la svolta di Occhetto «è una grande tragedia». Alberto Ziparo, ecologista, oggi insegna all'Università di Firenze e ricorda: «Negli anni 80 Mommo guidò la lotta contro la Centrale a carbone di Gioia Tauro. Vincemmo». Là dove avevano già abbattuto 700 mila alberi e cancellato un paese per (non) fare il quinto centro siderurgico, oggi c'è il primo porto-container d'Italia. Trentun anni sindaco, 5 legislature in Parlamento, Mommo muore nel 2018, a 91 anni: la banda suona L'Internazionale e l'inno di Mameli, le bandiere sono quelle antiche. E si capisce perché la gente qui sia rimasta affezionata al simbolo della falce e del martello. Nel palazzo del mafioso. E oggi? Don Pino Demasi, parroco del Duomo dal 1984, chiesa di Santa Marina Vergine, referente di Libera per la Piana, può raccontare il segreto di Polistena. Intorno al centro intitolato a don Puglisi gravitano mille ragazzi: una beata gioventù multilingue impegnata nel doposcuola, nel gioco. «Un centro dei diritti». La biblioteca al piano terra, le associazioni di welfare e il Lions, i volontari di Emergency ora impegnati nell'ambulatorio mobile fra i migranti della Piana. E infine una terrazza che offre in visione la punta di Sant'Elia, le Eolie, le gru made in China del porto di Gioia, Capo Vaticano: cinquanta chilometri di blu. Lo stabile domina la città, è un bene confiscato - i boss scelgono sempre una posizione privilegiata per fare vedere chi comanda. Infelice nella sua bruttezza di mattoni a vista, il palazzo è stato ristrutturato e oggi è un uragano di voci che animano la piazza dedicata a Giuseppe Valarioti, insegnante del Pci, ucciso a Rosamo l'11 giugno del 1980, la sera che vinse le elezioni. Don Pino racconta che la cooperativa Valle del Marro - un tempo concentrata solo sull'olio buono e le melanzane sott' olio - ha aperto una scuola calcio che lui definisce sui generis, accoglie 150 ragazzini nel campo finanziato dal Comune. Ma prima, gli istruttori mostrano in video la storia di don Pino Puglisi, il prete ammazzato dalla mafia a Palermo, «solo cinque minuti, altrimenti vi stancate». Poi si va in campo. Demasi è felice di sottolineare che i bambini di una volta sono diventati padri e, nel segno di don Milani, continuano ad aiutare i più piccoli. Ha vissuto fianco a fianco con i comunisti, con Mommo che non era credente ma incontrò Wojtyla e ne tenne la foto nello studio fino alla fine. «Qui le istituzioni sui temi fondamentali hanno sempre lavorato insieme. Parlo di lotta alla 'ndrangheta, di servizi sociali, di benessere collettivo». Poi il parroco mette un gigantesco però: «Però abbiamo un passato da difendere, siamo stati sempre all'avanguardia». Parla come il Blair di education, education, education, l'istruzione e la cittadinanza attiva sono l'unico modo per avviare i ragazzi al lavoro e tenerli lontani dalla tentazione e dai criminali. «Serve maggiore concordia, più collaborazione. Rischiamo di interrompere il cammino felice di questa città, abbiamo il bene comune da difendere». Ma da chi? Simboli, monumenti e scontri. Accade ad esempio che Domenico Cristofaro, imprenditore vicino a Legambiente, se ne sia andato per protesta da Polistena, in un paese vicino. Motivazione? «Bisogna de-familiarizzare la politica». Accade cioè che, nel segno e nel ricordo di Mommo, la famiglia Tripodi sia oggi divisa. Da una parte la moglie e i figli, e dall'altra il nipote Michele, cioè il sindaco, figlio di un fratello. Quasi impossibile risalire alle ragioni e ai torti. Uno psicoterapeuta lo definirebbe un "conflitto di relazione". Per il sindaco, la rottura è una foto della balcanizzata sinistra radicale: «Io sono rimasto nel Pci, i miei cugini sono usciti. E ora stanno con quelli che odiavano Mommo, compresi gli ex democristiani». A Polistena, dove perfino il Pd è all'opposizione, i fratelli Michelangelo, Tina e Ivan Tripodi - figli del "grande" Girolamo - con mamma Pasqualina ribattono duramente, con un lungo elenco di sgarbi del Comune: «Stiamo perdendo la memoria di quello che papà ha fatto per la città, c'è troppa arroganza». L'ultimo scontro, su un palazzo nobiliare diventato pubblico. Polistena ne è ricca, aveva un territorio ampio, c'erano i signori e le terre fertili, e un privato ha appena riaperto dopo 300 anni Palazzo Grillo. C'è quindi Palazzo Sigillò, prossimo all'inaugurazione. Il sindaco vorrebbe intitolarlo a Girolamo Tripodi e farci la casa della Cultura e la Biblioteca comunale. I figli dicono no «perché era la casa del Podestà, è un simbolo fascista». Il sindaco replica che quel palazzo è un segno del «riscatto del popolo» e che «fu proprio Mommo a volerlo acquistare». La famiglia chiede di intitolargli l'Auditorium e il Palazzo del Comune, dove c'è il monumento all'emigrante. (…). Un modello per la piana. (…), a Polistena le fioriere hanno cancellato la sosta selvaggia e d'estate c'è la Ztl. La Calabria perde 15 mila abitanti l'anno, «e qui no» dice il sindaco «perché offriamo buoni servizi agli altri paesi della Piana. Il mio primo pensiero del giorno è la carenza di personale». I medici cubani dell'ospedale sono ormai cittadini onorari. «Siamo contro la guerra, per l'uscita dalla Nato, ospitiamo una piccola comunità ucraina» chiude Michele Tripodi «abbiamo fatto un Festival della pace portando la sabbia di Cutro. L'aumento agli amministratori locali firmato da Draghi lo abbiamo convertito in dieci borse-lavoro». Mimmo Calopresti, il regista, partì da qui a sei anni col padre operaio alla Fiat: «Polistena resta sempre il mio paesello, anche se nel weekend c'è la movida. Mommo fu un papà per tutti noi, la parola "comunisti" che a voi sembra antica, si spiega col suo carisma». (…).
"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi
sabato 21 ottobre 2023
Quellichelasinistra. 35 Una Storia “politica” dalla terra dei “Bretti”.
“Lite continua nel paese comunista”, colloquio a più voci di Giuseppe Smorto pubblicato sul settimanale “il Venerdì di Repubblica” del 13 di ottobre 2023: Polistena (Reggio Calabria). Il sindaco abita in via Gagarin, vicino a uno dei tre istituti superiori. I ragazziescono dall'Itis su via Margherita Hack, l'Anfiteatro sta sul viale della Rivoluzione d'Ottobre. C'è una piazza dedicata al cubo di Rubik. Polistena ha diecimila abitanti e un governo «orgogliosamente comunista». Un caso unico. Michele Tripodi, membro della segreteria nazionale del Pci (il leader nazionale si chiama Mauro Alboresi), la guida. Ma questa storia inizia molto prima che il sindaco nascesse: quando c'erano due grandi partiti di massa, il Pci, non quello di Alboresi, quell'altro, e la Dc. E Polistena veniva definita "un pezzo di Emilia sotto l'Aspromonte". Se si va indietro nel tempo non c'è fiction, è solo vita vera quella di Girolamo Tripodi, il ribelle con cui questa storia rossa ha inizio. Suo padre torna dall'America con i soldi per comprare due ettari di terra. La maestra manda i carabinieri a casa: il primogenito deve avere almeno la licenza elementare, anche se è condannato a una vita da bracciante. Girolamo, per tutti Mommo, la mostrerà sempre con orgoglio, anche una volta diventato sindaco e parlamentare, poi questore anziano del Senato, quarta carica dello Stato, a metà degli anni 90. Ma prima, negli anni 50, Mommo è il sindacalista delle gelsominaie sulla Jonica (portano i bambini al lavoro per raggiungere i 4 chili giornalieri di fiore), delle raccoglitrici di olive sulla Tirrenica pagate un quarto degli uomini. È la Calabria dei film di De Seta, della povera gente con gli stracci e senza strade. A Roccaforte del Greco gli puntano la pistola dopo un comizio, i picciotti della 'ndrangheta al soldo degli agrari lo vogliono uccidere a Razzà. Diventato sindaco di Polistena, vara una serie di opere pubbliche: il Comune, l'Auditorium, l'ospedale, ilconsultorio, la metanizzazione, le case popolari. Porta anche la lirica in piazza. Come ricorda sempre il presidente reggino di Confindustria Domenico Vecchio, a Polistena per cinque anni i manovali dei cantieri arrivano scortati dai carabinieri e c'è il sindaco con loro. Nel 1978 Mommo Tripodi testimonia al primo grande processo contro le cosche, dove molti suoi colleghi in fascia tricolore ripetono che «la mafia non esiste!». Per lui la svolta di Occhetto «è una grande tragedia». Alberto Ziparo, ecologista, oggi insegna all'Università di Firenze e ricorda: «Negli anni 80 Mommo guidò la lotta contro la Centrale a carbone di Gioia Tauro. Vincemmo». Là dove avevano già abbattuto 700 mila alberi e cancellato un paese per (non) fare il quinto centro siderurgico, oggi c'è il primo porto-container d'Italia. Trentun anni sindaco, 5 legislature in Parlamento, Mommo muore nel 2018, a 91 anni: la banda suona L'Internazionale e l'inno di Mameli, le bandiere sono quelle antiche. E si capisce perché la gente qui sia rimasta affezionata al simbolo della falce e del martello. Nel palazzo del mafioso. E oggi? Don Pino Demasi, parroco del Duomo dal 1984, chiesa di Santa Marina Vergine, referente di Libera per la Piana, può raccontare il segreto di Polistena. Intorno al centro intitolato a don Puglisi gravitano mille ragazzi: una beata gioventù multilingue impegnata nel doposcuola, nel gioco. «Un centro dei diritti». La biblioteca al piano terra, le associazioni di welfare e il Lions, i volontari di Emergency ora impegnati nell'ambulatorio mobile fra i migranti della Piana. E infine una terrazza che offre in visione la punta di Sant'Elia, le Eolie, le gru made in China del porto di Gioia, Capo Vaticano: cinquanta chilometri di blu. Lo stabile domina la città, è un bene confiscato - i boss scelgono sempre una posizione privilegiata per fare vedere chi comanda. Infelice nella sua bruttezza di mattoni a vista, il palazzo è stato ristrutturato e oggi è un uragano di voci che animano la piazza dedicata a Giuseppe Valarioti, insegnante del Pci, ucciso a Rosamo l'11 giugno del 1980, la sera che vinse le elezioni. Don Pino racconta che la cooperativa Valle del Marro - un tempo concentrata solo sull'olio buono e le melanzane sott' olio - ha aperto una scuola calcio che lui definisce sui generis, accoglie 150 ragazzini nel campo finanziato dal Comune. Ma prima, gli istruttori mostrano in video la storia di don Pino Puglisi, il prete ammazzato dalla mafia a Palermo, «solo cinque minuti, altrimenti vi stancate». Poi si va in campo. Demasi è felice di sottolineare che i bambini di una volta sono diventati padri e, nel segno di don Milani, continuano ad aiutare i più piccoli. Ha vissuto fianco a fianco con i comunisti, con Mommo che non era credente ma incontrò Wojtyla e ne tenne la foto nello studio fino alla fine. «Qui le istituzioni sui temi fondamentali hanno sempre lavorato insieme. Parlo di lotta alla 'ndrangheta, di servizi sociali, di benessere collettivo». Poi il parroco mette un gigantesco però: «Però abbiamo un passato da difendere, siamo stati sempre all'avanguardia». Parla come il Blair di education, education, education, l'istruzione e la cittadinanza attiva sono l'unico modo per avviare i ragazzi al lavoro e tenerli lontani dalla tentazione e dai criminali. «Serve maggiore concordia, più collaborazione. Rischiamo di interrompere il cammino felice di questa città, abbiamo il bene comune da difendere». Ma da chi? Simboli, monumenti e scontri. Accade ad esempio che Domenico Cristofaro, imprenditore vicino a Legambiente, se ne sia andato per protesta da Polistena, in un paese vicino. Motivazione? «Bisogna de-familiarizzare la politica». Accade cioè che, nel segno e nel ricordo di Mommo, la famiglia Tripodi sia oggi divisa. Da una parte la moglie e i figli, e dall'altra il nipote Michele, cioè il sindaco, figlio di un fratello. Quasi impossibile risalire alle ragioni e ai torti. Uno psicoterapeuta lo definirebbe un "conflitto di relazione". Per il sindaco, la rottura è una foto della balcanizzata sinistra radicale: «Io sono rimasto nel Pci, i miei cugini sono usciti. E ora stanno con quelli che odiavano Mommo, compresi gli ex democristiani». A Polistena, dove perfino il Pd è all'opposizione, i fratelli Michelangelo, Tina e Ivan Tripodi - figli del "grande" Girolamo - con mamma Pasqualina ribattono duramente, con un lungo elenco di sgarbi del Comune: «Stiamo perdendo la memoria di quello che papà ha fatto per la città, c'è troppa arroganza». L'ultimo scontro, su un palazzo nobiliare diventato pubblico. Polistena ne è ricca, aveva un territorio ampio, c'erano i signori e le terre fertili, e un privato ha appena riaperto dopo 300 anni Palazzo Grillo. C'è quindi Palazzo Sigillò, prossimo all'inaugurazione. Il sindaco vorrebbe intitolarlo a Girolamo Tripodi e farci la casa della Cultura e la Biblioteca comunale. I figli dicono no «perché era la casa del Podestà, è un simbolo fascista». Il sindaco replica che quel palazzo è un segno del «riscatto del popolo» e che «fu proprio Mommo a volerlo acquistare». La famiglia chiede di intitolargli l'Auditorium e il Palazzo del Comune, dove c'è il monumento all'emigrante. (…). Un modello per la piana. (…), a Polistena le fioriere hanno cancellato la sosta selvaggia e d'estate c'è la Ztl. La Calabria perde 15 mila abitanti l'anno, «e qui no» dice il sindaco «perché offriamo buoni servizi agli altri paesi della Piana. Il mio primo pensiero del giorno è la carenza di personale». I medici cubani dell'ospedale sono ormai cittadini onorari. «Siamo contro la guerra, per l'uscita dalla Nato, ospitiamo una piccola comunità ucraina» chiude Michele Tripodi «abbiamo fatto un Festival della pace portando la sabbia di Cutro. L'aumento agli amministratori locali firmato da Draghi lo abbiamo convertito in dieci borse-lavoro». Mimmo Calopresti, il regista, partì da qui a sei anni col padre operaio alla Fiat: «Polistena resta sempre il mio paesello, anche se nel weekend c'è la movida. Mommo fu un papà per tutti noi, la parola "comunisti" che a voi sembra antica, si spiega col suo carisma». (…).
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