"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi

"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi
"Il bruco" (2017). Nikon Coolpix P900. Foto macro. Stato larvale della falena diurna "Macroglossum stellatarum" volgarmente detta "sfinge colibrì".

venerdì 13 ottobre 2023

Memoriae. 81 Elena Basile: «Il terrorismo è un fenomeno storico. La violenza terrorista nasce quando i canali politici si chiudono e risultano impraticabili».


Ha scritto Elena Basile - “Ipazia”, pseudonimo utilizzato per le Sue primissime collaborazioni giornalistiche – in “Chi non fa terrorismo scagli la prima pietra” pubblicato su “il Fatto Quotidiano” dell’11 di ottobre 2023: (…). Che smemorati i nostri intellettuali progressisti! Hanno già dimenticato Sabra e Chatila, il massacro durato 19 ore, durante il quale le falangi libanesi trucidarono 1300 civili, donne e bambini, sotto la protezione e la benevola sorveglianza delle truppe di Sharon. Come mi ricordava un collega, l’ambasciatore Cardilli, si potrebbero richiamare alla memoria anche le 200 vittime del massacro di Deir Yasin perpetrato nel 1947 dai terroristi ebraici guidati da Begin che divenne poi primo ministro. Non entrerò in un dibattito sottoculturale. La guerra è orrore. Non ci sono buoni e cattivi. La nostra civiltà non è migliore delle altre. Crociate, guerre di religione, colonialismo, neo colonialismo, guerre di esportazione della democrazia, Julian Assange (non dobbiamo mai dimenticare che langue sotto tortura nell’indifferenza dei sostenitori dei diritti umani): i crimini dell’Occidente sono noti a chiunque abbia letto un libro di storia. Quindi, cari politici progressisti che per fare un passetto avanti nella vostra carriera di servitori del potere e non dello Stato dimenticate tutto, i terroristi non sono solo quelli di Hamas. Il terrorismo è un fenomeno storico. La violenza terrorista nasce quando i canali politici si chiudono e risultano impraticabili. I carbonari, celebrati come eroi nei sussidiari di scuola elementare, erano dei terroristi. Tutto diviene surreale. La sproporzione di armi tra Israele e Hamas è evidente. Eppure il Quintetto si riunisce per testimoniare solidarietà a Israele con l’invio di nuove armi. Gaza soffoca, ora che la rappresaglia di Netanyahu, feroce e contraria al diritto umanitario e allo Statuto della Corte penale internazionale (la stessa Corte che ha considerato Putin criminale di guerra), ha avuto inizio e la prima decisione europea, poi fortunatamente rivista, era quella di sospendere gli aiuti a Gaza. Il dilemma degli analisti occidentali è il seguente: come sbarazzarsi una volta per tutte di Hamas e salvare gli ostaggi israeliani? Sono esterrefatta. Invece muoiano pure i bambini, i civili, le donne, gli anziani di Gaza? Come ogni persona di media cultura comprenderebbe, reprimere Hamas nel sangue farà rinascere altri gruppi terroristici: il sangue chiama sangue. Israele può essere salvato da se stesso soltanto se si rimuovono le cause del conflitto con mediazioni che riescano a tener conto dei diritti degli israeliani come dei palestinesi. Si ritorni alla soluzione dei due Stati. Sul punto, non condivido lo scetticismo di Lucio Caracciolo. La volontà politica può molto più di quanto si pensi. Il conflitto franco-tedesco sembrava impossibile da sanare, un dramma storico con vittime innumerevoli. Eppure oggi Francia e Germania sono potenze alleate. La mediazione è sempre possibile se si mettono sul tavolo i veri interessi in gioco, se si esce dal radicalismo etico e ipocrita di un Occidente che ripiega su se stesso credendosi superiore non solo ad Hamas, ma alla Russia, alla Cina, ai Brics, al Sud globale. Mi sembra evidente che l’approccio europeo alla guerra russo-ucraina e al conflitto israelo-palestinese sia simile in molti aspetti. Provo a elencarli: 1) appiattimento sulle posizioni statunitensi con la presa di posizioni ideologiche radicate nel finto moralismo e partigiane del governo dell’Ucraina e del governo israeliano; 2) rimozione della storia e delle cause dei conflitti; 3) demonizzazione del nemico, sua delegittimazione totale che impedisce ogni genere di dialogo; 4) fiducia nella catarsi dello scontro militare, della repressione, della vittoria sul campo grazie alla superiorità militare. È triste vedere le marionette politiche inconsapevoli di star recitando un copione da altri preparato. I neoconservatori americani, di cui Vittoria Nuland è un esempio emblematico, assistente di Dick Cheney e vice di Antony Blinken, legati a doppio filo con i poteri finanziari, hanno da tempo attuato una strategia demenziale quanto coerente. L’egemonia in crisi di Washington si difende con la guerra permanente. Una guerra a bassa intensità che non li coinvolga veramente e non si trasformi in un conflitto nucleare. Il Pentagono è più prudente dei politici e intellettuali “moderati” che chiamano l’Occidente alla guerra contro il nuovo Hitler, identificato ora con Putin, ora con Hamas, ora l’Iran, domani con Xi Jinping. La realtà supera la finzione.

“Occidente predone: tramonto finale”, testo dello storico Franco Cardini pubblicato su “il Fatto Quotidiano” del 26 di settembre ultimo: (…). Nella seconda parte del XX secolo presero ad affermarsi, in parallelo con l’avanzare dei processi di “decolonizzazione” politica e di “neo colonializzazione” finanziaria, diplomatica e tecnologica, varie forme di rivendicata o di dissimulata supremazia di movimenti neo cristiani o postcristiani successori del colonialismo storico nei confronti d’indigeni “pagani” o “infedeli” o neo convertiti o rimasti sinceramente e più o meno solidamente cristiani. Ciò era destinato a non rimanere privo di risposte da parte né di alcune componenti del panorama del fondamentalismo religioso africano, né di gruppi religioso-politici negli altri continenti. I crimini del colonialismo in tempi sia lontani sia prossimi sono successivamente tornati o stanno tornando a galla: e insieme con essi la realtà che sia stato in buona parte grazie a quei crimini, ben noti almeno alle nostre classi dirigenti, che il mondo occidentale (…) ha potuto permettersi, giovandosi del controllo da parte delle lobby finanziarie e imprenditoriali statunitensi ed europee nonché sovente con la complicità degli stessi governi locali, di gestire la sistematica spoliazione degli interi continenti africano e latinoamericano: da qui, fra l’altro, l’esodo massiccio di migranti indigeni che fuggono da quelle immense aree depresse il suolo e il sottosuolo delle quali rigurgita peraltro di ricchezze drenate. Dalla Bolivia all’Africa occidentale, la gente più miserabile del mondo lascia i suoi paesi dal suolo e dal sottosuolo ricchissimi, al pieno possesso delle cui risorse avrebbero pur diritto secondo la Carta dell’Onu, per cercare asilo e lavoro in Paesi divenuti opulenti grazie alla secolare rapina di quegli stessi sventurati popoli. E la rapina continua: non ci sono conferenze internazionali, né denunzie all’Onu, né appelli all’opinione pubblica internazionale, né patti intergovernativi bilaterali, né progetti di sviluppo che tengano. (…). La violenza, la frode, la corruzione sono stati gli ingredienti strutturali del colonialismo; e il colonialismo una delle colonne portanti della vita, della potenza, della prosperità dell’Occidente; e l’abolizione dello schiavismo, da un certo momento in poi della nostra storia sette-ottocentesca, è stata del tutto funzionale e compatibile con la dinamica dello sviluppo delle nostre classi dirigenti e addirittura con le dinamiche e i costi della produzione. Questo atroce non-senso, questo scandalo senza nome, i signori di Wall Street e della World Trade Organization nonché gli elitari frequentatori dei meeting di Davos lo conoscono perfettamente. Esso ha provocato e continua a provocare, ha prodotto e continua a produrre guasti immani, comprese le ricorrenti epidemie di terrorismo, le carestie, le guerre e la tragedia senza fine dei boat people, quelli che noi chiamiamo – con un’espressione da disinvolto turismo balneare – “gommoni”. La casistica dei misfatti coloniali riempirebbe intere grandi biblioteche e quel poco che se ne sa o che se ne potrebbe sapere anche solo informandosene senza sforzo grida da solo vendetta al cospetto di Dio. Ma non parlano mai o quasi mai seriamente di queste cose né la nostra educata e schizzinosa società civile, né i media asserviti alle lobby e ai tanti think tank transnazionali che nel loro complesso costituiscono il deep government cui rispondono Paese per Paese, i governi e i partiti che ospitano nel loro seno o tra i finanziatori membri dei “comitati d’affari” lobbistici, né la società civile e la scuola che ne sono degne e magari inconsapevoli complici con il conformismo uso a distribuire patenti di democrazia e di dittatura a comando e a sbattere mostri in prima pagina in modo da coprire mostri ancor peggiori che si nascondono dietro essi. (…). Non abbandoniamoci a ipotesi di complotto universale o a fantasie dietrologiche coperte dal pretesto di un qualche ingegnoso paradigma indiziario. Il “grande complotto”, si può esserne (quasi) certi, non esiste; non c’è alcuna Tavola (né rotonda, né di altre forme geometriche) attorno alla quale seggano “Superiori Sconosciuti”. Ma disegni e programmi formulati per conseguire interessi particolari di lobby e di corporation da personaggi e da gruppi che contano al di fuori e al di sopra della legalità interna e internazionale, questi sì, ce ne sono parecchi. E le sedi delle corporation, dei club, delle banche, delle imprese, dei pool in cui essi vengono progettati sono ben fornite di stanze dei bottoni, di tavoli, di poltrone e di computer, sia pur non immuni dagli attacchi degli hacker. (…). È troppo presto per comprendere dove sta andando la politica di questi ultimissimi anni; una politica che, peraltro, si trova a far fronte a una crisi climatica che di qui a non molto, complice la desertificazione del sud del mondo, rischia di aumentare i flussi migratori verso i Paesi benestanti, oltre a creare disastri dei quali si stenta a valutare la portata. Se ancora un ventennio or sono le avventure militari Usa sembravano imporli come potenza egemone, oggi lo scenario è diverso. Il governo italiano ha un po’ in sordina ma con decisione definitivamente abbandonato qualunque interesse per il progetto One Belt, One Road egemonizzato dalla Cina: la sua decisione – certo “suggerita” dal nostro potente alleato d’oltreoceano – è stata però giudicata da molti imprenditori della penisola come “in controtendenza”, se non inopportuna per non dire autolesionista. I Brics (…) non sono ancora un’unione militare con esiti paragonabili a quelli della Nato: ma le esercitazioni congiunte di alcuni fra quegli Stati sono ormai sempre più frequenti. La guerra in Ucraina ha spazzato via dalla Russia l’idea che un collegamento politico-economico con l’Europa fosse possibile, così come le bombe hanno spazzato via il Nord Stream tanto voluto dalla Germania e dalla Russia stessa. Oggi la Russia è sempre più “asiatica”, rinforzando la partnership economica con Cina e India, ma anche con altri Paesi asiatici, mentre in Africa le milizie mercenarie Wagner rubano spazio alle vecchie potenze coloniali (Francia, Germania); al contempo, la “Nuova Via della Seta” cinese affronta battute d’arresto in un’Europa sempre più appiattita sulle scelte statunitensi, ma per questo in grave crisi economica, mentre si espande sul suolo africano. È difficile fare la storia del presente, si è detto, soprattutto dinanzi a mutamenti che appaiono con tutta evidenza di portata epocale. Per cui non facciamo previsioni sul domani, neppure su quello prossimo, ma auspichiamo ora più che mai un linguaggio della storia che riesca a narrare la pluralità più di quanto non abbia fatto fino a oggi.

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