“[parlato]: Vorrei essere libero, libero come un uomo.
Vorrei essere libero come un uomo.
Come un uomo appena nato
che ha di fronte solamente la natura
e cammina dentro un bosco
con la gioia di inseguire un’avventura.
Sempre libero e vitale
fa l’amore come fosse un animale
incosciente come un uomo
compiaciuto della propria libertà.
La libertà non è star sopra un albero
non è neanche il volo di un moscone
la libertà non è uno spazio libero
libertà è partecipazione.
[parlato]: Vorrei essere libero, libero come un uomo.
Come un uomo che ha bisogno
di spaziare con la propria fantasia
e che trova questo spazio
solamente nella sua democrazia.
Che ha il diritto di votare
e che passa la sua vita a delegare
e nel farsi comandare
ha trovato la sua nuova libertà.
La libertà non è star sopra un albero
non è neanche avere un’opinione
la libertà non è uno spazio libero
libertà è partecipazione.
La libertà non è star sopra un albero
non è neanche il volo di un moscone
la libertà non è uno spazio libero
libertà è partecipazione.
[parlato]: Vorrei essere libero, libero come un uomo.
Come l’uomo più evoluto
che si innalza con la propria intelligenza
e che sfida la natura
con la forza incontrastata della scienza
con addosso l’entusiasmo
di spaziare senza limiti nel cosmo
e convinto che la forza del pensiero
sia la sola libertà.
La libertà non è star sopra un albero
non è neanche un gesto o un’invenzione
la libertà non è uno spazio libero
libertà è partecipazione.
La libertà non è star sopra un albero
non è neanche il volo di un moscone
la libertà non è uno spazio libero
libertà è partecipazione.” (“La libertà” di Giorgio Gaber)
«Due ragazzi leggono una lettera davanti a centinaia di persone nella sala del Gaumont des Champs-Elysées, e la loro voce trema, sono commossi. Quello che interpretano sono le parole della loro mamma, Narges Mohammadi, che è in carcere in Iran da molti anni perché si è sempre battuta per la difesa dei diritti delle donne e la libertà di tutti i persiani. Le parole di Narges si diffondono in tutto il teatro, ci calano addosso assieme a tutta la commozione e il dolore che pare si possa toccare con mano. Ali e Kian sono due giovani gemelli di diciassette anni che la loro mamma non è riuscita a veder crescere, ma in questa serata che si è svolta lo scorso 12 dicembre a Parigi organizzata da Reporters sans Frontières, che le ha assegnato il premio per la libertà di stampa nella categoria coraggio, ci sono davanti a noi tue testimoni che sostengono con forza una donna, la loro madre che non vedono da nove anni, che è diventato un simbolo di resistenza ma anche una vittima dei soprusi dittatoriali. E questi due giovani le stanno accanto, seppur separati dal carcere. Con loro c’è anche il loro papà, Taghi Rahmani, attivista iraniano per i diritti umani, il quale ascolta e gli vengono le lacrime agli occhi. Ma tutti e tre appaiono uniti, nonostante il dolore e il sacrificio che mostrano con signorilità. Il comitato per il Nobel, assegnando il premio per la pace, ha affermato che “la coraggiosa lotta di Narges Mohammadi ha comportato enormi costi personali. Il regime iraniano l'ha arrestata 13 volte, condannata cinque volte e condannata a un totale di 31 anni di carcere e 154 frustate”. Mohammadi è ancora detenuta nel carcere di Evin e il comitato ha espresso l'auspicio che l'Iran rilasci l'attivista. Lo scorso dicembre i due ragazzi leggono quello che lei ha scritto dal carcere, la loro voce trema: «In questo Paese, in mezzo a tutte le sofferenze, a tutte le paure e a tutte le speranze, e quando, dopo anni di prigionia, mi trovo di nuovo dietro le sbarre e non riesco più nemmeno a sentire le voci dei miei figli, è con il cuore pieno di passione, speranza e vitalità, piena di fiducia nel raggiungimento della libertà e della giustizia nel mio Paese che trascorrerò del tempo in prigione», chiudendo la lettera con un appello a mantenere viva “la speranza della vittoria”. Alla fine, dopo un lunghissimo applauso del pubblico, ci siamo abbracciati. Narges Mohammadi l’ho conosciuta così, tramite la voce e le espressioni dei suoi figli e di suo marito che trasmettono la sua lotta per la libertà di stampa e i diritti umani, diventando un simbolo di coraggio. Anche in carcere non smette di denunciare la terribile situazione dei detenuti, in particolare delle donne. La sua vita è una lotta contro l’oppressione delle donne in Iran. Il suo coraggio e la sua determinazione adesso sono un esempio». (“Narges Mohammadi e il coraggio dei due figli, che la Nobel non ha visto crescere” di Lirio Abbate pubblicato alle ore 20.40 di ieri, 6 di ottobre 2023, sul sito del quotidiano “la Repubblica”).
Messaggio di Narges Mohammadi – 51 anni, perseguitata politica in Iran, insignita del premio “Nobel per la Pace 2023” – fatto uscire dal carcere di Evin-Teheran nel quale è reclusa ininterrottamente dal 16 di novembre dell’anno 2021: Sono molto felice che mi abbiate dato l’opportunità di mandare questo messaggio e provo orgoglio sapendo che arriverà a chi si batte per la libertà d’espressione. Lo scrivo circondata da oltre 60 prigionieri politici nella prigione di Evin, in un momento nel quale il mio Paese è travolto dalle manifestazioni e dalla ribellione popolare, oltre che dalla repressione e dalla violenza del governo. Da anni, il popolo iraniano paga un caro prezzo per far valere i propri diritti fondamentali e per combattere l’autoritarismo e la teocrazia. Sfortunatamente, però, invece di rispondere alle richieste del popolo, il governo ricorre alla repressione, alle esecuzioni sommarie, agli arresti e all’imprigionamento, ai licenziamenti – in particolare nel mondo dell’istruzione - alla tortura e alle condanne al regime di isolamento per strappare sotto stress confessioni senza fondamento. Sono confessioni destinate agli spettacoli televisivi e che successivamente serviranno per fare giudicare i prigionieri da tribunali illegali asserviti alle forze di sicurezza. L’annullamento delle donne è una parte dell’identità, dell’ideologia e della strategia di un governo teocratico repressivo. Per questo motivo oggi assistiamo a rivolte e manifestazioni che chiedono una vera transizione della Repubblica Islamica di Iran verso la democrazia e il ripristino dei diritti umani. Siamo arrivati al punto che donne perdono la propria vita per avere tentato di affermare il diritto di scegliere i vestiti che indossano. Come si può parlare in questo contesto di libertà di espressione? In un Paese nel quale uomini e donne rivendicano da anni la libertà di esprimere le proprie opinioni, parlare di libertà sa di sogno. Mi trovo di nuovo dietro le sbarre, senza poter sentire nemmeno la voce dei miei figli. Eppure, anche dopo anni di prigionia, con tutte le sofferenze, tutte le paure e tutte le speranze, è con il cuore pieno di passione, di speranza, di vitalità - e pieno e di fiducia che nel mio Paese si realizzeranno la libertà e la giustizia - che trascorrerò il mio tempo in prigione. Ciò che vogliamo è la vittoria, la nostra vittoria: vogliamo sconfiggere l’autoritarismo e cancellarlo per sempre dalla nostra storia affinché nel nostro Paese una società civile forte e potente conquisti la democrazia e i diritti umani. Abbiamo bisogno di forza per vincere, di una forza che può solo crescere se conta sulla solidarietà e il supporto del resto del mondo. Ciò che chiedo è un sostegno concreto, iniziative perché siano rilasciati i prigionieri politici e gli attivisti civili e una forte opposizione internazionale alla pena di morte per i manifestanti. I movimenti sociali sono in grado di dare potere alla società civile e allo spazio pubblico, dal quale passa la realizzazione della democrazia. Il mio messaggio? Dare ascolto alla volontà del popolo iraniano per una transizione dal sistema autoritario verso la democrazia e il ripristino dei diritti umani. Ringrazio tutti coloro che in Iran fanno tutto quanto possibile per informare su che cosa sta accadendo. Oggi, molti di loro sono in prigione o subiscono pressioni. Dobbiamo avere la speranza di vincere.
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