Ha scritto il meteorologo Luca Mercalli in “Un eco-socialismo per salvare il pianeta”,
pubblicato sul periodico mensile “Millennium” del mese di agosto 2023: Marx pubblica
il primo volume del Capitale nel 1867. Il concetto di ecologia era già stato elaborato
da Ernst Haeckel nel 1866 in termini di "economia della natura", cioè
la dinamica dei flussi di materia e di energia nella biosfera e di rapporti tra
le diverse specie viventi. Erano idee che circolavano nell'ambiente culturale
di Marx e che lasciarono traccia sia nel Capitale sia in altre sue opere meno
celebri. Sfortunatamente il pensiero ecologico del grande filosofo di Treviri
non è mai stato messo in evidenza, privilegiando la sua narrazione dei rapporti
tra capitalismo e lavoro, tra classi sociali e proprietà dei mezzi di produzione.
Eppure c'erano già in quella seconda metà dell'Ottocento le consapevolezze che
il capitalismo avrebbe minato le basi fondamentali della natura. Si legge nel
primo volume del Capitale: "La produzione capitalista disturba
l'interazione metabolica tra uomo e terra (...) non soltanto derubando il
lavoratore, ma derubando pure il suolo...". E molte altre considerazioni
ecologiche sono contenute nei suoi scritti postumi e inediti. Allora la
rivoluzione industriale basata sul carbone era in atto soprattutto in Europa e
il danno ambientale veniva visto soprattutto attraverso la lente del sovrasfruttamento
agricolo e forestale. Il mondo aveva circa 1,4 miliardi di abitanti e una
concentrazione di CO2 di 287 parti per milione. Il Novecento porterà alla
maldestra sperimentazione del comunismo sovietico che tradì non solo molte aspettative
sociali, ma alimentò la predazione delle risorse naturali esattamente come il
capitalismo estrattivo occidentale, cambiandone semplicemente l'attore
principale: lo Stato al posto dei mercati privati. La crescita infinita, sia
pur impossibile in un mondo finito, diventò l'imperativo globale a cui tutti i
governi si uniformarono e i pochi tentativi di metterla in discussione - come
il Rapporto del Club di Roma sui "limiti della crescita" del 1972,
furono messi a tacere. Mai conti con la fisica si fanno sempre e così arriviamo
a questi primi decenni del Duemila, con otto miliardi di abitanti, 423 parti
per milione cli C02 in atmosfera, riscaldamento globale ed eventi meteorologici
estremi fuori controllo, più plastica che pesci negli oceani, sesta estinzione
in atto: in sostanza, la mancanza di limiti nell'accumulazione e
nell'estrazione di risorse naturali e nell'aumento di popolazione ha portato al
superamento dei limiti fisici planetari identificati nel 2009 da Johan Rockstrom
come parametri di sicurezza per l'esistenza dell'umanità sul pianeta. È la
contraddizione ecologica del neoliberismo: da un lato l'accumulazione di capitale
dipende dalla natura sia come fonte di energia e materie prime, sia come
serbatoio di scarico di scorie e rifiuti, dall'altro esso non riconosce i costi
ecologici che ha generato, ritenendo erroneamente che i processi ambientali
possano rigenerarsi all'infinito. Così facendo prepara il collasso eco-sistemico
e climatico globale che potrebbe trascinare la specie Homo sapiens in un
baratro. Abbiamo dunque bisogno di esplorare urgentemente un'alternativa
economica in grado di salvaguardare clima e ambiente, creando un benessere
sufficiente ed equamente distribuito per le persone, ma senza rincorrere la crescita
infinita del profitto e della produzione. Potrebbe chiamarsi "eco-socialismo",
una parola nuova, che nulla ha a che fare con gli esperimenti del passato ma si
proietta verso un futuro di sostenibilità ambientale e sociale, unica garanzia di
sopravvivenza a lungo termine per l'umanità.
Intervista di Maria Longobardi – letta su
“Lo_Speciale”
su cortese segnalazione dell’amica Agnese A. - al sociologo Paolo
Crepet –
“Crepet ai giovani: «Attenti!
L’ansia non è l’angoscia»” -
pubblicata
il 9 di agosto ultimo:
(…). Cosa pensa dell’eco-ansia e delle altre
paure trasmesse dai mass media? Ritiene che i nuovi mezzi di comunicazione
abbiano cambiato l’uomo in meglio o in peggio? «I media hanno sicuramente
cambiato tante cose, ma non si può dire che tutto sia in un modo piuttosto che
in un altro. Il rischio dei nuovi mezzi di comunicazione è la velocità di
trasmissione moltiplicata per mille volte rispetto a qualche anno fa. Le
conseguenze più immediate sono i rischi di tale rapidità, ossia che questa
corrisponda anche ad una certa superficialità nella ricezione del messaggio.
Quando si entra nella dimensione del “quasi immediato” non c’è spazio per una
riflessione e allora si attua una certa selezione comunicativa in cui vengono
privilegiate le notizie più eclatanti. E sono proprio le informazioni che
suscitano più clamore ad essere responsabili dell’ansia; non di certo quelle
che creano serenità. La tranquillità ha bisogno di un ragionamento,
l’agitazione può provenire anche dalle Fake News».
Professore sull’ eco-ansia non si sofferma.
Ma sui giovani che impatto sta avendo quello che in molti chiamano il
“terrorismo psicologico”? «Non so se siamo realmente arrivati a questo e non
voglio far parte anche io della “comunicazione terroristica”. Credo che l’ansia
sia una cosa di per sé non negativa. Il problema è quando la preoccupazione
produce angoscia perché l’angoscia porta paralisi. Essendo di per sé una
psicopatologia, l’ansia è uno stato dell’animo che alle volte porta cose anche
molto positive».
Ma quindi l’ansia andrebbe trasmessa ai
giovani? E se sì in che modo? «Andrebbe trasferita la voglia di avere dei
progetti, l’ansia per il futuro, non nel senso dell’”aiuto cosa mi succederà”,
ma del pensiero che “ho voglia di fare, non vedo l’ora di partire”. La paura ha
sempre un doppio significato. Se scelgo di intenderla come un insieme di
preoccupazioni negative, allora è un’attitudine personale che ho voluto avere.
Io credo che l’ansia di avere un piano di lavoro non voglia dire angoscia di
quello stesso progetto. Sono due cose molto diverse».
Di chi è la responsabilità e cosa si
dovrebbe trasmettere invece? «Di chi ha in mano gli strumenti per poter
speculare sull’accezione positiva dell’inquietudine piuttosto che su quella
negativa. È chiaro che chi ha questo seguito tenderà a fare proseliti, per
aumentare quelli che oggi sono i followers. E qual è il modo più semplice per
essere seguiti? È dare notizie terrificanti. Il problema non sono le
informazioni in sé, perché se tutto si fermasse lì, come avviene nella
comunicazione politica, non si verificherebbero tali fenomeni. Nella
divulgazione c’è chi dice che sta succedendo un disastro e chi afferma il
contrario, ma gli uni e gli altri non si addentrano oltre nella questione.
Restano ad osservare seduti sull’argine il passare del fiume; è l’atteggiamento
più stupido che si possa avere. E mi meraviglio che i giovani vogliano far
questo».
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