"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi

"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi
"Il bruco" (2017). Nikon Coolpix P900. Foto macro. Stato larvale della falena diurna "Macroglossum stellatarum" volgarmente detta "sfinge colibrì".

venerdì 25 agosto 2023

ItalianGothic. 69 «Ruby al telefono: “Se passo me li dai 5.000? Sono nella merda”».


Ha scritto Daniela Ranieri in “B. e la conversione con le pailettes” pubblicato sul “il Fatto Quotidiano” del 16 di ottobre dell’anno 2014: (…). La recita del dibattito interno svela l’impostura: grazie alla scaltra Pascale, B. deve essersi convinto che l’unica speranza di tornare sulla scena non può che giocarsi su un rovesciamento della sua figura incallita e ormai in declino, e l’ultimo guizzo della sua mitomania sfidare sul piano dello Zeitgeist nientemeno che Papa Francesco.

Così si spiega la difesa dei gay, difesa da quelli come lui, peraltro. Non fa conto ricordare qui tutti gli episodi, i frizzi, le barzellette indecenti di cui B. prima della cura si è reso protagonista nel corso di 20 anni di strafottenza machista. Un commento misogino, una toccatina all’orecchio a un summit internazionale, ed era subito Il vizietto, La patata bollente, la rottura di tutti i codici del galateo istituzionale e di quell’argine di decoro che imporrebbe a un capo di governo di non offendere chi è oggetto di discriminazioni odiose e della patologia violenta e mortifera dell’omofobia. Perché noi ci scordiamo tutto, ma B., che doveva fare la rivoluzione liberale e invece ha inventato un mondo cupamente gaio in cui lui poteva essere irresponsabile e smodato e chi non era come lui veniva deriso o marchiato come “coglione” o “cancro della democrazia”, è stato l’iniziatore di un modo nuovo di politicizzare il corpo e quelle che prima erano considerate vergogne – e quest’ultimo sarebbe pure un merito. Se non che l’ha fatto sempre dalla parte del più forte, difendendo chi non andava difeso e deridendo donne brutte e uomini non eterosessuali, in un delirio narcisistico che lo faceva apparire bello alle donne e forte agli uomini. La sua scorrettezza politica è sempre stata pre-culturale, un’estetica feroce e disinibita ma non radicale, non tarata sull’ineluttabile cambiamento delle società più progredite, perché pure bigotta, parrocchiale, nel suo bislacco mix di Family day e battutacce ai convegni, avances alle hostess di sala, immissione nelle istituzioni di igieniste dentali madrelingua e quoterosa, ma povere di contenuti politici come adesso di politica è vuota questa pseudo-svolta kitsch a favore dei gay. Per chi si difese dicendo “almeno non vado con gli uomini”, la conversione non può che essere superficie, spettacolo, un modo di mettere paillettes al nulla politico della masnada forzista. Nonché un sorpasso a sinistra di Renzi e delle sue majorettes, di cui le sue erano un prototipo manco troppo malvagio. Insomma dai culi agitati in primissimo piano per stordire gli analfabeti al “culo”, metonimia triste per battutisti da crociera, vessillo di una presa di coscienza favorita dalla first-girlfriend, che accusata (…) di essere lesbica diede agio al suo principale di dire “potevi dirmelo, così mi divertivo”, sturando quell’immaginario un po’ così che vuole i maschi in deliquio di fronte ad effusioni saffiche. Che B. SI mostri sereno in tema di sessualità dovrebbe solo farci riflettere su quanto il sesso sia scaduto nel discorso pubblico, maciullato da una politica erotizzata (il succo di ogni fascismo, come in Eros e Priapo di Gadda) e sulla sua abilità di usare gay e lesbiche come sotto elezioni usò gli animali, promettendo sgravi fiscali. E dispiace infine per Vladimir Luxuria, ex deputata di Rifondazione e prima trans a entrare in Parlamento, che nei cafonali selfie coi padroni di casa e il barboncino torna, con un candore che sfiora il cinismo, sull’Isola dei famosi, forse credendo davvero di aver conseguito un punto per la civiltà, forse sfruttando a sua volta ai fini della militanza la circonvenzione dell’anziano latin lover. Fateci sognare un’altra liberazione, per carità.

«Spinaus “il contabile”, silenzioso guardiano di olgettine (e balle)» di Pino Corrias pubblicato su “il Fatto Quotidiano” di ieri giovedì 24 di agosto 2023: Ruby al telefono: “Se passo me li dai 5.000? Sono nella merda”. Nelle ultime 40 stagioni della Grande Abbuffata berlusconiana, non era il cuoco Michele a preparare i pasti migliori nel serraglio di Arcore, ma Giuseppe Spinelli, detto il Contabile, quello che maneggia la carne cruda del contante da dare in pasto ai grandi carnivori – Marcello Dell’Utri, Fedele Confalonieri, Giancarlo Foscale, il fratello Paolo – e a lanciare le frattaglie alle faine che nei dopocena eleganti assaltavano i divani del sultano – Ruby, Iris, Aris, Marysthell, Barbara, Nicole, Raissa, Ioana – tutte armate di tacchi a spillo e telefonino, tutte affamate di proteine al sangue (Iris al telefono con Aris: “Cazzo devo andare da Spinaus, non c’ho più un euro, amo’”; Aris: “A chi lo dici, anch’io, devo chiamare Spin, cazzo!”) che Spinelli distribuiva in forma di banconote da 500 euro, 4 per una cena, 10 per la nanna con doccia, 5 al mese per stare buone. Tariffe stabilite dall’anziano regnante, Silvio B. che alla mamma, alle mogli, ai figli e agli elettori diceva “Non ho mai pagato una donna in vita mia”. Gli hanno creduto tutti. Tranne uno. Tranne Spin, Spinaus, il Contabile, che quei soldi li faceva cantare tra il pollice e il dito medio. La storia di Giuseppe Spinelli – guardiano immobile del Forziere – fa piangere e insieme fa ridere. Intorno a lui accadono l’alfa e l’omega della recente storia italiana, si fanno e si disfano i governi della Repubblica, compaiono mafiosi, mignotte, faccendieri, banchieri, agenti segreti, si dilapidano fortune e se ne accumulano altrettante, si moltiplicano leggi su misura, spuntano oligarchi russi, rais libici, trafficanti di gas, ville imperiali per le mogli da salvaguardare e appartamentini a schiera per le escort da buttare. I bilocali della celebre via Olgettina, gestiti da Nicole Minetti, “Ah, che zoccolame questa casa! – dirà Iris al telefono – Questo condominio è diventato un puttanaio, cazzo!”. Spinelli è la perfetta funzione e finzione del Ragioniere di Famiglia. Il ragiunatt con occhiali da miope, onestà da chierichetto, fedeltà da erbivoro. Obbedisce senza chiedere. Paga senza sapere. Esegue senza capire. O almeno è così che la racconta. È lui che rifornisce di contanti l’animale più pericoloso del serraglio, il palermitano Marcello Dell’Utri, attraverso la moglie Miranda, 32,7 milioni di euro in dieci anni, tra il 2011 e il 2021, più la villa sul Lago di Como ricomprata per 21 milioni, più 30mila euro mensili, nell’ultimo anno, più le parcelle per gli avvocati negli anni dei processi, fino alla condanna per mafia a sette anni di carcere passati come tutta la vita in quel silenzio funzionale che i magistrati di Palermo e di Milano hanno provato invano a dissigillare. Oggi ci prova l’indagine fiorentina sulle stragi e gli attentati del 1993, le bombe a Firenze, Milano, Roma, che secondo i magistrati vedrebbero coinvolti i fratelli Graviano nei panni degli esecutori e la coppia Berlusconi-Dell’Utri in quella degli ispiratori, per tornaconto politico elettorale. Ne sa niente Spinelli? Ma figuriamoci. I soldi che passano per le sue mani sono fuochi di artificio che si illuminano per un solo istante, quando li preleva dal Monte dei Paschi di Siena, filiale di Segrete, e si spengono nel villone di Arcore. Dichiara: “Prelevavo circa 250-300mila euro al mese. A volte anche due volte al mese”. Negli anni delle escort, il 2009 e 2010, “ho portato ad Arcore circa 20 milioni di euro”. Negli anni di Dell’Utri, pure il doppio. Ma lui che ne sa per quali fini? “Lavoro da 43 anni per il dottor Berlusconi. Facevo tutto su sua disposizione. Non ho mai preso soldi di mia iniziativa”. Qualcuno (però) lo ha guadagnato dal fortunatissimo giorno in cui Silvio B. lo ha assunto alla Edilnord, anno 1978, quando dal nulla sono spuntati i miliardi di lire necessari per costruire l’intero quartiere di Milano Due. Da allora Spinelli, ragionier Giuseppe, nato nell’anno 1941 a Settala, provincia di Milano, cattolico fervente, la messa ogni domenica, risulta amministratore in almeno otto holding dell’impero Fininvest. Gestisce gli immobili della Idra e della Dolcedrago. È consigliere in 13 società del gruppo. Oltre che depositario di immensi giacimenti di segreti che gli dormono accanto nell’appartamento che abita, all’ottavo piano di un palazzone a Bresso, insieme con la moglie Anna. Mai è cambiato il suo ufficio, dietro gli specchi della Residenza Parco di Milano Due, che per tanti anni, durante le inchieste per corruzione, frodi fiscali, fondi neri, movimenti bancari sospetti, è sempre risultato “di pertinenza dell’Ufficio politico di Silvio B”, dunque inviolabile per gli investigatori che ogni tanto provavano a scavalcare le disposizioni parlamentari e l’inflessibile Contabile che sulla soglia li respingeva con il suo gentilissimo sorriso dedicato non agli intrusi, ma alla manzoniana provvidenza. Una sola interferenza – nella notte tra il 15 e il 16 ottobre 2012 – ha movimentato la sua vita in grigio. Quando una banda di rapitori, un italiano, due albanesi, gli entrarono in casa, alle nove di sera, offrendo “registrazioni segrete contro il nemico De Benedetti” in cambio di 35 milioni di euro. Restano tutta la notte, sonnecchiando armati sul divano di casa, mentre lui e la moglie vengono chiusi nella camera da letto. Alle 7:30, Spinaus prima prepara il caffè per tutti, poi telefona al Dottore ad Arcore. Il quale non chiama i carabinieri – mica si fida dello Stato che gestisce da una ventina d’anni – ma l’avvocato Ghedini. Che a sua volta chiede maggiori ragguagli sui fantomatici documenti. Dalla nebbia delle ricostruzioni risulta che i rapitori a metà mattina se ne vanno, forse hanno concordato un riscatto di 8 milioni, forse nulla. Solo a quel punto vengono chiamati polizia e magistratura. Toccherà a Ilda Boccassini arrestare la banda dopo un mese di indagini. Tutti confessano il sequestro, nessuno il movente. Berlusconi e Ghedini muovono i burattini in scena. Il sipario del tempo archivia anche loro. Ma non il Contabile, che ancora presidia il bancomat delle meraviglie terrene. C’è da saldare l’ultima rata da 30 milioni a Marcello. I 100 milioni a Marta, la finta moglie. I 90 di debiti ai vivi morenti di Forza Italia. Per poi correre ogni domenica in chiesa a espiare i molti peccati dei carnivori ricchi, con qualche spicciolo ai poveri.

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