"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi

"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi
"Il bruco" (2017). Nikon Coolpix P900. Foto macro. Stato larvale della falena diurna "Macroglossum stellatarum" volgarmente detta "sfinge colibrì".

mercoledì 9 agosto 2023

Quellichelasinistra. 34 Pino Corrias: «A parte il masochismo, Piero ha poche passioni: la Juve, il jazz, le melanzane alla parmigiana».


Ha scritto Marco Travaglio in “L’Uomo Boomerang” pubblicato su “il Fatto Quotidiano” del 4 di agosto 2023: (…). Sette legislature e una sindacatura parlano per lui: l’autogol gli viene naturale come al mitico Comunardo Niccolai, la gaffe sfolla-elettori gli sgorga dal cuore, la profezia menagramo è un moto spontaneo a fin di bene. Tutto si può imputare all’Uomo Boomerang, incrocio tra Fantozzi e Tafazzi, fuorché la malafede. Nel 2000, ministro della Giustizia, per combattere meglio B., fa la legge contro i pentiti che B. non era riuscito a fare e promette pure di “depenalizzare i reati finanziari”. Nel 2001 teorizza la mancata legge sul conflitto d’interessi con l’esigenza di evitare che B. “facesse la vittima”: così B. vince altre due elezioni facendo la vittima grazie alla mancata legge sul conflitto d’interessi. Nel 2005, leader Ds, difende i furbetti che scalano banche e giornali contro la “puzza sotto il naso” di chi obietta. E, sempre per sintonizzarsi col popolo, va dalla De Filippi a C’è posta per te e piange con la vecchia tata. Siccome il centrosinistra rischia di vincere le elezioni del 2006, si fa beccare al telefono con Consorte sulla scalata Unipol a Bnl (poi ovviamente fallita): “Allora, siamo padroni della banca?”. Per scaldare vieppiù i cuori dei compagni, si dice “pronto ad allearmi con Marchionne: lui sì che è un vero socialdemocratico”. E completa l’opera issando Craxi nel “Pantheon del Pd con Pertini e Nenni”. Le sue profezie sono meglio delle Centurie di Nostradamus. “L’Ulivo darà una mano a Ségolène Royal”: 13 giorni dopo la Royal perde rovinosamente con Sarkozy. “Se Grillo vuol far politica, fondi un partito e vediamo quanti voti prende”: Grillo, che non ci aveva pensato, ringrazia e fonda i 5Stelle, che prenderanno parecchi voti. “Se Padellaro e Travaglio vogliono scrivere ciò che gli pare sull’Unità, fondino un giornale e vediamo chi lo legge”: nasce il Fatto e l’Unità muore (o rinasce con Sansonetti, che è lo stesso). “Se la Appendino vuol fare il sindaco, si candidi al mio posto e vediamo chi la vota”: subito eletta al suo posto. “Il referendum (di Renzi, ndr) non può fallire”: fallisce. “Non prevedo l’invasione dell’Ucraina, per Putin sarebbe un azzardo”: 48 ore dopo Putin invade l’Ucraina. Ora urge una robusta museruola, anche perché un anno fa Fassino riuscì a dichiarare: “Putin sul nucleare bluffa”. E, per la prima volta, non successe nulla. Non vorremmo che gli venisse l’idea di ripeterlo per non rovinarsi lo score.
“Fassino, un birichino in barca tra sconfitte e profezie boomerang”, testo di Pino Corrias pubblicato su “il Fatto Quotidiano” del 6 di agosto ultimo: Ma come li scelgono, come li selezionano per allestire il disastro? Primeggia per efficacia e per età Piero Fassino, l’eterno incursore che con parole e gesti al plastico, di tanto in tanto, squarcia la chiglia del partito e poi si accomoda sulla prua per vedere il panico e anche la sfiga che è stato capace di generare tra le schiume della cronaca e della politica. Che il pubblico iracondo trasforma in satira, rancori persistenti. E immediati voti a destra. “Noi parlamentari – ha detto l’altro giorno issandosi sui velluti della Camera dei deputati – guadagniamo solo 4.718 euro al mese”, altro che stipendi d’oro. Lo ha detto sventolando il cedolino come fosse il suo personale certificato di buona condotta. Per poi godersi (con tutti i 13mila euro mensili in tasca) la pioggia di uova, arance, pomodori e altre sottigliezze contabili che gli sono piovute sul suo fresco di lana stazzonato che indossa – secondo la storica testimonianza della signora Elsa, la sua tata di infanzia torinese – da tre quarti di secolo, cravatta compresa. Come li scelgono, come li selezionano? Enrico Letta lo hanno fatto venire appositamente da Parigi dove insegnava la Scienza della politica per tornare in patria e scientificamente perdere le ultime elezioni, riuscendo nell’impresa di spedire Io-Sono-Giorgia al vertice dell’esecutivo con il suo bivacco di manipoli, per la gioia silenziosa e anche divertita dello zio Gianni che a ogni scadenza elettorale si prende sulle ginocchia il nipote, come si fa coi pupi, per scagliarlo contro i nemici. L’altro capolavoro lo hanno fatto pescando, tra i campanili italiani, quel Matteo Renzi, funzionario semplice di Rignano, che sul tavolo verde del Nazareno e poi su quello delle riforme costituzionali si è giocato l’osso del collo del partito, perdendo alla grande, per poi dileguarsi a rifare cassa tra le sabbie saudite, sporche di sangue e di petrolio. Tornando ogni tanto a tirare calci negli stinchi al suo bullizzato preferito, Carletto Calenda, uno degli ultimi bamba che ancora accetta di giocare a palla nel giardino di Renzi, con le regole di Renzi, mentre gli altri se ne sono già andati al Twiga in compagnia della sciantosissima Maria Elena Boschi, a spendere 500 euro al giorno per una tenda e uno Spritz, sentendosi ricchi, moderni, persino spregiudicati. Democratici anche no. La super balla dei parlamentari indigenti, Piero Fassino se l’è giocata al momento giusto, mentre tutti gli equipaggi democratici remavano a favore del salario minimo, 9 euro l’ora, soglia della decenza che consentirebbe ad almeno 3 milioni di italiani di non lavorare in piena povertà. E insieme al pane, festeggiare la cena con un paio di scatolette di tonno Rio Mare. In 60 anni di carriera, sui 74 anagrafici, Piero Fassino è stato e ha detto quasi tutto: viva e abbasso l’Unione Sovietica, viva e abbasso la Cina, abbasso e viva l’America. È stato militante comunista e post comunista, dirigente, sette volte deputato, segretario del partito, sindaco, due volte ministro, una volta sottosegretario. Ha irriso Grillo: “Vuol fare politica? Fondi un partito e vediamo quanti voti prende”. Ha sfidato Chiara Appendino e ha perso la poltrona di primo cittadino a Torino. La passione politica viene dal padre che fu comandante partigiano, compagno d’armi di Enrico Mattei che nel Dopoguerra lo nominò concessionario Agipgas per il Piemonte. Per questo Piero nasce benestante ad Avigliana, anno 1949. Cresce circondato dal grigio della città fabbrica e dalla immobilità del partito che assorbe, con qualche diserzione di intellettuali dissidenti, l’invasione dell’Ungheria, anno 1956, e poi della Cecoslovacchia: i carri armati mandati da Mosca a spazzare via da Praga la Primavera, anno 1968. Quella volta Piero annota: “Capii che la libertà viene prima di ogni altra cosa”. Ma siccome è appena uscito dal liceo dei gesuiti, fa il contrario, iscrivendosi al partito, dove si trova subito benissimo: segretario della federazione giovanile provinciale, tanti saluti alle ceneri di Jan Palach. Apostolo della disciplina di partito e dell’etica del lavoro, veste in giacca e cravatta, combatte ogni deriva movimentista, detesta i No-Tav. Ammira (invece) tutti quelli che galleggiano a destra, “dall’amico Giuliano Ferrara”, al “leale” Mastella. Sarà il primo a riabilitare Bettino Craxi, “una figura da inserire nel Pantheon del Partito democratico”. Al quale annette volentieri anche le banche e i banchieri. Resta celebre il suo “Abbiamo una banca!”, nella telefonata registrata con Giovanni Consorte, il capo di Unipol, impegnato nella scalata alla Bnl, anno 2005. Un po’ meno note sono le sue estati a bordo dello yacht Electa, 40 metri con bandiera del Principato di Monaco, in compagnia dell’emerito di Banca Intesa, Giovanni Bazoli. Come a casa gli piace rigovernare i piatti dopo le cene, così nel partito riordina le sedie dopo le riunioni e persino le correnti dopo le scissioni. Specie in quei sette anni da segretario del partito, 2001-2007, che allora si chiamava Ds, Democratici di sinistra, ma anche Democratici sinistrati, visto lo strapotere di Berlusconi che si era preso il governo e tenuto le tv, grazie alla permanente guerra fratricida dei progressisti, cominciata con l’isolamento di Occhetto, con le mine antiuomo disseminate per divertimento da Bertinotti, con l’insonne congiura di D’Alema contro Prodi e contro se stesso, con la deriva prima kennediana e poi artistica di Veltroni. Fino al segreto accordo con l’ammirato nemico, rivelato alla Camera da Luciano Violante: “Lei sa benissimo, onorevole Berlusconi, che le avevamo dato piena garanzia – non da adesso, ma dal 1994 – che non sarebbero state toccate le sue televisioni”. A ogni bivio della Storia, lui si mantiene in scia. Ieri l’altro stava con Stefano Bonaccini, il leader sconfitto. Oggi sta con Elly Schlein, la segretaria che ha vinto. A parte il masochismo, Piero ha poche passioni: la Juve, il jazz, le melanzane alla parmigiana. Naturalmente le donne con le quali, D’Alema dixit, “si trova come un cavatappi in un’enoteca”. Esuberanza che da qualche tempo perfeziona aggiungendo preziose rassegne dei propri selfie che spedisce in omaggio alle sue presunte ammiratrici. Chiede attenzioni, direbbe lo psichiatra. Ma come con il magro cedolino, incassa risate.

P.S. Fotogrammi tratti dal film "Novecento" (1976) di Bernardo Bertolucci.

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