Ha scritto Marco Travaglio in “L’Uomo Boomerang” pubblicato su “il Fatto Quotidiano” del 4 di agosto
2023: (…). Sette legislature e una sindacatura parlano per lui: l’autogol gli
viene naturale come al mitico Comunardo Niccolai, la gaffe sfolla-elettori gli
sgorga dal cuore, la profezia menagramo è un moto spontaneo a fin di bene.
Tutto si può imputare all’Uomo Boomerang, incrocio tra Fantozzi e Tafazzi,
fuorché la malafede. Nel 2000, ministro della Giustizia, per combattere meglio
B., fa la legge contro i pentiti che B. non era riuscito a fare e promette pure
di “depenalizzare i reati finanziari”. Nel 2001 teorizza la mancata legge sul
conflitto d’interessi con l’esigenza di evitare che B. “facesse la vittima”:
così B. vince altre due elezioni facendo la vittima grazie alla mancata legge
sul conflitto d’interessi. Nel 2005, leader Ds, difende i furbetti che scalano
banche e giornali contro la “puzza sotto il naso” di chi obietta. E, sempre per
sintonizzarsi col popolo, va dalla De Filippi a C’è posta per te e piange con
la vecchia tata. Siccome il centrosinistra rischia di vincere le elezioni del
2006, si fa beccare al telefono con Consorte sulla scalata Unipol a Bnl (poi
ovviamente fallita): “Allora, siamo padroni della banca?”. Per scaldare vieppiù
i cuori dei compagni, si dice “pronto ad allearmi con Marchionne: lui sì che è
un vero socialdemocratico”. E completa l’opera issando Craxi nel “Pantheon del
Pd con Pertini e Nenni”. Le sue profezie sono meglio delle Centurie
di Nostradamus. “L’Ulivo darà una mano a Ségolène Royal”: 13 giorni dopo la
Royal perde rovinosamente con Sarkozy. “Se Grillo vuol far politica, fondi un
partito e vediamo quanti voti prende”: Grillo, che non ci aveva pensato,
ringrazia e fonda i 5Stelle, che prenderanno parecchi voti. “Se Padellaro e
Travaglio vogliono scrivere ciò che gli pare sull’Unità, fondino un giornale e
vediamo chi lo legge”: nasce il Fatto e l’Unità muore (o rinasce con
Sansonetti, che è lo stesso). “Se la Appendino vuol fare il sindaco, si candidi
al mio posto e vediamo chi la vota”: subito eletta al suo posto. “Il referendum
(di Renzi, ndr) non può fallire”: fallisce. “Non prevedo l’invasione
dell’Ucraina, per Putin sarebbe un azzardo”: 48 ore dopo Putin invade
l’Ucraina. Ora urge una robusta museruola, anche perché un anno fa Fassino
riuscì a dichiarare: “Putin sul nucleare bluffa”. E, per la prima volta, non
successe nulla. Non vorremmo che gli venisse l’idea di ripeterlo per non
rovinarsi lo score.
“Fassino, un
birichino in barca tra sconfitte e profezie boomerang”, testo di Pino
Corrias pubblicato su “il Fatto Quotidiano” del 6 di agosto ultimo: Ma
come li scelgono, come li selezionano per allestire il disastro? Primeggia per
efficacia e per età Piero Fassino, l’eterno incursore che con parole e gesti al
plastico, di tanto in tanto, squarcia la chiglia del partito e poi si accomoda
sulla prua per vedere il panico e anche la sfiga che è stato capace di generare
tra le schiume della cronaca e della politica. Che il pubblico iracondo
trasforma in satira, rancori persistenti. E immediati voti a destra. “Noi
parlamentari – ha detto l’altro giorno issandosi sui velluti della Camera dei
deputati – guadagniamo solo 4.718 euro al mese”, altro che stipendi d’oro. Lo
ha detto sventolando il cedolino come fosse il suo personale certificato di
buona condotta. Per poi godersi (con tutti i 13mila euro mensili in tasca) la
pioggia di uova, arance, pomodori e altre sottigliezze contabili che gli sono
piovute sul suo fresco di lana stazzonato che indossa – secondo la storica
testimonianza della signora Elsa, la sua tata di infanzia torinese – da tre
quarti di secolo, cravatta compresa. Come li scelgono, come li selezionano? Enrico Letta lo hanno fatto venire appositamente da Parigi dove insegnava la
Scienza della politica per tornare in patria e scientificamente perdere le
ultime elezioni, riuscendo nell’impresa di spedire Io-Sono-Giorgia al vertice
dell’esecutivo con il suo bivacco di manipoli, per la gioia silenziosa e anche
divertita dello zio Gianni che a ogni scadenza elettorale si prende sulle
ginocchia il nipote, come si fa coi pupi, per scagliarlo contro i nemici. L’altro
capolavoro lo hanno fatto pescando, tra i campanili italiani, quel Matteo
Renzi, funzionario semplice di Rignano, che sul tavolo verde del Nazareno e poi
su quello delle riforme costituzionali si è giocato l’osso del collo del
partito, perdendo alla grande, per poi dileguarsi a rifare cassa tra le sabbie
saudite, sporche di sangue e di petrolio. Tornando ogni tanto a tirare calci
negli stinchi al suo bullizzato preferito, Carletto Calenda, uno degli ultimi
bamba che ancora accetta di giocare a palla nel giardino di Renzi, con le
regole di Renzi, mentre gli altri se ne sono già andati al Twiga in compagnia della
sciantosissima Maria Elena Boschi, a spendere 500 euro al giorno per una tenda
e uno Spritz, sentendosi ricchi, moderni, persino spregiudicati. Democratici
anche no. La super balla dei parlamentari indigenti, Piero Fassino se l’è
giocata al momento giusto, mentre tutti gli equipaggi democratici remavano a
favore del salario minimo, 9 euro l’ora, soglia della decenza che consentirebbe
ad almeno 3 milioni di italiani di non lavorare in piena povertà. E insieme al
pane, festeggiare la cena con un paio di scatolette di tonno Rio Mare. In 60
anni di carriera, sui 74 anagrafici, Piero Fassino è stato e ha detto quasi
tutto: viva e abbasso l’Unione Sovietica, viva e abbasso la Cina, abbasso e
viva l’America. È stato militante comunista e post comunista, dirigente, sette
volte deputato, segretario del partito, sindaco, due volte ministro, una volta
sottosegretario. Ha irriso Grillo: “Vuol fare politica? Fondi un partito e
vediamo quanti voti prende”. Ha sfidato Chiara Appendino e ha perso la poltrona
di primo cittadino a Torino. La passione politica viene dal padre che fu
comandante partigiano, compagno d’armi di Enrico Mattei che nel Dopoguerra lo
nominò concessionario Agipgas per il Piemonte. Per questo Piero nasce
benestante ad Avigliana, anno 1949. Cresce circondato dal grigio della città
fabbrica e dalla immobilità del partito che assorbe, con qualche diserzione di
intellettuali dissidenti, l’invasione dell’Ungheria, anno 1956, e poi della
Cecoslovacchia: i carri armati mandati da Mosca a spazzare via da Praga la
Primavera, anno 1968. Quella volta Piero annota: “Capii che la libertà viene
prima di ogni altra cosa”. Ma siccome è appena uscito dal liceo dei gesuiti, fa
il contrario, iscrivendosi al partito, dove si trova subito benissimo:
segretario della federazione giovanile provinciale, tanti saluti alle ceneri di
Jan Palach. Apostolo della disciplina di partito e dell’etica del lavoro, veste
in giacca e cravatta, combatte ogni deriva movimentista, detesta i No-Tav.
Ammira (invece) tutti quelli che galleggiano a destra, “dall’amico Giuliano
Ferrara”, al “leale” Mastella. Sarà il primo a riabilitare Bettino Craxi, “una
figura da inserire nel Pantheon del Partito democratico”. Al quale annette
volentieri anche le banche e i banchieri. Resta celebre il suo “Abbiamo una
banca!”, nella telefonata registrata con Giovanni Consorte, il capo di Unipol,
impegnato nella scalata alla Bnl, anno 2005. Un po’ meno note sono le sue
estati a bordo dello yacht Electa, 40 metri con bandiera del Principato di
Monaco, in compagnia dell’emerito di Banca Intesa, Giovanni Bazoli. Come a casa
gli piace rigovernare i piatti dopo le cene, così nel partito riordina le sedie
dopo le riunioni e persino le correnti dopo le scissioni. Specie in quei sette
anni da segretario del partito, 2001-2007, che allora si chiamava Ds,
Democratici di sinistra, ma anche Democratici sinistrati, visto lo strapotere
di Berlusconi che si era preso il governo e tenuto le tv, grazie alla
permanente guerra fratricida dei progressisti, cominciata con l’isolamento di
Occhetto, con le mine antiuomo disseminate per divertimento da Bertinotti, con
l’insonne congiura di D’Alema contro Prodi e contro se stesso, con la deriva
prima kennediana e poi artistica di Veltroni. Fino al segreto accordo con
l’ammirato nemico, rivelato alla Camera da Luciano Violante: “Lei sa benissimo,
onorevole Berlusconi, che le avevamo dato piena garanzia – non da adesso, ma
dal 1994 – che non sarebbero state toccate le sue televisioni”. A ogni bivio
della Storia, lui si mantiene in scia. Ieri l’altro stava con Stefano
Bonaccini, il leader sconfitto. Oggi sta con Elly Schlein, la segretaria che ha
vinto. A parte il masochismo, Piero ha poche passioni: la Juve, il jazz, le
melanzane alla parmigiana. Naturalmente le donne con le quali, D’Alema dixit,
“si trova come un cavatappi in un’enoteca”. Esuberanza che da qualche tempo
perfeziona aggiungendo preziose rassegne dei propri selfie che spedisce in
omaggio alle sue presunte ammiratrici. Chiede attenzioni, direbbe lo
psichiatra. Ma come con il magro cedolino, incassa risate.
P.S. Fotogrammi tratti dal film "Novecento" (1976) di Bernardo Bertolucci.
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