“Scoop: è stato Berlusconi a fare il sessantotto”, testo di Massimiliano Panarari - che riporta le “memorie” del filosofo Mario Perniola riproposte nella nuova edizione del Suo volume “Berlusconi o il ’68 realizzato” (edito da Mimesis, pagg. 112, euro 8) - pubblicato sul settimanale “il Venerdì di Repubblica” dell’11 di agosto ultimo: (…). Provocazione. Una tesi controcorrente, e argomentata anche in maniera provocatoria (e a tratti persino urticante) ma sempre serrata, quella sul berlusconismo continuazione del sessantottismo con altri mezzi (e altri fini), che ha conosciuto ulteriori sviluppi (…). Parlando con cognizione di causa, da osservatore partecipante di quella stagione, Perniola scrive a proposito del fondatore di Fininvest: «Per chi ha vissuto all'interno di quel movimento, non è difficile trovare in lui quella volontà di potenza, quel trionfalismo farneticante, quella estrema determinazione di destabilizzare tutta la società da cui il Sessantotto fu pervaso». Ovvero, «con Berlusconi si chiude un periodo storico iniziato negli anni Sessanta, nel quale le basi logiche del pensare e dell'agire sono state sostituite da un sentire collettivo manipolato e delirante, lunatico e stravagante». E ora che anche il trentennio berlusconiano si è chiuso con la scomparsa del suo protagonista queste riflessioni risultano di stringente attualità. Slogan e iperattivismo. Nel berlusconismo il filosofo - a lungo professore di Estetica all'università di Roma Tor Vergata - legge l'inveramento di varie parole d'ordine del «Sessan-totto-pensiero», a partire dal celebre slogan «Non lavorate mai!» di Guy Debord (e, gira e rigira, sempre dalle parti del situazionismo si torna). Associare quell'esortazione all'iperattivo tycoon milanese, esponente idealtipico dell'inclinazione brianzola per il fare e il «ghe pensi mi!», potrebbe apparire a prima vista un'assurdità, riconosce Perniola. Ma, per un verso, è come se lui - e gli altri ricchissimi protagonisti dell'ascesa del neoliberismo - avessero direttamente assorbito buona parte del lavoro esistente; una questione evidente oggi in seno a quella che assomiglia sempre più a una jobless society. Il Berlusconi che passa dal mattone all'etere è, sempre e comunque, denaro che genera denaro – al punto che l'autore racconta del suo curioso lapsus che gli impedisce di ricordare subito il cognome dell'imprenditore obbligandolo a fare una serie di associazioni mentali per arrivarci. Proprio perché lui è finanza che si fa astrazione (come il suo nome, che diviene evanescente e si smaterializza). E il capitalismo finanziario è gioco, nell' accezione del filosofo Gadamer: un insieme di regole per finalizzare il profitto attraverso l'intrattenimento dagli anni Ottanta in avanti. Come pure costruzione di reti (e intrighi), di cui Berlusconi fu maestro: il capitalismo connessionista, che fa guadagnare e sviluppa nuovi business attraverso la massimizzazione delle relazioni. Ovvero dei network, e così arriviamo direttamente con un balzo dentro l'attuale economia digitale. Ma lo spirito sessantottino (suo malgrado) di Berlusconi aleggia ovunque, nella fine della famiglia come in quella della scuola e dell'università, e della stessa borghesia, di cui il capitalismo neoliberale non ha più bisogno, e le cui professioni qualificate - dal professore al giornalista e al giudice - considera troppo costose e da ridurre ai minimi termini perché da parecchio ha bloccato l'ascensore sociale. Intellettuali disprezzati. In buona sostanza, «il signor B.» si trova sempre a raccogliere l'onda lunga dei tardi anni Sessanta, rovesciandone il segno ma realizzandone le finalità sovversive. È il compimento, attraverso una «rivoluzione spettrale», della destrutturazione dell'autorità e dell'autorevolezza di genitori, insegnanti ed esperti. Il disprezzo verso gli intellettuali (come nella Cina della "rivoluzione culturale" maoista) e la distruzione della sanità, considerata all'epoca una scienza borghese ossessionata dall'ospedalizzazione forzata, mentre già si diffondevano quelle suggestioni naturiste che tanta influenza avrebbero avuto sul fenomenono-vax. Insomma quello che non poté Ivan Illich è perfettamente riuscito a Silvio Berlusconi. E alla sua corte di post-sessantottini e pseudosituazionisti, oltre che di ex-settantasettini, che tra gli anni Ottanta e Novanta ha creato la neo-televisione commerciale (come l'ha definita Umberto Eco), convertendo in riflusso edonistico il giovanilismo barricadero (e narcisistico) e l'anti-istituzionalismo del Maggio parigino. Perniola se la prende con il pensiero debole, identificato come ideologia di questo sommovimento, e foglia di fico di una generalizzata ignoranza - che in termini più politicamente corretti dovremmo definire smobilitazione cognitiva - preesistente al berlusconismo ma da esso allargata a dismisura e strumentalizzata prima per ragioni commerciali e, in seguito, elettorali. E si scaglia contro i meccanismi dell'imperialismo comunicativo della società dell'immagine e dello spettacolo, che aveva magistralmente decostruito nel libro Contro la comunicazione (2004). E che le sue argomentazioni siano tutt'altro che peregrine lo dimostra proprio la tv berlusconiana, che si riempì di coloro che avevano voluto dare l’assalto al cielo ma hanno preferito espugnare il "palazzetto d'inverno" dei tinelli e delle sale da pranzo degli italiani.
"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi
giovedì 17 agosto 2023
Memoriae. 68 «La tv berlusconiana si riempì di coloro che avevano voluto dare l’assalto al cielo ma hanno preferito espugnare il "palazzetto d'inverno" dei tinelli e delle sale da pranzo degli italiani».
Ha scritto Camilla Cederna in “Serve una città? Chiama Berlusconi” pubblicato sul settimanale “l’Espresso”
del 10 di aprile dell’anno 1977 e riportato sull’ultimo numero del settimanale “d”
del quotidiano “la Repubblica” del 12 di agosto 2023: In un ambiente di lusso, saloni
uno via l’altro, prati di moquette, sculture che si muovono, pelle, mogano e
palissandro, continua a parlare un uomo non tanto alto, con un faccino tondo da
bambino coi baffi, nemmeno una ruga, e un nasetto da bambola. Completo da
grande sarto, leggero profumo maschio al limone. Mentre il suo aspetto
curato, i suoi modini gentili, la sua continua esplosione di idee piacerebbero
a un organizzatore di festini e congressi, il suo nome sarebbe piaciuto molto
a C.E. Gadda. Si chiama infatti Silvio Berlusconi. Un milanese che vale miliardi,
costruttore di smisurati centri residenziali, ora proprietario della stupenda
villa di Arcore dove vissero Gabrio Casati e Teresa Confalonieri (con
collezione di pittori lombardi del ’500, e mai nessun nudo per non offendere la
moglie, religiosissima), quindi della villa ex Borletti ai margini del parco
di Milano. Allergico alle fotografie («magari anche per via dei rapimenti»,
spiega con un sorriso ironico solo a metà) è soddisfattissimo che nessuno lo
riconosca né a Milano né in quella sua gemma che considera Milano 2. Siccome
è la sua prima intervista, è felice di raccontarmi la sua vita felice. Media
borghesia, il papà direttore di banca che, a liceo finito, non gli dà più la
mancia settimanale; ma lui non si dispera, perché, mentre studia legge, lavora
in vari modi: suonando Gershwin o cantando le canzoni francesi alle feste
studentesche. Non solo, ma fra un trenta e lode e l’altro, fa il venditore di
elettrodomestici, e la sua strada è in salita: da venditore a venditore capo a
direttore commerciale. Dopo la sua tesi di laurea sulla pubblicità (il
massimo dei voti) inizia la sua vera attività entrando successivamente in due
importanti imprese di costruzione. A venticinque anni crea un complesso di
case intorno a piazza Piemonte, ecco quindi la fortunatissima operazione di
Brugherio, una lottizzazione destinata al ceto medio basso, mille appartamenti
che van via subito; e preso dal piacere di raccontare, ogni tanto va nel
difficile, dice congesto, macrourbanistica, architettura corale, la
connotazione del mio carattere è la positività, natura non facit saltus. Il
suo sogno sarebbe esser ricercato in tutto il mondo per fare città, e
“chiamiamo il Berlusconi” dovrebbe essere l’invocazione di terre desiderose di
espandersi. Di Milano 2, l’enorme quartiere residenziale nel Comune di Segrate,
parla come di una donna che ama, completa com’è di ogni bellezza e comfort, e
centomila abitanti, che a dir che sono soddisfatti è dir poco. Lui legge tutte
le novità di architettura e urbanistica, qualche bestseller ogni tanto,
rilegge spesso L’utopia di Tommaso Moro, sul quale vorrebbe scrivere un
saggio. Si ritiene l’antitesi del palazzinaro, si ritiene un progressista, è
cattolico e praticante, ha votato Dc; e «se l’urbanistica è quella che si
contratta fra costruttori e potere politico, la mia allora non è urbanistica».
Grazie, e vediamo cosa dicono gli altri di lui. Lo considerano uno dei maggiori
speculatori edilizi del nostro tempo che, valendosi di grosse protezioni vaticane
e bancarie, vende le case e prende i soldi prima ancora di costruirle,
lucrando in proprio miliardi di interessi. Si lega prima con la base dc
(Marcora e Bassetti), poi col centro, così che il segretario provinciale
Mazzotta è il suo uomo. Altro suo punto di riferimento è il Psi, cioè Craxi,
che vuol dire Tognoli, cioè il sindaco. E qui viene contraddetta la sua avversione
verso l’urbanistica come compromesso tra politici e costruttori. La società di
Berlusconi è la Edilnord, fondata nel ’63 da lui e da Renzo Rezzonico,
direttore di una società finanziaria con base a Lugano, liquidata nel ’71 per
segrete ragioni. Viene fondata allora la Edilnord centri residenziali con le
stesse condizioni della compagnia di prima: lo stesso capitale sociale (circa
10mila dollari), la stessa banca svizzera che fa i prestiti (la International
Bank di Zurigo) ed ecco Berlusconi procuratore generale per l’Italia. Nel ’71
il consiglio dei Lavori Pubblici dichiara ufficialmente residenziale la terra
di Berlusconi (comprata per 500 lire al metro quadrato nel ’63 e venduta
all’Edilnord per 4.250). Da Segrate (amministrazione di sinistra prima, poi
socialista e dc) vengono concesse all’Edilnord licenze edilizie in cambio di
sostanziose somme di danaro. Umberto Dragone, allora capo del gruppo
socialista nel consiglio di Milano, pensa che l’Edilnord abbia pagato ai
partiti coinvolti il 5-10 per cento dei profitti (18-19 miliardi) che si
aspettava da Milano 2. (Qualche appartamento arredato pare sia stato dato
gratis ad assessori e tecnici dc e socialisti. Certo è che questo regalo lo ha
avuto un tecnico socialista che vive lì con una fotomodella). «II silenzio non
ha prezzo, ecco il paradiso del silenzio», era scritto sulla pubblicità di
questa residenza per alta e media borghesia. Ma il silenzio da principio non
c’era. L’aeroporto di Linate è lì a un passo, ogni 90 secondi decollava un
aereo, intollerabili le onde sonore, superiori a 100 decibel. Così l’Edilnord
si muove a Roma, manovrando i ministeri, per ottenere il cambio delle rotte
degli aerei. Approfittando della vicinanza di un ospedale, il San Raffaele,
diretto da un prete trafficone e sospeso a divinis, don Luigi Maria Verzé,
manda ai vari ministeri una piantina in cui la sua Milano 2 risulta zona
ospedaliera e la cartina falsa verrà distribuita ai piloti (con su la croce,
simbolo internazionale della zona di rispetto), così le rotte vengono cambiate
spostando l’odioso inquinamento da rumore da Milano 2 alla sezione nord-est
di Segrate che per anni protesterà invano: e il prezzo degli appartamenti
viene subito triplicato. Altre notizie. Berlusconi sta mettendo in cantiere la
sua nuova Milano 3 nel Comune di Basiglio a sud della città, con appartamenti
di tipo “flessibile”, cioè con pareti che si spostano secondo le esigenze
familiari. In settembre comincerà a trasmettere dal grattacielo Pirelli la sua
Telemilano, una televisione locale con dibattiti sui problemi della città,
un’ora al giorno offerta ai giornali (egli possiede il 15% del Giornale di
Montanelli). «Troppi sono oggi i fattori ansiogeni», dice, «la mia sarà una tv
ottimista». Staff di otto redattori, più tecnici e cameramen, quaranta persone
in tutto. E pare che in questo suo progetto sia stato aiutato dall’amico
Vittorino Colombo, ministro delle Poste e della Tv. Berlusconi aveva anche
pensato di fondare un circolo di cultura diretto da Roberto Gervaso; la sua
idea preferita però era quella di creare un movimento interpartitico puntato
sui giovani emergenti, ma per adesso vi ha soprasseduto. Gli sarebbe piaciuto
anche diventare presidente del Milan, ma la paura della pubblicità lo ha
trattenuto. Massima sua aspirazione sarebbe infine quella di candidarsi al
Parlamento europeo. Ci tiene anche a coltivare al meglio la sua figura di
padre, cercando di avere frequenti contatti coi suoi figlioletti. Quel che
deplora è che dalle elementari di adesso sia stato esiliato il nozionismo: a
lui le nozioni, in qualsiasi campo, hanno giovato moltissimo.
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