"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi

"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi
"Il bruco" (2017). Nikon Coolpix P900. Foto macro. Stato larvale della falena diurna "Macroglossum stellatarum" volgarmente detta "sfinge colibrì".

giovedì 17 agosto 2023

Memoriae. 68 «La tv berlusconiana si riempì di coloro che avevano voluto dare l’assalto al cielo ma hanno preferito espugnare il "palazzetto d'inverno" dei tinelli e delle sale da pranzo degli italiani».


Ha scritto Camilla Cederna in “Serve una città? Chiama Berlusconi” pubblicato sul settimanale “l’Espresso” del 10 di aprile dell’anno 1977 e riportato sull’ultimo numero del settimanale “d” del quotidiano “la Repubblica” del 12 di agosto 2023: In un ambiente di lusso, saloni uno via l’altro, prati di moquet­te, sculture che si muovono, pelle, mo­gano e palissandro, continua a parlare un uomo non tanto alto, con un faccino tondo da bambino coi baffi, nem­meno una ruga, e un nasetto da bam­bola. Completo da grande sarto, leg­gero profumo maschio al limone. Men­tre il suo aspetto curato, i suoi mo­dini gentili, la sua continua esplosione di idee piacerebbero a un organiz­zatore di festini e congressi, il suo no­me sarebbe piaciuto molto a C.E. Gadda. Si chiama infatti Silvio Ber­lusconi. Un milanese che vale miliar­di, costruttore di smisurati centri resi­denziali, ora proprietario della stu­penda villa di Arcore dove vissero Gabrio Casati e Teresa Confalonieri (con collezione di pittori lombardi del ’500, e mai nessun nudo per non offendere la moglie, religiosissima), quindi della villa ex Borletti ai margi­ni del parco di Milano. Allergico alle fotografie («magari anche per via dei rapimenti», spiega con un sorriso ironico solo a metà) è soddisfattissimo che nessuno lo rico­nosca né a Milano né in quella sua gemma che considera Milano 2. Sic­come è la sua prima intervista, è fe­lice di raccontarmi la sua vita felice. Media borghesia, il papà direttore di banca che, a liceo finito, non gli dà più la mancia settimanale; ma lui non si dispera, perché, mentre studia leg­ge, lavora in vari modi: suonando Gershwin o cantando le canzoni fran­cesi alle feste studentesche. Non solo, ma fra un trenta e lode e l’altro, fa il venditore di elettrodomestici, e la sua strada è in salita: da venditore a venditore capo a direttore commer­ciale. Dopo la sua tesi di laurea sul­la pubblicità (il massimo dei voti) ini­zia la sua vera attività entrando suc­cessivamente in due importanti impre­se di costruzione. A venticinque anni crea un com­plesso di case intorno a piazza Piemonte, ecco quindi la fortunatissima operazione di Brugherio, una lottizza­zione destinata al ceto medio basso, mille appartamenti che van via subi­to; e preso dal piacere di raccontare, ogni tanto va nel difficile, dice con­gesto, macrourbanistica, architettura corale, la connotazione del mio carat­tere è la positività, natura non facit saltus. Il suo sogno sarebbe esser ri­cercato in tutto il mondo per fare cit­tà, e “chiamiamo il Berlusconi” do­vrebbe essere l’invocazione di terre desiderose di espandersi. Di Milano 2, l’enorme quartiere residenziale nel Comune di Segrate, parla come di una donna che ama, completa com’è di ogni bellezza e comfort, e centomila abitanti, che a dir che sono soddisfatti è dir poco. Lui legge tutte le novità di architet­tura e urbanistica, qualche bestseller ogni tanto, rilegge spesso L’utopia di Tommaso Moro, sul quale vorreb­be scrivere un saggio. Si ritiene l’anti­tesi del palazzinaro, si ritiene un pro­gressista, è cattolico e praticante, ha votato Dc; e «se l’urbanistica è quel­la che si contratta fra costruttori e potere politico, la mia allora non è ur­banistica». Grazie, e vediamo cosa dicono gli altri di lui. Lo considerano uno dei maggiori speculatori edilizi del nostro tempo che, valendosi di grosse protezioni va­ticane e bancarie, vende le case e pren­de i soldi prima ancora di costruirle, lucrando in proprio miliardi di inte­ressi. Si lega prima con la base dc (Marcora e Bassetti), poi col centro, così che il segretario provinciale Mazzotta è il suo uomo. Altro suo punto di riferimento è il Psi, cioè Craxi, che vuol dire Tognoli, cioè il sindaco. E qui viene contraddetta la sua avver­sione verso l’urbanistica come com­promesso tra politici e costruttori. La società di Berlusconi è la Edilnord, fondata nel ’63 da lui e da Ren­zo Rezzonico, direttore di una società finanziaria con base a Lugano, liqui­data nel ’71 per segrete ragioni. Vie­ne fondata allora la Edilnord centri residenziali con le stesse condizioni della compagnia di prima: lo stesso capitale sociale (circa 10mila dollari), la stessa banca svizzera che fa i pre­stiti (la International Bank di Zurigo) ed ecco Berlusconi procuratore gene­rale per l’Italia. Nel ’71 il consiglio dei Lavori Pub­blici dichiara ufficialmente residenzia­le la terra di Berlusconi (comprata per 500 lire al metro quadrato nel ’63 e venduta all’Edilnord per 4.250). Da Segrate (amministrazione di sinistra prima, poi socialista e dc) vengono concesse all’Edilnord licenze edilizie in cambio di sostanziose somme di da­naro. Umberto Dragone, allora capo del gruppo socialista nel consiglio di Milano, pensa che l’Edilnord abbia pagato ai partiti coinvolti il 5-10 per cento dei profitti (18-19 miliardi) che si aspettava da Milano 2. (Qualche ap­partamento arredato pare sia stato da­to gratis ad assessori e tecnici dc e socialisti. Certo è che questo regalo lo ha avuto un tecnico socialista che vive lì con una fotomodella). «II silenzio non ha prezzo, ecco il paradiso del silenzio», era scritto sul­la pubblicità di questa residenza per alta e media borghesia. Ma il silen­zio da principio non c’era. L’aero­porto di Linate è lì a un passo, ogni 90 secondi decollava un aereo, intol­lerabili le onde sonore, superiori a 100 decibel. Così l’Edilnord si muove a Roma, manovrando i ministeri, per ottenere il cambio delle rotte degli aerei. Approfittando della vicinanza di un ospedale, il San Raffaele, diretto da un prete trafficone e sospeso a divinis, don Luigi Maria Verzé, manda ai vari ministeri una piantina in cui la sua Milano 2 risulta zona ospedaliera e la cartina falsa verrà distribuita ai piloti (con su la croce, simbolo in­ternazionale della zona di rispetto), così le rotte vengono cambiate spo­stando l’odioso inquinamento da ru­more da Milano 2 alla sezione nord-est di Segrate che per anni protesterà invano: e il prezzo degli appartamen­ti viene subito triplicato. Altre notizie. Berlusconi sta metten­do in cantiere la sua nuova Milano 3 nel Comune di Basiglio a sud della città, con appartamenti di tipo “fles­sibile”, cioè con pareti che si sposta­no secondo le esigenze familiari. In settembre comincerà a trasmettere dal grattacielo Pirelli la sua Telemilano, una televisione locale con dibattiti sui problemi della città, un’ora al giorno offerta ai giornali (egli possiede il 15% del Giornale di Monta­nelli). «Troppi sono oggi i fattori ansiogeni», dice, «la mia sarà una tv ottimista». Staff di otto redattori, più tecnici e cameramen, quaranta perso­ne in tutto. E pare che in questo suo progetto sia stato aiutato dall’amico Vittorino Colombo, ministro delle Po­ste e della Tv. Berlusconi aveva anche pensato di fondare un circolo di cultura diretto da Roberto Gervaso; la sua idea pre­ferita però era quella di creare un movimento interpartitico puntato sui giovani emergenti, ma per adesso vi ha soprasseduto. Gli sarebbe piaciuto anche diventare presidente del Milan, ma la paura della pubblicità lo ha trattenuto. Massima sua aspirazione sa­rebbe infine quella di candidarsi al Parlamento europeo. Ci tiene anche a coltivare al meglio la sua figura di padre, cercando di avere frequenti contatti coi suoi figlioletti. Quel che deplora è che dalle ele­mentari di adesso sia stato esiliato il nozionismo: a lui le nozioni, in qualsiasi campo, hanno giovato moltis­simo. 

“Scoop: è stato Berlusconi a fare il sessantotto”, testo di Massimiliano Panarari - che riporta le “memorie” del filosofo Mario Perniola riproposte nella nuova edizione del Suo volume “Berlusconi o il ’68 realizzato” (edito da Mimesis, pagg. 112, euro 8) - pubblicato sul settimanale “il Venerdì di Repubblica” dell’11 di agosto ultimo: (…). Provocazione. Una tesi controcorrente, e argomentata anche in maniera provocatoria (e a tratti persino urticante) ma sempre serrata, quella sul berlusconismo continuazione del sessantottismo con altri mezzi (e altri fini), che ha conosciuto ulteriori sviluppi (…). Parlando con cognizione di causa, da osservatore partecipante di quella stagione, Perniola scrive a proposito del fondatore di Fininvest: «Per chi ha vissuto all'interno di quel movimento, non è difficile trovare in lui quella volontà di potenza, quel trionfalismo farneticante, quella estrema determinazione di destabilizzare tutta la società da cui il Sessantotto fu pervaso». Ovvero, «con Berlusconi si chiude un periodo storico iniziato negli anni Sessanta, nel quale le basi logiche del pensare e dell'agire sono state sostituite da un sentire collettivo manipolato e delirante, lunatico e stravagante». E ora che anche il trentennio berlusconiano si è chiuso con la scomparsa del suo protagonista queste riflessioni risultano di stringente attualità. Slogan e iperattivismo. Nel berlusconismo il filosofo - a lungo professore di Estetica all'università di Roma Tor Vergata - legge l'inveramento di varie parole d'ordine del «Sessan-totto-pensiero», a partire dal celebre slogan «Non lavorate mai!» di Guy Debord (e, gira e rigira, sempre dalle parti del situazionismo si torna). Associare quell'esortazione all'iperattivo tycoon milanese, esponente idealtipico dell'inclinazione brianzola per il fare e il «ghe pensi mi!», potrebbe apparire a prima vista un'assurdità, riconosce Perniola. Ma, per un verso, è come se lui - e gli altri ricchissimi protagonisti dell'ascesa del neoliberismo - avessero direttamente assorbito buona parte del lavoro esistente; una questione evidente oggi in seno a quella che assomiglia sempre più a una jobless society. Il Berlusconi che passa dal mattone all'etere è, sempre e comunque, denaro che genera denaro – al punto che l'autore racconta del suo curioso lapsus che gli impedisce di ricordare subito il cognome dell'imprenditore obbligandolo a fare una serie di associazioni mentali per arrivarci. Proprio perché lui è finanza che si fa astrazione (come il suo nome, che diviene evanescente e si smaterializza). E il capitalismo finanziario è gioco, nell' accezione del filosofo Gadamer: un insieme di regole per finalizzare il profitto attraverso l'intrattenimento dagli anni Ottanta in avanti. Come pure costruzione di reti (e intrighi), di cui Berlusconi fu maestro: il capitalismo connessionista, che fa guadagnare e sviluppa nuovi business attraverso la massimizzazione delle relazioni. Ovvero dei network, e così arriviamo direttamente con un balzo dentro l'attuale economia digitale. Ma lo spirito sessantottino (suo malgrado) di Berlusconi aleggia ovunque, nella fine della famiglia come in quella della scuola e dell'università, e della stessa borghesia, di cui il capitalismo neoliberale non ha più bisogno, e le cui professioni qualificate - dal professore al giornalista e al giudice - considera troppo costose e da ridurre ai minimi termini perché da parecchio ha bloccato l'ascensore sociale. Intellettuali disprezzati. In buona sostanza, «il signor B.» si trova sempre a raccogliere l'onda lunga dei tardi anni Sessanta, rovesciandone il segno ma realizzandone le finalità sovversive. È il compimento, attraverso una «rivoluzione spettrale», della destrutturazione dell'autorità e dell'autorevolezza di genitori, insegnanti ed esperti. Il disprezzo verso gli intellettuali (come nella Cina della "rivoluzione culturale" maoista) e la distruzione della sanità, considerata all'epoca una scienza borghese ossessionata dall'ospedalizzazione forzata, mentre già si diffondevano quelle suggestioni naturiste che tanta influenza avrebbero avuto sul fenomenono-vax. Insomma quello che non poté Ivan Illich è perfettamente riuscito a Silvio Berlusconi. E alla sua corte di post-sessantottini e pseudosituazionisti, oltre che di ex-settantasettini, che tra gli anni Ottanta e Novanta ha creato la neo-televisione commerciale (come l'ha definita Umberto Eco), convertendo in riflusso edonistico il giovanilismo barricadero (e narcisistico) e l'anti-istituzionalismo del Maggio parigino. Perniola se la prende con il pensiero debole, identificato come ideologia di questo sommovimento, e foglia di fico di una generalizzata ignoranza - che in termini più politicamente corretti dovremmo definire smobilitazione cognitiva - preesistente al berlusconismo ma da esso allargata a dismisura e strumentalizzata prima per ragioni commerciali e, in seguito, elettorali. E si scaglia contro i meccanismi dell'imperialismo comunicativo della società dell'immagine e dello spettacolo, che aveva magistralmente decostruito nel libro Contro la comunicazione (2004). E che le sue argomentazioni siano tutt'altro che peregrine lo dimostra proprio la tv berlusconiana, che si riempì di coloro che avevano voluto dare l’assalto al cielo ma hanno preferito espugnare il "palazzetto d'inverno" dei tinelli e delle sale da pranzo degli italiani.

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