«Note a margine su “Il mondo al contrario”». 1 “Uno specchio per l’Italia spaventata”, testo di Corrado Augias pubblicato sul quotidiano “la Repubblica” di oggi, 26 di agosto 2023: (…). Vengo alla seconda ipotesi, quella dell’innocenza. È possibile che il generale Vannacci non fosse pienamente consapevole del reale peso - nell’Italia e nel mondo di oggi - di ciò che andava scrivendo; in altre parole, che abbia considerato normali certe affermazioni probabilmente abituali negli ambienti frequentati; che abbia ritenuto, non a torto, di offrire a una certa Italia spaventata dal presente e dal futuro un testo nel quale rispecchiarsi. Per esempio: «Le famiglie che oggi definiremmo numerose rappresentavano la normalità di un’Italia più povera, più rurale, più arretrata ma forse più felice di ora». Felice? Dell’arretratezza, della diffusa povertà, di diritti civili inesistenti, del divorzio da conquistare a colpi di pistola, del delitto d’onore, di un’assistenza sanitaria rudimentale? La nostalgia scolora la realtà, l’addolcisce, nutre il rimpianto. Il generale ricorda il profumo del pane appena sfornato, il suono delle campane domenicali. Nel popolare programma televisivo “Il musichiere” anche Mario Riva cantava: «Domenica è sempre domenica / Si sveglia la città con le campane /Al primo din-don del Gianicolo/ Sant’Angelo risponde din-don-dan». Era il 1960, 20 milioni di italiani - me compreso - si sintonizzavano su quel programma. Però è passato più di mezzo secolo l’Italia non è più un paesello, con qualche affanno siamo nel G7 in un mondo che corre a velocità vertiginosa. Non esclusa la possibilità che corra verso il disastro ma non saremo comunque noi a tirare il freno lacrimando sul suono delle campane. Il laudator temporis acti come lo chiamavano i latini rischia di diventare una figurina patetica. È inutile polemizzare col presente tanto più se si considera la portata rivoluzionaria del passaggio in corso, dalla cultura della carta a quella digitale. «Perché dobbiamo annacquare quelle che sono le nostre più identitarie caratteristiche in una sorta di genoma mondiale?». La risposta è già nella domanda: perché il “genoma” (come lo chiama Vannacci) è mondiale e anche noi bene o male ne siamo parte. Nel romanzo Il mondo di ieri lo scrittore Stefan Zweig ricorda con nostalgia l’impero austroungarico per i principi di tolleranza tra le diverse etnie che lo avevano caratterizzato. Nel poemetto De reditu suo lo scrittore Rutilio Namaziano, abbandonando Roma, rimpiange l’impero in decadenza (anche a causa del cristianesimo) con le accorate parole Fecisti patriam diversis gentibus unam - di tanti popoli diversi avevi fatto una sola patria. Il rimpianto è un sentimento struggente tanto più se espresso ad elevato livello letterario. Un alto ufficiale con un intenso curriculum alle spalle però non dovrebbe abbandonarsi a queste debolezze. C’è un altro insegnamento più utile, quello stoico di Seneca che nelle sue Lettere morali a Lucilio mette in guardia dal pericolo del rimpianto. La vera sfida - scrive - è affrontare con coraggio e discernimento le difficoltà del presente, accettare ciò che la marcia dei tempi impone, vivere in armonia con i propri simili. Ci sono poi nel libro i giudizi oltraggiosi, quelli sugli omosessuali dai quali è partito lo scandalo: «Cari omosessuali, normali non siete, fatevene una ragione»; quelli sulla famiglia e sulle donne: «La bellezza del nucleo familiare tradizionale in cui uno dei genitori, generalmente la madre, si è essenzialmente presa cura della famiglia». Respingere il movimento di liberazione femminile equivale a criticare la lotta per l’abolizione della schiavitù. A beneficio dei malintenzionati preciso: l’equivalenza non è nel merito ma nella portata storica e sociale dei due movimenti. Ci sono aspetti dell’organizzazione collettiva che a un certo punto diventano intollerabili, per esempio le discriminazioni verso omosessuali e donne, residuo medievale. Il criterio di “normalità” è volubile cambia col tempo e nello spazio. Quello che a noi oggi pare “normale” non lo era cent’anni fa e non lo è oggi altrove. Una relatività che può alimentare la paura oppure la ricchezza del confronto (Levi-Strauss). È davvero a questa Italia spaventata e ingenua che il libro si rivolge? I fatti diranno qual è l’ipotesi più vicina al vero.
«Note a margine su “Il mondo al contrario”». 2 “La paura ci impedisce di riderci su”, testo di Natalia Aspesi pubblicato sulla stessa edizione del quotidiano “la Repubblica”: E no, gentile Signora Camelia, la di lui gentile dama, con l’aiuto delle care figliole Elena e Michela, non potevate stargli appresso come fanno le astute mogli dei generali per difenderli dalle tante fan, e buttargli via i fogli man mano che lui illustrava il suo piccolo mondo antico, come se non fosse ancora scoppiata la Prima guerra mondiale? Per non fargli fare una brutta figura come purtroppo sta facendo, e poi per ritrovarsi, a parte i fascistoni, preso in giro da diversi TikTok che gliene dicono sghignazzando di ogni colore: e son quelli che, divertendosi, risultano essere gli avidi compratori. Un vero disastro per un uomo per bene, (…) che forse perché scombussolato da(i) luoghi di guerra, gli è venuta la voglia di raccontare come sarebbe il suo mondo tutto per bene se lui fosse rimasto indietro di decenni che possono sembrare secoli. Chi ci fa come sempre una brutta figura è il povero Salvini che annuncia, innocente, che quel libro lui lo leggerà, e cerca un modo di farne, del Generale, un eroe, senza calcolare che se il mondo sta andando a catafascio la cosa avviene persino senza il di lui intervento. Ecco davanti a me il succulento Il mondo al contrario del Generale Roberto Vannacci, (…). E che ha deciso di prendere le sue varie idee sul mondo, dalla “famiglia” alla “patria” e riportarle dove a lui sembra giusto, più o meno al Pleistocene: e se esempio a voi stupidelli piace “l’ambiente”, io ve lo distruggo, tiè, in un baleno. Vuoi non trovare tra i milioni che non leggono, qualcuno che i gay li impalerebbe? Le pagine del diabolico libro sono 356, troppe anche per un’anima gentile come me, e siccome ad ogni sorpresa mi veniva da ridere, ho dovuto smettere. Per merito del Generale, non c’è una sola frase che un giovinetto anche sveglio riuscirebbe a comprendere, troppo antico. Così a caso illumino le vostre menti per ridere con me. A proposito, ridere, perché a furia di indignarci, finiamo per esserlo sempre. Omosessuali. «Omosessuali, normali non lo siete, fatevene una ragione!». E poi una sequela di simpatici appellativi, una vera quantità, che l’autore molto informato dice essere davvero in pochi, quindi uscendo dalla normalità. E gentilmente, ricorda vecchi detti locali, come se invece fossero una massa: pederasta, invertito, finocchio, sodomita frocio, ricchione, bulicchio, femminiello, bardasso, caghineri, cupio, buggerone, checca, omofilo, uranista, culattone. Stupro. «Chi stupra una ragazzina sulle nostre spiagge deve godere del beneficio e dell’attenuante perché provenendo da paesi reconditi e lontani e possedendo uno smartphone che gli consenta di esplorare i meandri più inquieti, potrebbe non sapere che in Italia è un efferato, crudele e insopportabile reato». Neanche gli viene in mente che magari a Palermo gli stupri di gruppo erano di pura razza italiana. Poi si sa, quei disperati che arrivano da lontano in barca, magari una laurea ce l’hanno, ma lui, il Generale lo sa, se riescono di arrivare rischiando di morire, non possono essere che zulu «col pene per aria». Lavoro. «I dibattiti non parlano che di diritti soprattutto delle minoranze di chi asserisce di non trovare lavoro e deve essere mantenuto dalla moltitudine che il lavoro si è dato da fare per trovarlo, di chi non può biologicamente avere figli e li pretende: di chi non ha una casa e allora la occupa abusivamente: di chi ruba nella metropolitana a e rivendica il diritto alla privacy». Immigrato. «Quando con tutta la famiglia ci trasferimmo a Parigi, per la prima volta cominciai a venire a contatto quotidianamente con persone di colore, mi ricordo nitidamente quanto suscitassero la mia curiosità tanto che in metro finivo per poggiare accidentalmente la mia mano sopra di loro per capire se la loro fosse al tatto più o meno dura e rugosa della nostra». Se stesso. «Ritengo che nelle mie vene scorra una goccia del sangue di Enea, di Romolo, di Giulio Cesare, di Dante, di Fibonacci, di Giovanni dalle Bande Nere, di Lorenzo de Medici, di Leonardo da Vinci, di Michelangelo…». Femminismo. Altra incredibile bordata al movimento femminista che si batte per l’emancipazione della donna. Oltre a promuovere istituzioni come il divorzio e l’aborto, a suon dello slogan «tremate, tremate le streghe son tornate», si oppone alla figura femminile intesa come madre. «Le moderne fattucchiere sostengono che solo il lavoro ed il guadagno possono liberare le fanciulle dal padre padrone e dal marito che le schiavizza condannandole ad una sottomessa, antiquata involuta ed esecrabile vita domestica». Cerca e ricerca, non ho trovato nelle tante pagine che non avevo più la forza di leggere per troppo divertimento, non ho trovato, e magari c’è, qualcosa sul femminicidio: sono sicura che lui parlando delle donne cattive che non vogliono fare i loro piccini, troverebbe una giusta scusa: 70 donne ammazzate sono una giusta punizione per qualcosa che non hanno fatto. E poi? È vero, siamo scesi molto in basso, dando importanza a questo libro bruttissimo che in altri tempi non avremmo guardato. Un libro molto vecchio, che al povero Generale dà il rischio di una colpa che non ha, perché non ne ha alcuna colpa. A lui è rimasta una idea del passato che non può più esistere e se esiste, è davvero colpa nostra. Idee vecchie, un ridicolo e dico ridicolo insieme di cose vecchissime che risalgono come minimo al femminismo anni ’70. Non siamo più capaci di ridere, di prendere in giro il mondo, tutto ci offende e non ci lascia speranze. E abbiamo perso con una cosa talmente perditempo e stupida. Perché siamo così spaventati, di cosa abbiamo paura?
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