"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi

"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi
"Il bruco" (2017). Nikon Coolpix P900. Foto macro. Stato larvale della falena diurna "Macroglossum stellatarum" volgarmente detta "sfinge colibrì".

lunedì 7 agosto 2023

Dell’essere. 97 Ray Banhoff: «Noi siamo categorici su tutto. Non siamo solo un popolo di commissari tecnici, ma anche di opinionisti».


“WebManiacale”. Ha scritto Michele Serra in “Buoni consigli contro gli haters” pubblicato sull’ultimo numero del settimanale “il Venerdì di Repubblica” in edicola dal 4 di agosto 2023: (…). …qualche giorno fa avevo chiesto consiglio ai lettori: reagire ai falsi e agli insulti sui social, dando loro immeritato rilievo, oppure ignorarli? E se li si ignora, non è una specie di “via libera” alla facoltà di mentire liberamente, e di aggredire le persone senza alcuna pezza d’appoggio che faccia assomigliare a un ragionamento il flusso emotivo delle parole? Non ho risposte certe. Mi sono messo al riparo come individuo – con una scelta discutibile, ma salvifica – disertando quel luogo, anche se ho buoni amici che mi fanno da vedetta e mi avvertono quando qualcuno passa il segno. Ma il problema non è personale, è sociale. La quantità e la velocità delle parole avvelenate (perché false, o perché cariche di odio, spesso per entrambe le cose) che circolano in quell’immenso flusso comunicativo, mette paura. È vero che i bugiardi e i fanatici, o più banalmente gli irresponsabili che non conoscono il peso delle parole, sono sempre esistiti: ma non hanno mai impugnato un’arma così devastante. La fola social è come un’infezione che ha modo di strutturarsi e di espandersi in un corpo immenso. Una puntura di zanzara che si trasforma in metastasi. Certo, puoi schiacciare la zanzara con un ceffone (una su mille non ce la fa), ma è come fermare il fiume con un pettine. Ogni volta che qualcuno decide di rendere pubbliche le parole dei suoi haters, o di querelarli, penso: ha fatto bene, magari qualcuno dei querelati, o dei pubblicati, troverà il modo di riflettere (di solito si affrettano a scusarsi, e a cancellare le loro porcherie). Ma penso anche: ha fatto male, ha dato troppa importanza a dei frustrati… Per altro, soccorrere i frustrati e i deboli sarebbe cosa meritoria. La pedagogia dovrebbe essere la prima di tutte le discipline. E dunque: non rispondere, non reagire, non confrontarsi, è come rinunciare a qualunque speranza sui nostri simili. Abbandonarli a loro stessi. Faccenda complicata, ripeto. Molto complicata. (…).

“MediaGroggy”. “E poi ci ritroviamo ad avere opinioni sui Rolex di Totti”, testo di Ray Banhoff  pubblicato sul settimanale “L’Espresso” del 30 di luglio ultimo: Io penso (…) che il giornalismo e in genere la rapidità di diffusione delle notizie inutili e mostruose è il danno maggiore che l'umanità sopporta in questo secolo. Si sa tutto di tutto. Che noia. E che tristezza». Ennio Flaiano, "Diario degli errori" (1958), Adelphi. (…). Adesso quindi ci sarebbe da parlare del nostro rapporto con le notizie, forse la storia d'amore più tossica degli ultimi anni. Da quando ci svegliamo e per tutto l'arco della giornata, non facciamo che ricevere sul telefono avvisi di notizie che accadono nel mondo. Se non è il telefono, sono la radio, la tv, i discorsi degli amici o dei passeggeri della metro. Le notizie ti targettizzano e t'infilzano come frecce invisibili, ti stanano ovunque. Ed è tutto un assedio di breaking news, un'Ans(i)a, uno «shock»: una nuova crisi sul fronte di guerra, l'aumento del costo della vita, missili sul Pacifico, il clima impazzito, omicidi, monnezza a Roma, corruzione, scandali ecc. Notizie importantissime che un minuto dopo sono sostituite da altre più importanti, perché di base la no-tizia ha una vita brevissima. Ogni titolo è un'apocalisse e di solito la maggior parte delle persone si ferma a quello. Per i pochi che vanno oltre e leggono l'articolo intero (sempre che venga da una fonte affidabile e non dal tweet di un complottista o da una fake news), per i pochissimi disposti a pagare un quotidiano online, a volte c'è un po' di conforto: le cose non sono poi come sembravano, ci sono sempre delle spiegazioni, un briciolo di speranza magari. Allora come mai il titolo è caricato ad arte? Così l'utente ci clicca sopra e il sito genera traffico e ricavi. Ogni tanto qualcuno c'ha provato a fare dei quotidiani di sole buone notizie, ma sono durati poco. Non erano appetibili. Il pubblico vuole il sangue, diceva Carmelo Bene. Travestito da un'urgenza esasperata eppure così poco duraturo, questo bolo di discorsi introiettato dai nostri occhi si radica nell'inconscio facendoci vivere in un co-stante stato di ansia. Siamo iperinformati, ma spesso con una conoscenza solo superficiale degli argomenti, visto che approfondirne anche uno solo al giorno sarebbe uno sforzo enorme. Ogni scelta di un governo, che sia una manovra finanziaria o una proposta di legge, ogni avvenimento su cui esprimiamo giudizi netti dopo la sola lettura di un titolo chiederebbe ore di studio da parte di legali ed esperti. E anche dopo tale studio è probabile che pure loro vorrebbero confrontarsi con altri esperti. Noi no. Noi siamo categorici su tutto. Non siamo solo un popolo di commissari tecnici, ma anche di opinionisti. Quindi, tra un allarme e l'altro, tra una notifica ansiogena e il commento del tuo vicino d'ombrellone che «l'ha letto su Facebook», devi crearti un mantra di autocontrollo: ti calmi, cominci a cercare e verifichi su più fonti quello che sta succedendo. Nel mentre, attento a non sconcentrarti perché qualcuno ti chiederà un parere sui Rolex spariti a Francesco Totti e scoprirai che, nonostante non te ne freghi niente, ne eri a conoscenza e senza manco saperlo avevi pure un'opinione a riguardo. Pazzesco.

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